Quanto durerà l’eruzione a La Palma
Ancora a lungo, secondo i ricercatori: finora la colata lavica ha ricoperto un'ampia porzione di territorio e distrutto decine di edifici
In questi giorni decine di scienziati sono al lavoro per capire quando e in che modo terminerà la grande eruzione vulcanica iniziata domenica 19 settembre sull’isola di La Palma, la più nord-occidentale dell’arcipelago spagnolo delle Canarie, nell’oceano Atlantico.
L’eruzione ha avuto origine dalla Montaña Rajada, nella catena vulcanica Cumbre Vieja, che era inattiva dal 1971, e finora la colata lavica ha distrutto decine di edifici e abitazioni, senza provocare feriti. Il comportamento di un vulcano è piuttosto imprevedibile, ma ci sono diversi tipi di analisi e misurazioni che aiutano a farsi un’idea su ciò che potrebbe accadere e su come possa evolvere un’eruzione.
La lava che in questi giorni sta fuoriuscendo da due fenditure sulle pendici della Montaña Rajada ha raggiunto la temperatura di 1.075 °C e si sta liberando con zampilli che arrivano quasi fino a 1.500 metri di altitudine. La colata lavica sta seguendo il declino dei pendii da cui emerge e sta continuando a fluire verso ovest, in direzione del mare.
Gran parte dell’isola non è interessata dagli effetti dell’eruzione, ma finora sono stati evacuati più di 5mila residenti e turisti da un’area dove abitano circa 35mila persone: secondo i dati rilevati dal programma Copernicus dell’Unione Europea, che si occupa dell’osservazione delle condizioni del nostro pianeta con satelliti, alle 19 di martedì la lava aveva ricoperto circa un chilometro quadrato di territorio e distrutto 166 edifici e abitazioni.
Un articolo del National Geographic ha ricordato che la formazione della catena vulcanica Cumbre Vieja è relativamente giovane perché risale a circa 125mila anni fa, ed è anche piuttosto attiva: secondo le analisi negli ultimi 7mila anni a La Palma ci sono state moltissime eruzioni, e dal Quindicesimo secolo, periodo in cui cominciò la conquista delle Canarie da parte della Spagna, ce ne sono state sette, tutte nella zona del parco naturale di Cumbre Vieja. Le più recenti erano state quelle del vulcano San Juan, nel 1949, e quella del Teneguía, nel 1971, che durarono rispettivamente 47 e 24 giorni.
Secondo El País, quella attualmente in corso è «l’eruzione vulcanica meglio studiata della storia della Spagna», cosa che sta aiutando a capire come si sia sviluppata, ma soprattutto come proseguirà.
L’eruzione di domenica è avvenuta alle 15.12 ed è stata anticipata poco prima di mezzogiorno da un terremoto di magnitudo 4.2, sentito in particolare a El Paso, una località che si trova a pochi chilometri dalla Montaña Rajada.
Come ha osservato la sismologa dell’Istituto Geografico Nazionale (IGN) Itahiza Domínguez Cerdeña, dall’ottobre del 2017 a La Palma sono stati riscontrati numerosi eventi sismici a una profondità di circa 29 chilometri: nei giorni precedenti all’eruzione c’erano state migliaia di lievi scosse a profondità minori.
Oltre alle scosse di terremoto, anche altri elementi avevano indicato una imminente eruzione, portando le autorità locali a diramare un messaggio di allerta, lo scorso 13 settembre: in particolare, alcune deformazioni anomale nel suolo.
El País ha raccontato che l’Istituto di geodesia dell’Università Computense di Madrid era stato uno dei primi a capire che ci sarebbe stata un’eruzione. La geodesia è la scienza che si occupa di studiare la forma e le dimensioni della Terra, insieme al campo di gravità e alle sue variazioni nel tempo, con vari metodi e strumentazioni: attraverso l’analisi approfondita di alcune immagini satellitari di La Palma gli scienziati erano riusciti a riscontrare in certe aree dell’isola deformazioni anomale e rigonfiamenti di diversi centimetri, che indicavano un accumulo di magma.
