Cosa abbiamo capito su Ötzi in trent’anni
La mummia meglio conservata d'Europa fu ritrovata sulle Alpi il 19 settembre 1991, e da allora non ha smesso di essere studiata
Il 19 settembre 1991, trent’anni fa, due coniugi tedeschi originari di Norimberga stavano facendo un’escursione sulle alpi della Val Senales, al confine tra Alto Adige e Austria. Mentre erano fuori dal sentiero a 3.210 metri di quota videro qualcosa che spuntava dai ghiacci. Avvicinandosi, capirono che era il torso del corpo di un uomo e avvertirono subito il gestore del rifugio più vicino, quello di Similaun, il quale a sua volta avvertì i Carabinieri e la polizia austriaca. Inizialmente si pensò a un alpinista disperso e si tentò di avviare le operazioni di recupero, ma il giorno seguente non fu possibile per via del maltempo.
Nemmeno il 21 settembre si poté liberare il corpo dal ghiaccio, perché non c’erano elicotteri a disposizione. Quel giorno peraltro passarono di lì per caso i celebri alpinisti Hans Kammerlander e Reinhold Messner, i quali – incuriositi dal ritrovamento – si avvicinarono al corpo per esaminarlo. Si notavano gli indumenti in pelle e alcuni contenitori di corteccia di betulla. Poi il gestore del rifugio fece vedere loro la forma dell’ascia ritrovata insieme al corpo, l’unica cosa che i soccorritori erano riusciti a portare via. Messner fu il primo a ipotizzare che l’uomo nel ghiaccio fosse morto con ogni probabilità moltissimo tempo prima.
Solamente il 23 settembre si riuscì a organizzare il completo recupero del corpo, che già stava cominciando ad attirare le prime attenzioni dei media. Sul posto c’era anche una troupe televisiva. Già il giorno successivo, poi, si ebbe la conferma che l’ipotesi di Messner era giusta. Il corpo era stato portato in Austria e venne esaminato da Konrad Spindler, esperto di preistoria dell’Università di Innsbruck, il quale senza esitare disse che l’uomo doveva essere morto almeno 4mila anni prima. Insieme al corpo vennero trovati anche resti di pelle animale, pelliccia, corde, un pugnale e un arco (inizialmente scambiato per un lungo bastone).
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In breve tempo il corpo divenne noto per essere una delle mummie più antiche e meglio conservate d’Europa, e gli furono attribuiti una serie di soprannomi tra cui la “mummia del Similaun” e soprattutto Ötzi, nome inventato da un giornalista viennese e derivato dal nome della regione dove fu trovato, Ötztal. Negli anni, a Ötzi furono dedicati numerosissimi studi, libri, documentari e anche un film che ne ricostruisce la storia.
Ci furono anche accese discussioni sul luogo in cui conservarlo, ma fu verificato che il corpo era stato ritrovato per pochi metri entro i confini italiani e perciò da Innsbruck venne portato al Museo Archeologico dell’Alto Adige di Bolzano, dove si trova ancora oggi in una camera refrigerata che tiene la temperatura costantemente a -6 C° e umidità al 99 per cento. La mummia viene nebulizzata regolarmente con acqua sterilizzata per evitare che si secchi.
Dopo anni di ricerche – «Ötzi è il corpo umano più esaminato che il mondo abbia mai visto» ha detto il patologo tedesco Oliver Peschel, che si occupa della sua conservazione – oggi siamo in grado di ricostruire una gran quantità di caratteristiche di Ötzi e della sua vita, raccolte di recente da National Geographic.
Ötzi era alto circa 1 metro e 60 centimetri e aveva circa 45 anni quando morì, un’età piuttosto avanzata rispetto alle aspettative di vita dell’epoca. Visse all’incirca tra il 3350 e il 3110 avanti Cristo: 5.200 anni fa, poco prima che in Egitto iniziasse l’epoca dei faraoni.
