Cosa sappiamo del rapimento di Eitan Biran, portato in Israele
È il bambino sopravvissuto all'incidente del Mottarone, affidato ai parenti paterni in Italia e portato via dal nonno materno
La vicenda che ha coinvolto Eitan Biran, il bambino di sei anni unico sopravvissuto dell’incidente della funivia del Mottarone, è complessa e dolorosa e viene raccontata dalla famiglia materna e da quella paterna in due maniere del tutto opposte. Sabato 11 settembre Eitan, che dopo essere sopravvissuto all’incidente aveva vissuto in provincia di Pavia con la zia paterna, è stato portato in Israele dal nonno materno, Shmuel Peleg, che, senza il consenso dell’altro ramo familiare, l’ha condotto fuori dall’Italia prima in auto fino alla Svizzera e poi con un volo privato da Lugano a Tel Aviv. Il ramo familiare paterno parla esplicitamente di «rapimento». Quello materno replica: «Abbiamo rispettato la volontà dei genitori che non ci sono più. Loro volevano far crescere i loro bambini in Israele».
Il 23 maggio, alle 12.30, la funivia che da Stresa conduce alla vetta del monte Mottarone, sulla sponda piemontese del Lago Maggiore, precipitò per la rottura di una fune (l’inchiesta della magistratura per accertare le responsabilità è in corso). A bordo c’erano 15 persone, morirono in 14. Si salvò Eitan Biran, che perse il fratello Tom, di due anni, il padre Amit Biran, la madre Tal Peleg Biran e i bisnonni Itshak e Barbara Cohen. Eitan è nato in Israele ma è cresciuto in Italia, a Pavia. Il padre, Amit, lavorava alla scuola ebraica di Milano, la madre aveva studiato psicologia a Pavia e stava per iniziare un tirocinio alla clinica Maugeri.
Dopo l’incidente e dopo aver trascorso parecchie settimane in ospedale, Eitan, che ancora oggi si muove con l’aiuto di un girello a causa dei traumi subiti alle gambe, era andato a vivere con la famiglia della zia paterna Aya Biran, a Travocò Siccomario, nel pavese, non lontano da dove abitava con i genitori. La zia era stata indicata dal tribunale di Pavia come tutrice legale del bambino.
Nelle intenzioni della famiglia Biran, Eitan dovrebbe continuare a vivere in Italia: il bambino era stato iscritto a scuola e a Pavia continuava a seguire sedute di fisioterapia e di psicoterapia. Questa settimana avrebbe dovuto fare un controllo in ospedale. La decisione del tribunale italiano era stata contestata duramente dalla famiglia Peleg, cioè il ramo materno: secondo i nonni e le zie, più volte i genitori del bambino avevano espresso la volontà di tornare a vivere in Israele. I Peleg avevano anche detto che Tal e Amit si rivolgevano a Eitan in ebraico, che parlavano in continuazione di Israele e di ebraismo. E a sostegno delle loro affermazioni citavano anche il fatto che Tal e Amit fossero stati sepolti in Israele.
Il tribunale di Pavia aveva sempre respinto i loro ricorsi e aveva anche intimato al nonno Shmuel Peleg di restituire il passaporto israeliano del bambino (Eitan ha doppio passaporto, israeliano e italiano). Shmuel avrebbe dovuto farlo entro il 30 agosto ma la decisione del tribunale non era stata rispettata. L’11 agosto le sorelle della mamma di Eitan, Gali e Aviv, e il fratello Guy, avevano tenuto una conferenza stampa accusando la zia paterna Aya Biran di non dare loro notizie del bambino e di tenerlo segregato in Italia.
Sabato mattina Shmuel Peleg – che è un ex militare dell’esercito israeliano – ha preso Eitan, l’ha fatto salire su un aereo privato e i due sono volati fino a Tel Aviv. Il nonno si era presentato due ore prima davanti alla villetta dove vive Eitan per una delle due visite settimanali concordate in tribunale. Secondo quanto raccontato dalla zia paterna ai giornali, Shmuel ha detto che sarebbe andato a comprare giocattoli con Eitan e poi non ha dato notizie fino alle 18.30.
A quel punto sul telefono cellulare di Aya è arrivato un messaggio da parte della zia materna Gali Peleg: «Eitan è a casa», ha scritto. Ora Eitan sarebbe, secondo quanto detto sempre dalla zia materna, a fare dei controlli all’ospedale Tel HaShomer di Tel Aviv.