Per dare l’idea, con queste osservazioni nel caso dell’eruzione vulcanica del 2011 sull’isola di El Hierro – la più piccola delle Canarie – era stato possibile capire che la lava si era accumulata in due depositi collegati fra loro, uno a 9 chilometri di profondità e uno a 4, ha spiegato al País José Fernández, uno degli scienziati dell’Università. «Adesso grazie ai satelliti e ai sistemi di misurazione in superficie siamo stati in grado di capire come è fatto il sistema di alimentazione di questo vulcano e di sapere che stava succedendo qualcosa di simile», ha aggiunto Fernández: nei giorni precedenti all’eruzione di domenica in alcuni punti il suolo si era rigonfiato di circa 15 centimetri.
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— Instituto Geográfico Nacional-O.A.CNIG (@IGNSpain) September 21, 2021
Le misurazioni di scosse sismiche e i rigonfiamenti del suolo, assieme all’analisi delle immagini satellitari, possono dare indicazioni utili anche su ciò che succederà nei prossimi giorni.
Elena Paredes, tecnica del centro di coordinamento degli incendi del ministero della Transizione ecologica, ha detto che per esempio le immagini trasmesse in diretta da un aereo, che da sabato sta sorvolando con assiduità La Palma con telecamere a luce infrarossa, stanno aiutando a capire dove si indirizza la colata lavica e a calcolare il ritmo di avanzamento. Al contempo, un piccolo gruppo di scienziati dell’IGN si sta occupando delle misurazioni a terra, aiutato da un’altra quarantina di esperti che lavorano ai centri dell’Istituto a Santa Cruz di Tenerife e a Madrid.
Parlando col País, un vulcanologo dell’IGN, Stavros Meletlidis, ha detto che ci sono tre elementi principali per capire come si comporta un vulcano: misurare le scosse sismiche, analizzare le deformazioni del terreno e studiare la composizione chimica della lava. Uno degli strumenti utilizzati dagli scienziati per avere un’idea di quanto durerà un’eruzione, per esempio, è il gravimetro, utile per stimare la massa del magma che sta fuoriuscendo o per individuare eventuali depositi di lava più in profondità.
Meletlidis ha detto tra i compiti degli scienziati c’è anche quello di sviluppare modelli matematici che analizzano le scosse provocate dalla fuoriuscita del magma per “fare una radiografia” dell’interno del vulcano: per quanto siano «approssimazioni con grandi livelli di incertezza», questi modelli possono aiutare a dare ulteriori informazioni sulla sua struttura geologica e fare ipotesi sull’evoluzione della sua eruzione. Meletlidis per esempio ha spiegato che il vulcano che sta eruttando a La Palma è monogenetico, vale a dire che «probabilmente erutterà una volta soltanto» perché non ha una camera di magma sotto di sé che potrà tornare a riempirsi e generare un’altra eruzione in futuro.
A ogni modo, «l’unico modo per sapere» quanto durerà l’eruzione è conoscere il volume totale del magma che si trova sotto questa porzione della catena vulcanica, un’informazione che al momento «è sconosciuta», ha detto a National Geographic il fisico e vulcanologo del Consiglio superiore per le ricerche scientifiche, Pablo González. Potrebbe pertanto durare da poche settimane ad alcuni mesi.
Quando si parla di eruzioni vulcaniche si pensa soprattutto alla lava e alla cenere, ma i vulcani spargono anche altre sostanze, meno visibili, che possono spostarsi per migliaia di chilometri. In particolare, l’Agenzia di meteorologia spagnola si sta occupando di rilevare la quantità di anidride carbonica e altri gas liberati a seguito dell’eruzione con l’impiego di satelliti e vari strumenti di misurazione.
Un’altra preoccupazione è quella degli effetti che potrebbe avere un eventuale riversamento della lava nell’oceano, che allo stesso tempo sarebbe un’occasione di studio piuttosto unica. Come ha spiegato al País il ricercatore dell’Istituto spagnolo di oceanografia, Eugenio Fraile, «si sa molto poco di quello che succede quando la lava di un vulcano arriva nell’oceano». Nel caso del vulcano Kilauea alle Hawaii, il cui getto di lava nel 2017 e 2018 si tuffò in maniera spettacolare nell’oceano Pacifico, l’ingresso nell’acqua del magma spinse verso la superficie le acque più profonde e più ricche di nutrienti, cosa che favorì la crescita di alghe che tinsero le acque di un colore verde turchese.
Secondo il professore dell’Università di Sheffield Dave Petley, esperto di smottamenti, in caso di riversamento del magma dei vulcani della catena Cumbre Vieja nell’oceano è inverosimile che si possa creare uno tsunami, come era stato invece ipotizzato da uno studio del 2001.
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