Era mancino, la taglia del suo piede corrispondeva all’incirca a un 38, gli occhi – che si trovano ancora conservati al loro posto nelle orbite – erano marroni, anche se per lungo tempo si è pensato fossero blu. Inoltre era intollerante al lattosio, il suo gruppo sanguigno era lo 0 positivo, aveva alcuni denti cariati, era affetto dalla malattia di Lyme e soffriva di dolori alle ginocchia, alla schiena e alle anche. A un certo punto della sua vita si ruppe alcune costole e il naso.
Un’altra sua particolarità sono i tatuaggi. Sono 61 in tutto e raffigurano gruppi di linee e croci. La tecnica utilizzata per farli è molto diversa da quella moderna: i tatuaggi di Ötzi sono in sostanza delle piccole incisioni sulla pelle, sfregate poi con polvere di carbone di legna. Come scrive il sito del Museo Archeologico dell’Alto Adige, sul significato di questi tatuaggi ci sono ancora molti dubbi, ma l’ipotesi più accreditata è che avessero una funzione terapeutica: «Si trovano infatti in corrispondenza di parti del corpo con marcati segni di usura che devono sicuramente aver causato dolori, per lenire i quali l’uomo è ricorso ai tatuaggi. E il fatto che la loro posizione coincida con le linee dell’agopuntura, tuttora valide, supporta questa teoria».
Eseguire rilevazioni sul corpo di Ötzi non fu facile perché nonostante l’ottimo stato di conservazione alcuni organi nel suo corpo non sono dove ci si aspetta che siano: per esempio furono necessari 18 anni di ricerche prima di capire quale fosse lo stomaco, che era finito sotto alle costole, vicino ai polmoni. Grazie a questa scoperta, si è poi potuto ricostruire quale fu il suo ultimo pasto, abbondante e a base di farro, cervo e stambecco. Nello stomaco sono anche state trovate tracce di uova di tricocefalo, un parassita intestinale piuttosto fastidioso.
Grazie all’esame della sua impronta genetica, i ricercatori sono riusciti a rintracciare la provenienza di Ötzi, i cui antenati con tutta probabilità parteciparono alla grande ondata migratoria di persone arrivate in Europa tra 8.000 e 6.000 anni fa, proveniente da est. Il patrimonio genetico della linea materna di Ötzi non esiste più nelle popolazioni moderne, mentre quello della parte paterna sopravvive ancora nelle zone più isolate del Mediterraneo, in particolare in Sardegna e in Corsica.
Ma l’aspetto di Ötzi che ha causato più interesse e curiosità, tra gli altri, è come morì. Sulla sua mano destra, infatti, tra il pollice e l’indice, ci sono segni di accoltellamento lasciati pochi giorni prima della sua morte. Probabilmente qualcuno cercò di accoltellarlo e Ötzi afferrò la lama per difendersi. Mentre la ferita era in via di guarigione, però, subì un altro attacco, stavolta con l’arco. Una freccia lo colpì dietro alla scapola sinistra, e lui morì nel giro di pochi minuti. Ma sulla reale causa della morte non c’è accordo tra gli esperti, anche perché Ötzi presenta i segni di una consistente emorragia cerebrale. C’è chi sostiene che l’arciere che lo colpì potrebbe aver finito l’opera colpendolo alla testa successivamente, e chi pensa invece che Ötzi potrebbe aver sbattuto su una roccia cadendo.
Sappiamo quindi che Ötzi fu assassinato, ma la dinamica dell’accaduto resta invece misteriosa: il taglio sulla mano e il luogo della morte hanno generato l’ipotesi secondo cui Ötzi fosse in fuga, forse dagli assalitori che avevano cercato di accoltellarlo. Il sito del Museo Archeologico dell’Alto Adige scrive:
«Molte domande rimangono ancora – e forse per sempre – aperte. Perché fu ucciso e da chi? Si trattò di vendetta, di gelosia, di avidità, di una questione gerarchica? Perché l’aggressore non si è portato via l’equipaggiamento, sebbene già solo l’ascia di rame dovesse avere un enorme valore? Oppure gli ha rubato qualcosa di cui oggi non sappiamo più nulla? E, a parte questo, perché Ötzi è fuggito sul ghiacciaio?»
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