Perché può essere così difficile elaborare il lutto per la morte di un animale domestico
Non abbiamo veri codici sociali per esprimerlo e superarlo, ma per qualcuno è più doloroso di quello legato a persone care
Annette McGivney è una scrittrice di Cortez, una piccola città del Colorado. Insegna giornalismo alla Northern Arizona University e scrive di viaggi ed escursionismo per diversi quotidiani e riviste, tra cui New York Times Magazine, Los Angeles Times e Outside Magazine, apprezzata rivista statunitense dedicata a sport, viaggi e salute. Negli ultimi 15 anni McGivney ha percorso gran parte dei suoi itinerari quotidiani in compagnia del suo cane domestico Sunny, una femmina di labrador retriever, morta a marzo del 2021 in seguito a una diagnosi di cancro.
In un suo lungo articolo su Outside, McGivney ha descritto la sua esperienza e posto una serie di riflessioni riguardo al tema del dolore per la morte di un animale domestico, un argomento lungamente trattato sulla stampa generalista e anche oggetto di interesse scientifico, eppure spesso motivo di disagio per molte persone che faticano a esprimere ed elaborare questo tipo di lutto in forme codificate o socialmente accettate e comprensibili.
«Ora che vado verso i 60 anni, pensavo di avere una consolidata esperienza nell’affrontare la morte dei miei cari. Ma la tristezza per la perdita di Sunny è stata molto più grande di quella che in precedenza provai dopo la morte dei miei genitori, dei miei nonni e anche di altri cani. Ero sorpresa e in un certo senso terrorizzata dalla mia capacità di piangere così tanto», ha scritto McGivney, definendo il lutto per la morte del suo cane «uno tsunami di dolore che mi ha trascinata in mare aperto».
In un articolo pubblicato nel 2002 dall’Animals & Society Institute (ASI), un’organizzazione non profit americana impegnata nella ricerca sulle relazioni tra gli esseri umani e gli animali, la morte di un animale da compagnia era descritta dai partecipanti dei diversi studi presi in considerazione come un evento «devastante quanto la perdita di un essere umano vicino», e in alcuni casi «molto più intenso».
Secondo la psichiatra Sandra Barker, direttrice del Center for Human-Animal Interaction presso la Virginia Commonwealth University, esperta in servizi di sostegno per le persone in lutto per la morte di un animale domestico, i processi di elaborazione di questo tipo di lutto cominciano spesso da un senso di sorpresa e persino di vergogna per il fatto che la morte di un animale domestico possa generare più sofferenza rispetto alla morte di un fratello o di un genitore. «Ma quando si rendono conto che la differenza è che l’animale ha dato loro una compagnia costante e che c’era una dipendenza totale, allora iniziano a rendersi conto che è per questo che stanno soffrendo così intensamente», disse Barker all’autore di un citato articolo pubblicato nel 2012 sul Washington Post.
Eppure quello associato alla perdita di un animale è «un tipo di dolore non ampiamente riconosciuto» e che troppo spesso viene sopportato in silenzio, scrisse sul Guardian nel 2016 l’autrice di libri e psicoterapeuta australiana Eliza Henry-Jones. «La relazione tra una famiglia e il proprio animale domestico è profonda e complessa, perché gli animali diventano parte del tessuto della nostra vita. Migliorano la nostra salute mentale e il benessere generale. Sono una compagnia per chi è solo e un conforto per chi è in difficoltà».
La complessità di queste relazioni, secondo Henry-Jones, è raramente visibile dall’esterno perché è fatta di piccoli momenti che si accumulano e diventano qualcosa di significativo e molto articolato. E questo si riflette nei vari modi in cui le persone poi affrontano e piangono la perdita dei loro animali domestici. La natura varia e individuale delle reazioni, secondo Henry-Jones, «dimostra che non abbiamo tradizioni definite associate alla morte di un animale domestico nella nostra società». In generale, la quantità di risposte al trauma da lei raccolte e analizzate nel corso della sua attività «sembra indicare che le persone non hanno mezzi adeguati per esprimere il loro dolore».
Sebbene gli animali siano comunemente accettati e definiti come parte della famiglia, scrisse, «c’è ancora una percezione schiacciante che la loro perdita non sia un dolore veramente valido». Alcune persone che l’avevano contattata in seguito alla morte di un animale domestico le dissero di provare un senso di colpa e di stigma, nel parlare di quel lutto, e del disagio nel chiedere una pausa dal lavoro, di cui tuttavia sentivano di aver bisogno. Dissero di non sentirsi adeguatamente sostenuti da molte persone che stavano intorno a loro, ma di apprezzare l’empatia mostrata da chi comprendeva quel lutto come reale e normale.
