Perché durante la pandemia sono stati battuti così tanti record sportivi
Tra lockdown ed eventi annullati si temevano infortuni e prestazioni inferiori, ma le Olimpiadi hanno dimostrato il contrario
Le Olimpiadi estive di Tokyo si sono disputate nel mezzo di una pandemia globale e gli atleti ci sono arrivati dopo quasi due anni molto inusuali rispetto al passato: si sono allenati con metodi nuovi e diversi da quelli tradizionali, e hanno disputato meno gare. Per questi motivi, comuni a tutti gli sport, si temevano più infortuni e prestazioni appiattite al ribasso.
Eppure a Tokyo sono stati stabiliti una ventina di nuovi record mondiali, tanti anche per una normale edizione dei Giochi. E sono stati superati record significativi che duravano da decenni, in alcuni casi da più atleti nella stessa gara, e più volte nel giro di poche settimane.
Il norvegese Karsten Warholm, per esempio, ha stabilito un nuovo record nei 400 ostacoli battendo quello che aveva fatto registrare appena un mese prima. Quel record durava da 29 anni e in un mese Warholm lo ha battuto due volte. Se non fosse stato per lui, a Tokyo lo stesso record lo avrebbe battuto anche il secondo classificato della finale, l’americano Rai Benjamin, medaglia d’argento.
Sempre alle Olimpiadi, nella stessa gara a ostacoli, ma femminile, l’americana Sydney McLaughlin ha battuto il suo stesso record stabilito a inizio 2021. La seconda classificata, Dalilah Muhammad, ha realizzato il secondo tempo più veloce di sempre. Il terzo e ultimo record dell’atletica è arrivato dal salto triplo femminile, con la venezuelana Yulimar Rojas che lo ha migliorato dopo 26 anni.
Questi sono soltanto i record dell’atletica leggera. Tra i venti registrati a Tokyo, quattro sono arrivati dal sollevamento pesi, sei dal nuoto, uno dall’arrampicata, tre dal tiro al volo e altri tre dal ciclismo su pista, uno dei quali realizzato dalla squadra italiana (per due volte).
Solitamente i nuovi record mondiali tendono ad arrivare a gruppi ben distinti, favoriti dalle innovazioni e dalle individualità che lasciano il segno in un determinato periodo e in ciascuna disciplina. Così è stato anche alle Olimpiadi di Tokyo, nonostante tutte le difficoltà portate dalla pandemia.
Tra le motivazioni dietro questo inaspettato picco di prestazioni, le prime a essere analizzate hanno riguardato le tecnologie. Nell’atletica, per esempio, si è parlato molto delle caratteristiche innovative della pista di atletica dello Stadio Nazionale di Tokyo, realizzata dall’azienda italiana Mondo con delle nuove formule.
Secondo l’azienda la pista ha influito fino al 2 per cento sulle prestazioni. Costata oltre 1 milione e mezzo di dollari e sviluppata in tre anni, è servita ad assorbire gli urti delle falcate e a restituirne la spinta come mai era successo prima. Un po’ tutti gli atleti se ne sono accorti: McLaughlin, l’ostacolista primatista mondiale, aveva detto di poter «sentire il rimbalzo» durante la corsa.
Tra le nuove tecnologie non è stata soltanto la pista a favorire la velocità. Anche le scarpe, l’altro supporto fondamentale a disposizione degli atleti, hanno dato il loro contributo. Da quando Nike ha introdotto la tecnologia Vaporfly, che secondo la multinazionale americana può influire fino al 4 per cento sull’energia spesa durante la corsa, tutto il settore ha seguito quella strada. Combinando una schiuma morbida, cedevole e resistente con una piastra in fibra di carbonio rigida e curva a supporto della stabilità del piede, i nuovi modelli usati dagli atleti a Tokyo hanno fatto la loro parte.
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L’evoluzione tecnologica ha riguardato anche altri sport, come il sollevamento pesi. Negli ultimi anni i sollevatori hanno migliorato le loro prestazioni con l’aiuto di nuove cinture e nuovi indumenti che forniscono più sostegno alle articolazioni. Secondo Oliver Lee Bateman, giornalista esperto di sollevamento pesi, i recenti miglioramenti nella disciplina sono stati «folli».
In generale, però, il contributo della tecnologia arriva fino a un certo punto e non dà una spiegazione completa alla grande quantità di record stabiliti in una pandemia, dal nuoto al tiro al volo. Gli studi a riguardo si stanno concentrando sui metodi di allenamento, e su come questi siano cambiati completamente negli ultimi due anni, tra lockdown e un minor numero di gare e quindi anche di spostamenti.
Emmet Crowley, ricercatore in salute e attività fisica presso l’Università di Limerick, sostiene che la pandemia abbia insegnato agli atleti come allenarsi in modo più intelligente e pianificato, con carichi di lavoro meno pesanti ma meglio eseguiti. Tre mesi prima delle Olimpiadi, l’Economist scriveva: «I ricercatori hanno scoperto che gli allenamenti di sollevamento con pesi più pesanti e meno ripetizioni aumentano i picchi di forza. Hanno anche imparato che la quantità di energia spesa da un corridore a una determinata velocità può essere migliorata con allenamenti di resistenza e intervalli ad alta intensità».
Crowley crede che questo periodo stia segnando un punto di svolta per lo sport, proprio con la diffusione di metodi di allenamento a bassa intensità intervallati da brevi momenti più intensi: «C’è più tempo per riposarsi e recuperare. Possiamo quindi allenarci in modo più intelligente senza eccessi, evitando l’esaurimento fisico ed emotivo, il cosiddetto burnout». Secondo Oyvind Sandbakk, professore di neurologia e scienze motorie all’Università norvegese di scienza e tecnologia, questo ragionamento non si applica tuttavia agli sport di resistenza. In quell’ambito gli allenamenti sono rimasti gli stessi, o addirittura sono diventati più frequenti, vista l’assenza di gare e spostamenti.
Secondo l’Economist, in ogni caso, il miglioramento delle prestazioni al netto delle innovazioni tecnologiche si deve principalmente a un motivo già conosciuto: il perfezionamento dei sistemi di allenamento, la cui evoluzione, favorita o meno dalla pandemia, prosegue ininterrottamente dalla metà del Novecento. Semplicemente, per l’Economist «la scienza continua a fare la sua parte per rinforzare gli atleti e dare loro nuovi vantaggi».
Da decenni l’umanità si chiede periodicamente quando raggiungerà i suoi limiti fisici, un momento oltre il quale i record sportivi diventeranno una rarità. Eppure questo limite non sembra ancora vicino: come dimostrano i risultati, dal secondo dopoguerra i record sportivi hanno sempre continuato a essere battuti, anche se con minore frequenza e con margini più piccoli, anche in una pandemia.