Angela Merkel è femminista?
Non c’è una risposta univoca: per tutta la sua carriera politica aveva rifiutato di essere definita così, ma la scorsa settimana ha cambiato idea
di Alessandra Pellegrini De Luca
Mercoledì 8 settembre, mentre era ospite a un incontro insieme alla scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie, autrice del saggio Dovremmo essere tutti femministi, la cancelliera tedesca Angela Merkel ha detto: «Sono femminista», e ha aggiunto, citando il saggio di Adichie, «sì, dovremmo essere tutti femministi». Una delle organizzatrici dell’incontro ha accolto le parole di Merkel con un’esclamazione di gioia e sorpresa, accompagnata da altrettante esclamazioni e da applausi da parte della platea.
Durante i suoi sedici anni di cancellierato, Merkel si era sempre rifiutata di essere definita una «femminista», talvolta anche mostrandosi riluttante ad accettare riforme per la parità di genere. C’è chi l’ha criticata, e chi ha detto che è una femminista nei fatti più che nelle parole, perché è diventata un modello per molte donne e perché negli ultimi anni la Germania è diventata un paese sempre più inclusivo e paritario.
Angela Merkel, 67 anni, è da anni il personaggio politico più importante e influente in Europa. Ha guidato per 18 anni (dal 2000 al 2018) il partito Unione Cristiano-Democratica (CDU), portandolo da un orientamento conservatore a uno più centrista. Dal 2005 è cancelliera della Germania, incarico che si concluderà dopo le elezioni del 26 settembre, quando si voterà per rinnovare il parlamento federale tedesco.
Merkel ha detto che si ritirerà dalla politica attiva e il comitato esecutivo del suo partito ha scelto Armin Laschet, attuale primo ministro della Renania Settentrionale-Vestfalia, come candidato cancelliere al suo posto. Laschet non è un politico particolarmente apprezzato ed è improbabile che il partito di Merkel vinca le elezioni: con la fine del suo cancellierato si chiuderà quindi un capitolo importante della storia politica tedesca, e la sua decisione di non ricandidarsi avrà grandi conseguenze sul futuro politico della Germania e con tutta probabilità anche dell’Unione Europea.
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Il sito Forbes ha definito in più occasioni, e per svariati anni consecutivi, Angela Merkel «la donna più potente del mondo».
Cresciuta nel clima austero della Germania dell’Est, figlia di un teologo e di un’insegnante, prima di entrare in politica Merkel si laureò in fisica e fece un dottorato in chimica quantistica. Merkel è il cognome del suo primo marito, che lei ha scelto di mantenere anche dopo il divorzio. Quando nel 2005 vinse le elezioni e divenne cancelliera, la prima cancelliera donna della storia della Germania, il suo predecessore Gerhard Schröder disse che non sarebbe mai stata all’altezza del suo ruolo. Nel 2018, quando fece il suo ultimo discorso come leader della CDU, alle sue parole seguirono dieci minuti di applausi.
The end of an era: Angela #Merkel steps down as #CDU party leader – honored with a seemingly endless standing ovation. #cdubpt18 #cdupt18 pic.twitter.com/AqHCKOQv2d
— DW Politics (@dw_politics) December 7, 2018
Al di là delle sue convinzioni politiche, Angela Merkel è considerata da molti un modello di emancipazione femminile e la sua storia è stata vista come un importante precedente per quanto riguarda il ruolo delle donne in politica.
Dal concetto di femminismo, tuttavia, Angela Merkel si è sempre tenuta abbastanza a distanza. In un’intervista del 2019 con la scrittrice tedesca Jana Hensel, quando le aveva chiesto se fosse consapevole del fatto che molte donne la ammiravano, Merkel aveva risposto che no, non ne era consapevole, e che credeva comunque che la loro ammirazione non dipendesse dal fatto che lei era una donna, ma dal lavoro che aveva svolto. Merkel aveva anche aggiunto che l’ammirazione, così come le critiche, non dipendono mai dal genere della persona ammirata o criticata, ma dal suo lavoro.
Hensel l’aveva incalzata, sottolineando che il fatto che tante donne la considerassero un modello aveva un significato: lei aveva risposto che, da cancelliera, le sue interlocutrici non erano solo le donne tedesche, ma il popolo tedesco nel suo insieme. Solo alla fine dell’intervista aveva concesso che sì, le donne affrontavano più difficoltà degli uomini nel mondo, e che quindi la cosiddetta diversity (cioè il rispetto di tutti indipendentemente da sesso, etnia, orientamento sessuale) – «come così elegantemente la definiamo», aveva aggiunto, quasi a prendere garbatamente e un po’ ironicamente le distanze da un termine avvertito come inusuale nel proprio vocabolario – era importante.