A Pavia è stata aperta un’inchiesta: il reato ipotizzato è sequestro aggravato di persona. Secondo l’avvocata Cristina Pagni, che assiste civilmente Aya Biran, Eitan non poteva espatriare, se non accompagnato dalla zia paterna.
Non è probabilmente casuale che Eitan sia stato portato via proprio il sabato precedente all’inizio della scuola. Il bambino era stato iscritto a una scuola cattolica, una decisione molto contestata dalla famiglia Peleg: «Deve frequentare una scuola ebraica», avevano detto durante la conferenza stampa dell’11 agosto. Alla base dell’astio tra i due gruppi ci sarebbero anche altre questioni, almeno a quanto sostiene Etty Peleg, la nonna di Eitan da parte di madre, secondo cui la sua famiglia, sefardita (cioè originaria della penisola iberica o di altri paesi mediterranei), sarebbe disprezzata dai Biran, di origine invece ashkenazita (cioè originari dell’Europa orientale): «La loro», aveva dichiarato Etty al giornale isrealiano Israel Hayom, «è la tipica alterigia europea».
In più ci sarebbero anche ragioni politiche. Sempre Etty aveva detto: «Non ho mai nascosto che noi siamo di destra», alludendo al fatto che invece la famiglia Biran avrebbe simpatie più di sinistra. Etty Peleg nell’intervista ha detto che sua nipote e il marito avevano già comprato un appartamento nella città di Ramat HaSharon, vicino a Tel Aviv, segno evidente della loro volontà di tornare a vivere in Israele.
La famiglia Peleg non sembra affatto preoccupata di aver violato delle disposizioni di un tribunale italiano. Aya Biran, che non aveva mai replicato prima alle accuse provenienti da Israele, ora chiede l’immediato ritorno del bambino in Italia secondo quanto disposto dalla legge italiana e dalla convenzione dell’Aia in materia di tutela dei minori. La convenzione, a cui aderisce anche Israele, stabilisce che in caso di sottrazione internazionale di minore si faccia ricorso ai giudici dello stato dove è stato condotto il bambino. Se viene riscontrata una sottrazione illecita il giudice deve ordinare il rimpatrio nel paese di residenza. A quel punto le decisioni spettano di nuovo ai tribunali italiani. Per gli avvocati della famiglia Biran non c’è alcun dubbio che si debba seguire quanto stabilito dalla convenzione dell’Aia: l’aver portato Eitan in Israele è una sottrazione illecita perché chi lo ha portato via non aveva la sua custodia.
Le due famiglie, tra Italia e Israele, si lanciano ora accuse pesanti. Dice Gali Peleg: «Prima il bambino era in condizioni mentali non buone. Al termine delle nostre visite piangeva, chiedeva se aveva fatto qualcosa di male. Quando è sbarcato l’altro giorno a Tel Aviv ha detto: finalmente sono a casa». Ai giornalisti che le chiedevano di replicare, Aya Biran ha detto: «Io, mio fratello e sua moglie abbiamo condiviso la crescita dei bambini, li abbiamo allattati insieme. Sono stati anni di gite con i passeggini, di pomeriggi passati nella piscinetta in giardino. Sono gli scatti dei nostri momenti insieme, tra dubbi, studi, lavoro, le nostre festività, i Shabbat insieme».
La zia tutrice ha anche detto che Shmuel Peleg è stato condannato in via definitiva in Israele per maltrattamenti all’ex moglie (non c’è però ancora riscontro ufficiale a questa notizia). In una dichiarazione riportata da La Stampa, Aya Biran ha detto: «Siamo molto preoccupati. È un’altra tragedia per Eitan. Un’altra separazione. Io gli lasciavo i miei occhiali quando andavo in bagno per fargli carpire che sarei tornata». Da Isreaele replicano: «Siamo stati obbligati ad agire così, non avevamo notizie sulle sue condizioni mentali e di salute. Potevamo solo vederlo per breve tempo. Lo abbiamo riportato a casa, così come i genitori volevano per lui. Eitan ha urlato di emozione quando ci ha visto, era felice».
Dopo quella a Pavia, è stata presentata una denuncia contro Shmuel Peleg per sottrazione di minore anche in Israele, per fare in modo che venga aperta un’inchiesta della magistratura di Tel Aviv. Il prossimo passo probabilmente sarà la richiesta, da parte della magistratura italiana, di una rogatoria internazionale. I tempi, però, non saranno brevi.