Quante sono le strade intitolate a donne in Italia
Nei 21 capoluoghi di regione quelle dedicate a figure femminili che non sono sante sono meno di mille, sulle oltre 24mila totali
Giovedì il sindaco di Milano Beppe Sala ha pubblicato un post in cui ha annunciato l’installazione in città della prima statua dedicata a una donna, Cristina Trivulzio di Belgiojoso, una patriota risorgimentale. Ha poi scritto che nella primavera del 2022 sarà inaugurata una statua anche all’astrofisica Margherita Hack, aggiungendo che «l’assenza di monumenti dedicati alle tante donne protagoniste della nostra storia era una vergogna che andava sanata».
“Sanare” il disequilibrio di genere nei monumenti e nella toponomastica, nelle intitolazioni cioè di strade, piazze, aree verdi e spazi pubblici, non è solo una questione formale. È una richiesta portata avanti da tempo da specifiche associazioni e movimenti femministi con l’intento di superare, anche attraverso la costruzione di una memoria collettiva, l’esclusione delle donne dalla storia e dalla sua narrazione ufficiale.
In Italia, i dati aggregati sul gender gap toponomastico si possono trovare su Mapping Diversity, una mappa digitale e interattiva che ha abbinato l’archivio di strade e piazze costruito da OpenStreetMap con i nomi su Wikidata a cui quelle strade e piazze sono intitolate (qui c’è la spiegazione della procedura, e delle scelte su cui si è basata).
Dai dati raccolti risulta che nei 21 capoluoghi delle regioni e province autonome italiane ci siano 24.572 strade intitolate a persone (non a nomi comuni, a luoghi o a nomi collettivi): 1.626 di queste (cioè il 6,6 per cento) sono intitolate a donne. Escludendo le martiri o le sante (che rientrano in una narrazione tradizionale di donne spesso intese come vittime), le strade intitolate alle donne scendono a 959.
Su Mapping Diversity è possibile anche consultare dati e mappe specifiche di ciascun capoluogo. Tra le città analizzate Bolzano è quella con la percentuale maggiore di strade intitolate a donne (13 per cento), mentre ad Aosta su 73 strade ce sono solo due dedicate a figure femminili.
A Milano ci sono 2.593 vie e piazze intitolate a persone e 2.466 sono dedicate a uomini (95,1 per cento); 127 sono intitolate a donne e scendono a 95 se si considerano le donne non sante. A Roma ci sono 7.892 vie e piazze intitolate a persone: 7.364 sono uomini, cioè il 93,3 per cento, 528 sono donne, 391 delle quali non sante. Bologna e Torino, per fare altri due esempi, hanno dati molto simili: il 95 per cento delle vie e delle piazze ha il nome di un uomo, mentre sono rispettivamente 43 e 44 i nomi di donne non sante.
Tra i nomi di donne, quello di Maria, la madre di Gesù, è quello più presente; gli altri più comuni sono di sante, con l’eccezione della regina Margherita di Savoia. Tra le non sante e le non aristocratiche la prima della classifica per quantità è la scrittrice Grazia Deledda (10 strade in totale a lei intitolate).
Per quanto riguarda i monumenti la situazione sembra essere la stessa, anche se in Italia non c’è un progetto simile a quello di Mapping Diversity. Fino a qualche giorno fa, a Milano su 121 statue dedicate a personaggi 121 erano di uomini: ora, con Cristina Trivulzio di Belgiojoso il rapporto è di 122 a 121. A Torino o a Napoli non risulta alcun monumento che rappresenti una donna reale che ha fatto la storia della città. A Roma c’è una statua di donna, Anita Garibaldi. Per quanto riguarda i monumenti collettivi e anonimi, come quelli dedicati ai caduti, sono quasi sempre solo di maschi, anche se per esempio secondo i dati dell’Anpi ci furono 35 mila donne partigiane combattenti, di cui quasi 3 mila furono fucilate o impiccate e più di mille morirono combattendo. Le figure di donne che compaiono nei monumenti sono spesso figure religiose, donne che rappresentano allegorie, virtù o figure mitologiche, che incoronano o che piangono, spesso un uomo.