Merkel ha poi sempre sostenuto che la sua importanza per le donne fosse in qualche modo un fattore automatico, legato al suo stesso essere una donna in una posizione di rilievo, e che non richiedesse quindi, da parte sua, un qualche accompagnamento di parole e commenti.
Nel 2017, poi, nel corso di un evento del Fondo Monetario Internazionale (FMI), alla domanda della moderatrice che le chiedeva se si considerasse femminista, Merkel aveva sorriso, tra i commenti e gli incoraggiamenti del pubblico e delle altre ospiti, per poi dire che no, non voleva darsi un titolo che non le competeva.
In altre occasioni, Angela Merkel si è espressa più direttamente sulla parità di genere, dicendo per esempio che era contrariata dalla poca presenza di politiche donne nel parlamento tedesco e che «la parità di genere non è stata raggiunta, e c’è ancora molto da fare». Merkel, poi, si era detta lieta del fatto che la rivista Time avesse dedicato la propria copertina al movimento femminista MeToo. Complessivamente, però, Merkel non ha mai assunto una posizione chiara e forte sulla parità di genere, e questo è diventato con gli anni un tratto caratterizzante della sua immagine.
Sul rapporto indiretto e recalcitrante di Merkel col femminismo si è scritto più volte, e lei è stata definita in più occasioni una «femminista riluttante». Anche l’operato politico di Angela Merkel sulla parità di genere è stato visto in vari modi, non riconducibili a un’unica lettura.
Merkel, per esempio, si era detta scettica rispetto a un disegno di legge volto ad aumentare la presenza delle donne nei consigli di amministrazione, salvo poi trovare un accordo su quella stessa proposta. Si era inizialmente opposta anche alla legge del Parlamento tedesco per legalizzare i matrimoni tra persone dello stesso sesso, per poi cambiare idea.
Su temi come l’aborto ha sempre tenuto posizioni cautamente favorevoli alla libertà di scelta. Si è espressa in più occasioni anche sulla violenza contro le donne, condannandola, anche se in Germania la raccolta dei dati relativi alla violenza di genere non soddisfa ancora i criteri previsti dalla Convenzione di Istanbul, un accordo internazionale che fu promosso dal Consiglio d’Europa nel 2011 ed entrò in vigore nel 2014 per prevenire e combattere la violenza contro le donne.
Tutto sommato, però, si ritiene che nell’arco del cancellierato di Merkel la Germania sia diventata un paese più paritario e inclusivo, con una serie di provvedimenti – legati per esempio alla gestione della cura parentale, al mondo del lavoro, e alla discriminazione di genere – che hanno migliorato le condizioni di vita di categorie tradizionalmente più svantaggiate della società e delle donne. Secondo lo European Gender Equality Index (un rapporto che valuta annualmente il progresso dei paesi europei rispetto alla parità di genere) del 2019, su questi temi la Germania è progredita in modo significativo tra il 2005 (quando Merkel è diventata cancelliera) e il 2017.
Non tutti concordano sul fatto che questo progresso sia dovuto in modo univoco e diretto all’operato di Angela Merkel, anzi. Alcuni studiosi dell’Università di Washington che hanno tentato di fare un bilancio sul ruolo che ha avuto nel progresso della Germania rispetto alla parità di genere, per esempio, pensano che Merkel abbia «agito dietro le quinte», in modo spesso più indiretto che diretto, facilitando l’implementazione di riforme e provvedimenti da parte di altri partiti più progressisti del suo.
Altri hanno considerato il progresso ottenuto durante il cancellierato di Merkel insufficiente o minore rispetto a quanto si sarebbe potuto ottenere. Il numero di donne nei governi da lei guidati, per esempio, è nel tempo diminuito, e la scrittrice femminista tedesca Anne Wizorek ha detto: «Se parliamo di combattere per la parità di genere, del fatto che Merkel abbia reso questo aspetto una parte importante della sua agenda politica, beh, non possiamo certo dire che si sia data molto da fare».
Comunque la si veda, resta il fatto che, nel corso del cancellierato di Angela Merkel, alcuni risultati ci sono stati, e proprio nella sfera su cui Merkel si è sempre mantenuta esteriormente molto neutra e distante.