In poche parole, come sostenuto in uno studio pubblicato nel 2003 sulla rivista Professional Psychology: Research and Practice, «molte persone (compresi i proprietari di animali domestici) ritengono che il dolore per la morte di un animale domestico non sia meritevole di tanto riconoscimento quanto la morte di una persona, e sfortunatamente questo tende a inibire le persone nella piena sofferenza per la morte di un animale».
Il dolore può diventare ancora più difficile da superare, secondo Henry-Jones, quando decidiamo di far sopprimere un animale che soffre a causa di una patologia incurabile. «Per molti di noi, decidere quando sopprimere un animale domestico è l’unico momento in cui ci troviamo di fronte a una decisione di vita o di morte. Questa decisione è aggravata dal fatto che non possiamo chiedere loro cosa vogliono. Facciamo la scelta interamente da soli, e la responsabilità e il senso di colpa possono essere schiaccianti», scrisse Henry-Jones.
McGivney ha scritto che al momento della decisione di procedere con l’eutanasia per Sunny sapeva che adattarsi a vivere senza di lei sarebbe stato molto difficile. Nei 15 anni trascorsi insieme al suo cane, McGivney aveva attraversato un «difficile divorzio», cresciuto da sola suo figlio, sopportato la morte dei suoi genitori dopo essersi lungamente occupata di sua madre, affetta da demenza. Aveva sofferto di disturbo da stress post-traumatico (PTSD) e per altri problemi di salute, poi per un trasferimento in una nuova città in cui non conosceva nessuno e, infine, per il lockdown.
«Sunny era come un corrimano lungo l’orlo di una scogliera di centinaia di metri», ha sintetizzato McGivney, soffermandosi poi nella descrizione degli ultimi giorni vissuti con il suo cane.
A marzo scorso, quando io e mio figlio di 24 anni, Austin, abbiamo deciso che era ora di far sopprimere Sunny, lui è volato da Los Angeles a casa mia in Colorado, così da poterla salutare. Sunny era devastata dal cancro ma aveva ancora appetito. Il nostro ristretto branco di tre membri, che era stato il fondamento dell’infanzia di Austin, si è rimpinzato per due giorni e mezzo di salmone, hamburger, salsicce e alcuni degli insoliti piatti preferiti di Sunny, tra cui formaggio Gouda e la torta al limone. Sunny non poteva più fare escursioni nella foresta, ma ci siamo addentrati con lei nel fiume Dolores, dove amava nuotare. Dopo che Sunny è stata soppressa sul suo prato preferito, Austin l’ha portata dentro e l’ha sistemata sul mio letto. L’ho unta con oli essenziali di pino giallo e abete rosso, e le ho legato un grande nastro rosa intorno al collo mentre la preparavamo per il crematorio.
Secondo McGivney, nel caso della morte di un essere umano, i consueti riti funebri contribuiscono a rendere più comprensibile la disperazione emotiva dei cari della persona defunta. «La nostra cultura tratta invece la morte di un animale domestico più come la perdita di un’automobile. Quando si consuma, dovresti semplicemente andare a comprarne un’altra. Amici e familiari bene intenzionati me lo avevano consigliato, nei loro tentativi di aiutarmi a sentirmi meglio. Quello che non comprendevano è che avevo perso una relazione insostituibile, non una proprietà».
Nel tentativo di comprendere meglio le ragioni della sua prolungata sofferenza per la morte del suo cane, McGivney ha parlato con alcuni esperti in elaborazione del lutto per eventi di questo tipo. «I nostri animali domestici sono lì per noi quando altri umani potrebbero non esserci», ha detto lo psicoterapeuta americano Robert Neimeyer, autore di diversi libri sul dolore e direttore del Portland Institute for Loss and Transition, che si occupa di consulenza e terapia del lutto. Secondo Neimeyer, «gli animali forniscono ciò che gli psicologi chiamano una “base sicura” in cui possiamo sentirci amati e creduti incondizionatamente». Per questo motivo vivere con un animale domestico genera la sensazione frequente che gli animali «capiscano intuitivamente le nostre emozioni in modi in cui agli altri non riesce cognitivamente».
