Creare elefanti-mammut per salvare l’Artico

È l'idea di Colossal, una società statunitense che lavora a una nuova specie di elefanti asiatici resistenti al freddo, per ridurre lo scioglimento del permafrost

(Wikimedia)
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George Church ha 67 anni, è un genetista statunitense e si è messo in testa di modificare geneticamente gli elefanti dei giorni nostri, in modo che possano somigliare ai mammut, i grandi animali che si estinsero circa 4mila anni fa. Per farlo ha da poco fondato Colossal, una società che può contare su cospicui finanziamenti per lavorare sui geni dei mammut, in modo da ottenere elefanti asiatici ibridi che possano vivere nel rigido clima dell’Artico. Secondo Church, questi nuovi elefanti potrebbero contribuire a ripristinare gli ecosistemi artici, contrastando gli effetti del riscaldamento globale e l’emissione di nuova anidride carbonica, il principale gas serra.

Fino a qualche tempo fa, il piano di Church era di de-estinguere i mammut veri e propri, un progetto estremamente ambizioso e che aveva ottenuto grande attenzione da parte dei media. Il nuovo progetto è una sorta di evoluzione del precedente, per il quale non sembra comunque ci sia stata una completa rinuncia. Le sfide scientifiche e tecniche per ottenere i nuovi pseudo-elefanti artici sono comunque enormi, senza contare i problemi etici derivanti dalla scelta di provare a modificare una specie vivente.

Permafrost
L’idea di sfruttare le conoscenze maturate in questi anni sull’ingegneria genetica per ridurre gli effetti del cambiamento climatico era venuta a Church una decina di anni fa, quando nel corso di un convegno aveva conosciuto Sergei Zimov, geofisico russo e tra i massimi studiosi del permafrost, la parte del suolo che nelle regioni fredde rimane perennemente ghiacciata nonostante i cambiamenti stagionali. All’epoca, Zimov segnalava già da tempo i grandi pericoli derivanti dall’aumento della temperatura media nell’Artico, principale causa della perdita di permafrost.

Il permafrost ricopre circa un quarto dell’emisfero nord della Terra e si stima che al suo interno siano accumulati tra i 1.400 e i 1.600 miliardi di tonnellate di anidride carbonica, contenuta per esempio nelle carcasse degli animali o nelle piante antiche sepolte nel ghiaccio: il doppio della quantità che si trova nell’atmosfera e il triplo di quella che si trova in tutte le foreste del pianeta.

Con lo scioglimento dei ghiacci l’anidride carbonica viene rilasciata insieme ad altri gas, come il metano, che contribuiscono all’effetto serra, alimentando il riscaldamento globale che a sua volta provoca l’accelerazione dello scioglimento del permafrost, con numerose conseguenze per l’ambiente.

Anomalie nella temperatura del permafrost riferite al 2017 (Copernicus)

Ripopolamento
Zimov spiegò a Church di avere elaborato un sistema per evitare che ciò accadesse, pensando a come funzionavano le cose un tempo nell’Artico. Decine di migliaia di anni fa, buona parte del Nord America, dell’Asia e dell’Europa era infatti ricoperta da floride steppe, popolate da numerose specie di erbivori, compresi i mammut. A cominciare da circa 10mila anni fa, molti di questi animali si estinsero anche a causa delle attività umane come la caccia. La mancanza di erbivori portò a una progressiva trasformazione delle steppe, sulle quali iniziarono a crescere cespugli e alberi, portando alla formazione della taiga e della tundra dei giorni nostri.

Rifacendosi alla storia antica di quei luoghi, Zimov insieme al figlio Nikita aveva fondato il Parco del Pleistocene nella Siberia nord-orientale, popolandolo con cavalli Yakut, alci, renne, pecore, buoi e altri ruminanti. Nel corso degli anni il parco si sarebbe via via espanso e oggi è considerato un importante laboratorio a cielo aperto per verificare la possibilità di ripristino di un intero ecosistema andato perduto, e che potrebbe contribuire a ridurre gli effetti del riscaldamento globale.

Zimov pensa che i mammut avessero un ruolo centrale nel mantenere le praterie artiche. Erano grandi come gli odierni elefanti asiatici, anche se c’erano alcune specie che raggiungevano dimensioni maggiori, e contribuivano a ridurre la presenza di alberi e arbusti, concimando inoltre il suolo rendendolo più fertile. Con le loro zampe comprimevano la neve e il ghiaccio, che potevano penetrare in maggiore profondità nel permafrost, facilitando il mantenimento delle basse temperature.