Fuori dall’Italia, la situazione sembra piuttosto simile: come ha riassunto il Sole 24 Ore due anni fa, da una ricerca curata da Statista risulta che negli Stati Uniti e nel Regno Unito le statue pubbliche di donne realmente esistite siano pari rispettivamente al 7 e al 13 per cento del totale.
Va anche tenuto presente che le donne sono state storicamente, e per molto tempo, escluse dall’accesso all’istruzione, alle arti, alle scienze, al lavoro, alla cultura o alla vita pubblica e che questo ha certamente contribuito (almeno fino a un certo punto) a una disparità quantitativa. Ma questo non spiega comunque percentuali così sbilanciate nelle intitolazioni. Come spiega Mapping Diversity, «la preponderanza di figure maschili nelle nostre strade non è solo testimonianza di un fatto storico e culturale, ma è allo stesso tempo una forza, subliminale ma costante, che contribuisce a perpetrare la marginalizzazione del contributo femminile». I nomi delle strade «non sono innocui elementi urbani», ma «hanno un forte potere simbolico, sono stati e continuano a essere frutto di processi decisionali legati alla legittimazione del passato, e alla costruzione della memoria storica collettiva su quel passato».
In Italia, da circa dieci anni è attiva “Toponomastica femminile”, un gruppo indipendente di ricerca e attivismo nato nel 2012 su Facebook, che poi si è trasformato in associazione: censisce il disequilibrio di genere nei nomi delle strade e delle piazze delle città un po’ come ha fatto Mapping Diversity, organizza mostre, attività nelle scuole, e promuove varie campagne. Ogni 8 marzo, ad esempio, chiede a tutti i comuni d’Italia di intitolare tre vie a tre figure femminili.
La toponomastica e il rinominare fisicamente le strade a donne o persone della comunità LGBT+ è una pratica portata avanti anche dal movimento femminista Non Una di Meno, una delle ultime volte a Milano per lo scorso 8 marzo. «Le strade intitolate a donne sono meno di quelle dedicate ai monti, ai fiori e agli arbusti. Così la città si fa specchio della tessitura narrativa della storia che ci hanno insegnato, una storia a metà»: piazzetta Maurilio Bossi è dunque diventata nella notte «piazzetta Sylvia Rivera, icona e militante per i diritti LGBTQIA+, 1951-2002»; Foro Bonaparte è stato ribattezzato «Foro Tina Modotti, fotografa, attrice, militante rivoluzionaria, 1896-1942» e via Mogadiscio invece si è trasformata in «piazza Isabella Marincola, attrice, italiana, nera, antifascista, 1925-2010».
Negli ultimi anni la questione dei monumenti e della toponomastica è stata rilevata anche a livello istituzionale e alcune città hanno iniziato a porvi rimedio. Tra qualche settimana a Bruxelles sarà intitolata una strada a Eunice Osayande, una donna di 23 anni di origine nigeriana che si prostituiva e che fu uccisa nella notte tra il 4 e il 5 giugno 2018. La sua morte aveva causato diverse manifestazioni e proteste, anche perché Eunice Osayande si era rivolta a un’associazione denunciando che, mentre lavorava, stava subendo violenze e intimidazioni.
L’assessora del comune di Bruxelles Ans Persoons, ha spiegato che la femminilizzazione dello spazio pubblico è un loro obiettivo e che diverse strade sono già state intitolate a donne importanti. Ma, ha aggiunto, «Il femminismo per noi non riguarda solo le donne che eccellono. Il femminismo riguarda tutte e comprende i diritti e le lotte delle donne a tutti i livelli sociali». Ha spiegato che il 42 per cento delle donne tra i 16 e i 69 anni ha subito una violenza o un abuso, nella sua vita: «Questa percentuale è molto più alta tra le lavoratrici del sesso. La lotta per abbattere questi numeri follemente alti merita più attenzione e urgenza. Ed è proprio per questo che dedichiamo questa strada a Eunice Osayande».