«Spesso le persone mi dicono di essere sorprese che questa esperienza sia più difficile che perdere la mamma o il papà. E ci sono molte ragioni per cui è così», ha detto a McGivney Richard Mercer, terapista e coordinatore di un gruppo di supporto per la morte di animali domestici a Boulder, in Colorado. A differenza della perdita dei genitori o di altre persone care che non vivono con noi, secondo Mercer, cani e gatti hanno un posto molto «intimo» nella nostra vita quotidiana, e la loro morte può anche «attivare il dolore per perdite precedenti». Ne soffriamo la mancanza non soltanto per la loro compagnia costante e per il loro «amore incondizionato», ma anche per la loro capacità di fornire delle ragioni per compiere operazioni quotidiane, che siano passeggiate insieme o altri modi di occuparsi di loro.
I legami tra gli esseri umani e gli animali domestici si basano su diversi fattori neurobiologici. «Il nostro campo di ricerca sta appena iniziando a comprendere i benefici positivi che avere un cane ha per la salute umana», ha detto Kevin Morris, direttore di ricerca presso l’Institute for Human-Animal Connection dell’Università di Denver. Come diversi altri studiosi, Morris ritiene che esistano delle ragioni evolutive per cui i cani sono particolarmente abili a creare relazioni con gli esseri umani. «Tutte le razze canine di oggi provengono da lupi che, secondo la teoria, vivevano dei cumuli di spazzatura prodotta dagli umani da 8 a 10 mila anni fa. I cani si sono evoluti per essere compagni delle persone in modi che altri animali domestici non hanno seguito», ha detto Morris.
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Secondo uno studio giapponese pubblicato su Science nel 2015, i legami emotivi che si sviluppano tra gli esseri umani quando si guardano negli occhi sono mediati da un ormone prodotto anche quando a guardarsi negli occhi sono un essere umano e un cane. I ricercatori, in gran parte provenienti dall’Università di Azabu, nella prefettura di Kanagawa, hanno scoperto che i livelli di ossitocina – un ormone prodotto, tra le altre cose, quando ci sentiamo molto felici e che stimola una maggiore fiducia verso gli altri – aumentano sia nei cani che nei loro padroni, in misura diversa, quando cani e padroni si guardano negli occhi.
Conclusioni simili erano state tratte in uno studio precedente, secondo cui le interazioni prolungate tra esseri umani e cani riducono in entrambe le specie anche i livelli dannosi di cortisolo, l’ormone associato tra le altre cose allo stress.
Secondo Mercer, gli esseri umani associano istintivamente la risposta fisica del rilascio di ossitocina alla connessione con il loro cane, «e questo è gran parte di ciò che ci manca quando muoiono». McGivney ha scritto di aver sistemato delle foto del suo cane in tutta la casa, e di andare in giro portandosi dietro il guinzaglio. Mercer le ha spiegato che qualunque cosa possa farla sentire meglio è una buona idea, e sostiene che la spinta – ampiamente accettata nella nostra cultura – ad «andare avanti» dopo la morte di un animale domestico non funzioni fino in fondo.
La cosa migliore da fare, secondo Mercer, è «integrare la perdita nella tua vita costruendo una nuova relazione con un animale domestico che non è più fisicamente presente». È possibile dare forma a questa relazione «onorando i ricordi del nostro animale domestico, raccontando storie, scrivendone in un diario e riconoscendo il nostro dolore». È un modo, aggiunge McGivney, per ricordare non soltanto le azioni del nostro animale domestico durante la sua vita ma anche gli eventi della nostra vita quando quell’animale era vivo e ci sosteneva.
«Uno dei migliori consigli che io abbia ricevuto è stata la licenza di piangere quanto e tutte le volte che ne avevo bisogno. Ho pianto ogni singolo giorno dal 25 marzo, quando è morta Sunny», ha scritto McGivney. Un sentimento simile fu provato anche da Neimeyer, lo psicoterapeuta consultato da McGivney, quando un gatto che aveva da diversi anni morì investito da un’auto. «È stato il dolore più puro e più forte che abbia mai provato in vita mia», ha detto.