La posizione di Angela Merkel rispetto ad alcune questioni femministe è stata variamente commentata. Alcune hanno interpretato la sua cautela nel pronunciarsi in modo attivo sulla parità di genere come risultante da un approccio soprattutto pragmatico, volto più che altro alla soluzione dei problemi pratici.
Sono di questo parere Hiltrud Werner, l’unica dirigente donna della società automobilistica Volkswagen, e Ellen Ueberschär, presidente della Fondazione Heinrich Böll, legata al partito tedesco dei Verdi. È di questo parere anche Joyce Marie Mushaben, studiosa tedesca ed ex direttrice dell’Institute for Women’s & Gender Studies all’Università del Missouri-St.Louis: secondo lei, per quanto riluttante ad assumere posizioni femministe, Merkel ha comunque fatto più di qualunque altro cancelliere per quanto riguarda la parità di genere.
Ute Frevert, storica tedesca esperta di questioni di genere, ha invece commentato l’immagine sobria e discreta di Angela Merkel come un modo di essere «gender neutral», cioè né troppo femminile né troppo maschile, e dunque un esempio di superamento degli stereotipi di genere.
Sul rapporto tra Angela Merkel e il femminismo ha scritto anche Alice Schwarzer, nota giornalista femminista tedesca e fondatrice della rivista femminista EMMA.
In un lungo articolo pubblicato su EMMA qualche settimana fa, Schwarzer ha ripercorso l’intera carriera di Angela Merkel, ricordando svariati episodi della sua storia politica. Schwarzer scrive che è rimasta spesso delusa dalla ritrosìa di Angela Merkel ad assumere posizioni apertamente femministe, ma che ha sempre considerato questo atteggiamento una sorta di prezzo da pagare per essere entrata a far parte di una classe dirigente conservatrice che fino a quel momento era stata interamente maschile.
Tenendo conto dei diversi aspetti che hanno composto la vita di Angela Merkel (tra cui il fatto di essere cresciuta nell’ambiente non proprio liberale della Germania Est) e pur criticandola per quanto avrebbe potuto fare di più, Schwarzer ha concluso che Merkel lascia comunque dietro di sé un’eredità definibile femminista, laddove tante ragazze e donne la considerano una fonte d’ispirazione, e possono anche grazie a lei immaginare più facilmente di poter avere un ruolo in ambiti che fino a pochi decenni fa si consideravano di solo dominio maschile.
«La sua sola esistenza», ha detto Schwarzer in questi giorni, «è uno statement femminista».
Una possibile risposta alla domanda “Angela Merkel è femminista?”, comunque, consiste nella definizione che lei stessa ha dato del concetto di femminismo.
Merkel ha detto più volte, e lo ha ribadito anche durante l’incontro con la scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie di qualche giorno fa, che per lei il concetto di femminismo identifica un movimento politico ben preciso, con una sua dimensione storica e ideologica dai contorni definiti, di cui lei non ha mai fatto parte per quanto ne condividesse molte delle idee.
La storia politica di Merkel, in effetti, si è svolta fuori dai confini del femminismo, se con femminismo intendiamo il movimento storico nato più di due secoli fa e portato avanti da determinate figure sulla base di determinati riferimenti culturali, politici e ideologici. Per una donna della generazione di Angela Merkel, dirsi «femminista» significa identificarsi con quegli stessi riferimenti: «Considero femministe donne come Alice Schwarzer o Marie Juchacz [una nota politica socialista della prima metà del Novecento], che insieme ad altre ha combattuto per il voto alle donne più di cento anni fa. Loro hanno combattuto tutta la vita per i diritti delle donne e io non posso dire di aver fatto la stessa cosa», ha detto Merkel alla scrittrice tedesca Jana Hensel.
Qualche giorno fa, Merkel ha deciso per la prima volta di accettare questa definizione, scegliendo di basarsi su una definizione più ampia, potremmo dire valoriale, di femminismo, inteso come l’idea che, con le sue parole, «le donne e gli uomini sono uguali nel loro diritto a partecipare alla sfera sociale e a tutti gli altri ambiti della vita».
È una definizione senz’altro molto vasta, e che Merkel ha scelto di accettare solo alla fine della sua carriera politica, esempio, comunque la si veda, dei diversi modi e livelli di attività con cui gli obiettivi del femminismo possono essere raggiunti.
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