Geni e mammut
Dopo avere fatto conoscenza con Zimov, Church si era messo al lavoro per studiare il DNA dei mammut e le caratteristiche genetiche degli attuali elefanti. Le ricerche erano però andate a rilento sia per i pochi fondi disponibili, sia per la partecipazione su base volontaria e saltuaria dei ricercatori. La fondazione di Colossal potrebbe ora portare a un’accelerazione: la società può contare su un finanziamento iniziale di 15 milioni di dollari, forniti da diversi investitori della Silicon Valley. È una quantità di denaro considerevole, soprattutto in un settore dove difficilmente circolano investimenti così cospicui.

Negli ultimi mesi Colossal ha assunto e avviato collaborazioni con esperti nel campo dell’ingegneria genetica e dello studio delle antiche specie ormai estinte. Il loro obiettivo è di sostituire alcuni geni degli elefanti asiatici, in modo da derivare una nuova specie che possa sopravvivere nell’Artico. Farlo non è però un’impresa semplice, considerato che gli antenati comuni di elefanti e mammut vissero circa sei milioni di anni fa, e che le varie specie successive andarono incontro alle loro evoluzioni.

Per ora i ricercatori hanno identificato 60 geni di mammut che potrebbero rivelarsi utili se trasferiti negli elefanti asiatici. Questi geni sono coinvolti nella formazione dello spesso strato di pelo che consentiva ai mammut di resistere al freddo, ma anche nella distribuzione della quantità di grasso. L’inserimento di questi geni comporta un lavoro lungo ed elaborato, che Church ha perfezionato negli ultimi anni utilizzando una diffusa tecnica di editing genetico (CRISPR-Cas9) per condurre alcuni esperimenti sui maiali, con l’obiettivo di far produrre loro organi che possano essere trapiantati negli esseri umani con minimi rischi di rigetto.

Non è comunque sufficiente selezionare un gene e sostituirlo a un altro per ottenere un risultato. Numerose altre variabili determinano infatti il modo in cui un organismo ha particolari tratti e non altri, e farlo partendo da animali estinti e sui quali le conoscenze sono limitate è un’ulteriore complicazione. Analizzando gli embrioni ibridi dovrebbe essere possibile identificare eventuali problemi di sviluppo, con la mancata manifestazione dei tratti desiderati, ma alcuni di questi potrebbero diventare evidenti solo in una fase ormai avanzata.

Gli elefanti asiatici appartengono inoltre a una specie a rischio, e non potrebbero essere utilizzati per condurre la gestazione degli ibridi. Colossal ha quindi in programma di utilizzare un utero completamente artificiale per farlo, anche se le sperimentazioni condotte finora da altri centri di ricerca hanno portato a esiti poco soddisfacenti. Un’ulteriore complicazione è data dal fatto che la gestazione degli elefanti dura quasi due anni, e che man mano che cresce un feto arriva a pesare fino a 90 chilogrammi prima della nascita.

Difficoltà
Come segnala un lungo articolo del National Geographic, l’iniziativa di Colossal ha numerose implicazioni dal punto di vista etico. Gli elefanti vivono a lungo, hanno una spiccata intelligenza e sono animali sociali, con una complessa struttura matriarcale. Si porrebbe quindi il problema per i primi ibridi di sviluppare la medesima socialità, fondamentale per la loro sopravvivenza soprattutto in un ambiente ostile come quello Artico.

Colossal sostiene di essere al lavoro anche su questo punto, tramite un proprio comitato bioetico. S. Matthe Liao (New York University) è uno dei suoi membri e sempre al National Geographic ha detto: «Non è solo questione di farli esistere, ma anche di assicurarsi che una volta esistenti possano prosperare e vivere pienamente. Altrimenti, sarebbe una crudeltà verso questi animali».

Già in passato Church aveva ricevuto critiche per alcuni dei suoi progetti e i più critici ritengono che si ponga obiettivi irrealizzabili, per lo meno con le attuali tecnologie. Colossal potrebbe essere l’occasione per mettere ordine nelle sue idee e organizzare meglio le sue attività di ricerca, con la pubblicazione di qualche studio sulle riviste scientifiche, come richiesto da tempo da altri ricercatori. Church è comunque convinto che il primo elefante-mammut potrebbe esistere tra sei anni, e che entro un decennio ci potrebbe essere la prima mandria pronta per calpestare il permafrost.