Sebbene lasciar scorrere le lacrime in questi casi sia generalmente ritenuto salutare – piangere è il modo in cui il nostro corpo raggiunge un equilibrio omeostatico, in risposta a forti emozioni – è fondamentale non rimanere bloccati nella disperazione, come hanno spiegato gli psicoterapeuti a McGivney. Mercer le ha consigliato di provare a rivolgere i suoi pensieri non alle difficili, ultime settimane di vita di Sunny bensì ai molti momenti felici trascorsi negli anni precedenti. Le ha inoltre suggerito di partecipare a qualche incontro del gruppo di supporto per la perdita di animali domestici che lui coordina a Boulder.
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«La perdita di animali domestici è un dolore senza diritti e non tutti lo capiscono», ha detto Mercer. «Molto di ciò che viene fuori dal gruppo è solo normalizzare e convalidare i nostri sentimenti», ha aggiunto. Alcuni partecipanti tengono in mano la foto del loro animale domestico morto da poco, e piangono semplicemente, ha detto Mercer. Altri raccontano storie di animali domestici morti anni fa. «Ho trovato ogni incontro come un gigantesco abbraccio», ha scritto McGivney.
L’assistenza sociale veterinaria e i gruppi di sostegno per persone in lutto per la morte dei loro animali domestici rappresentano un fenomeno in crescita negli Stati Uniti, ha scritto il giornalista freelance Gavin Jenkins in un articolo pubblicato ad aprile scorso sul Washington Post. Jenkins ha scritto di averlo scoperto in seguito alla morte accidentale di Suzy, un cane che lui e la sua fidanzata avevano preso durante la pandemia e la cui morte, ha spiegato, provocò in lui un dolore amplificato da un profondo senso di colpa (il cane, ancora piccolo, gli sfuggì e finì investito da una macchina il giorno in cui lui aveva dimenticato di mettergli il guinzaglio).
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Cheri Barton Ross, docente di psicologia al Santa Rosa Junior College, in California, si occupa dal 1986 di gruppi di sostegno per proprietari di animali in lutto. «Le persone si sentivano spesso in imbarazzo e isolate nel loro dolore», ha detto, spiegando le ragioni che la indussero a fondare il gruppo. Ross ha raccontato che in alcuni casi, per quanto rari, le persone possono sviluppare un disturbo da stress post-traumatico dopo aver assistito alla morte accidentale del loro animale domestico. E ha detto che a volte la morte di un animale domestico può attivare dinamiche relazionali in cui una persona ne accusa un’altra o accusa se stessa per non essere in grado di superare le diverse fasi del dolore. «Nelle coppie o nelle famiglie, o ti separi o ti unisci in questa crisi», ha detto.
Jenkins ha scritto che all’inizio partecipò agli incontri con riluttanza, a differenza della sua fidanzata. «Una parte di me credeva erroneamente che non parlare dell’incidente avrebbe distolto la mia mente dall’immagine del corpo senza vita di Suzy e avrebbe fatto sparire il dolore più velocemente», ha scritto. Finché un giorno ha spiegato alla sua fidanzata perché preferiva non parlarne: «Rivivo ogni volta nella mia testa l’istante in cui Suzy è stata travolta».
È anche piuttosto frequente, ha raccontato Ross, il caso in cui il luogo dell’incidente innesca flashback dolorosi. Ha fatto l’esempio di alcuni suoi clienti che non percorsero mai più determinate strade e altri che finirono per trasferirsi pur di sfuggire a brutti ricordi. «Ogni singola persona si dà la colpa. Che si tratti di un incidente o di morte naturale di un cane di 15 anni, c’è sempre un senso di colpa», ha detto a Jenkins il veterinario Dani McVety, cofondatore di un gruppo di assistenza domiciliare di fine vita per gli animali. A volte, ha detto McVety, i proprietari incolpano se stessi per non essersi accorti in tempo della malattia del loro animale domestico. Altre volte si rimproverano per aver atteso troppo a lungo prima di accettare l’eutanasia.
Secondo Debbie Stoewen, una veterinaria canadese diventata nel 2005 anche assistente sociale esperta in aiuto per i proprietari di animali domestici, l’evoluzione del legame uomo-animale è visibile nel numero di animali domestici che oggi dormono nei letti dei loro proprietari. «Questo legame intensificato amplifica il dolore [per la morte]», ha detto Stoewen.
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Jenkins ha scritto che la sua elaborazione del lutto per Suzy fu diversa da quella della sua fidanzata. Lei ne parlò con i suoi amici intimi e i suoi familiari, e più parlava, meglio si sentiva. «La mia vergogna era invece così profonda che volevo prendere un altro cane da pastore australiano, chiamarla Suzy e non dirlo mai a nessuno. Da quarantenne senza figli, parte della mia identità era legata all’essere proprietario di un cane, ed ero terrorizzato all’idea che la gente pensasse che non ero bravo», ha scritto Jenkins. Ha aggiunto che la vergogna non è diminuita fino a quando non si è unito a un gruppo Facebook privato dedicato al lutto per i cani morti e si è reso conto di quante altre persone avevano perso animali domestici a causa di incidenti stradali.
Alla fine, Jenkins e la sua fidanzata hanno preso un nuovo cucciolo di pastore australiano. «Non è stato facile. Fino a quando non abbiamo superato il nostro trauma, giocare con il nuovo cucciolo ci ha fatto sentire ancora più in colpa per Suzy, ed eravamo in ansia ogni volta che la portavamo in una strada trafficata o la tiravamo fuori dall’auto», ha scritto Jenkins.
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Come confermato da Neimeyer, uno degli autori e consulenti sentiti da McGivney, autrice dell’articolo su Outside, alcune persone pensano che prendere un nuovo animale domestico dopo la morte di un altro animale sia troppo doloroso, o persino irrispettoso verso l’animale morto da poco. «Ma il modo più profondo di onorare l’animale domestico è applicare le lezioni di amore e di convivenza con questa creatura condividendola con un altro animale, una volta raggiunto il punto appropriato nel processo di lutto», ha detto Neimeyer. «Questo tipo di amore è così forte che sopravvive all’assenza fisica dell’animale», ha aggiunto.
In uno studio condotto da ricercatori dell’Università di San Francisco e della Pacific Graduate School of Psychology dell’Università di Palo Alto, nel 2016, molti dei partecipanti che avevano da poco perso un animale domestico riferirono una migliore capacità di relazionarsi con gli altri e di provare empatia per i loro problemi, oltre che un maggior senso di forza personale e di gratitudine.
La morte di un animale domestico rappresenta un momento potenzialmente critico e difficile da superare anche per i bambini, per i quali, secondo lo psicologo clinico di Chicaco Leigh Chethik, quella morte può configurarsi come una sorta di «prova generale per la perdita di un membro della famiglia». «Con la morte di un animale domestico, i bambini sono spesso esposti a una nuova crisi o lotta esistenziale: l’idea della mortalità. Le cose che amiamo e a cui teniamo non sono per sempre. Possiamo perdere e perderemo cosa e chi amiamo», ha detto Chethik.
Fornire assistenza ai bambini nell’elaborazione del lutto è fondamentale per evitare che un dolore profondo e persistente possa portare a successivi problemi di salute, come sostenuto da un recente studio condotto da ricercatori del Massachusetts General Hospital. «L’attenzione, il sostegno, l’onestà, la condivisione e la comprensione che il bambino riceve durante questo periodo di dolore creeranno un modello emotivo per le perdite umane che inevitabilmente arriveranno sulla sua strada», ha detto Chethik.
McGivney ha scritto di aver contattato a giugno scorso i responsabili di un’associazione che si occupa di soccorso e adozioni di cani feriti o in difficoltà, e di aver dato loro la sua disponibilità ad adottare un cane in futuro, magari nel 2022. È stata invece ricontattata dopo poche settimane: «so che non avevi intenzione di adottarne uno a breve, ma c’è questo cane che ha proprio bisogno, e tu saresti la proprietaria perfetta», le hanno detto.
Le hanno proposto di adottare un labrador femmina di un anno e mezzo, il cui proprietario soffriva di una grave demenza e la teneva tutto il giorno fuori casa in uno spazio ristretto delimitato da muri in cemento. Un vicino aveva contatto l’associazione per segnalare la sofferenza del cane, rimasto all’esterno giorno e notte anche durante le recenti ondate di caldo. I vicini non sapevano neppure se il proprietario le stesse dando da bere e da mangiare.
McGivney ha detto di aver voluto seguire i consigli ricevuti nei mesi scorsi dai vari esperti consultati, e ha accettato di adottare il labrador. «Le ho comprato un guinzaglio rosso e le ho lentamente insegnato a camminare nella natura. È parzialmente paralizzata per essere rimasta confinata così a lungo, quindi ci aspettano un po’ di cure. Stiamo guarendo insieme». McGivney porta ancora il guinzaglio rosa del suo cane precedente, nello zaino: «Lo farò per sempre, penso».