L’obbligo vaccinale, spiegato
Per capire cosa dice la Costituzione e che conseguenze e modalità potrebbe avere, bisogna innanzitutto capire a quale tipo di obbligo si fa riferimento
Il dibattito sulla possibilità che venga introdotto in Italia un “obbligo vaccinale” relativo al coronavirus si sta facendo sempre più acceso, nella politica, sui giornali e tra gli esperti e studiosi di bioetica. È stato innescato dalla sintetica risposta data la settimana scorsa dal presidente del Consiglio Mario Draghi, che in una conferenza stampa aveva detto di essere favorevole a questa ipotesi, confermandone la concretezza. Ma le comunicazioni di Draghi e del ministro della Salute Roberto Speranza, che era seduto al suo fianco e che ha ampliato la risposta in modo prudente e un po’ vago, senza fornire ulteriori dettagli, hanno probabilmente contribuito a una generale incomprensione sul provvedimento in questione.
“Obbligo vaccinale” infatti può voler dire molte cose, come spiegano costituzionalisti ed esperti di sanità pubblica e di bioetica. Può essere introdotto in vari modi, con modalità coercitive – che sarebbero di fatto impossibili da applicare, anche volendo, seppur forse costituzionali – e con altre “oblique”, che impongano cioè sanzioni e limitazioni per chi non si adegua. A ipotesi diverse corrispondono vantaggi, svantaggi, ostacoli e questioni etiche diverse. Comprendere quali possibilità esistano e quali siano davvero attuabili aiuta a capire quali siano quelle auspicabili e quali no, anche per inquadrare e eventualmente ridimensionare alcuni dei principali paragoni citati in questi giorni: i vaccini obbligatori nell’infanzia (che di fatto non sono veramente obbligatori) e i Trattamenti Sanitari Obbligatori in ambito psichiatrico.
Non a caso, sono circolati inviti a una maggiore chiarezza prima di tutto al governo, che ha parlato di “obbligo vaccinale” senza però spiegare a quale tipo fa riferimento. Gli economisti Tito Boeri e Roberto Perotti, in un intervento pubblicato da Repubblica, hanno chiesto a Draghi di comunicare «chiaramente al pubblico» a quale obbligo vaccinale facesse riferimento, se all’obbligo definito assoluto oppure a un obbligo relativo. Con l’obbligo assoluto, per usare l’efficace esempio di Boeri e Perotti, «lo Stato ti stana casa per casa e manda tre infermieri e tre carabinieri per un TSO (trattamento sanitario obbligatorio) per metterti un ago in un braccio».
Invece con un obbligo relativo nessuno è obbligato a vaccinarsi, ma il numero e l’importanza delle attività per cui è richiesto il vaccino sono tali per cui diventa un requisito per lavorare e per partecipare alla vita sociale: un’espansione, quindi, del Green Pass.
Al momento in Italia non esiste un obbligo vaccinale assoluto. Anche l’obbligo introdotto nel 2017 dal decreto vaccini per i minori fino a 16 anni si può considerare relativo, perché lascia la possibilità alle famiglie di non vaccinare i figli, pur con una serie di limitazioni.
Infatti la legge, proposta dell’allora ministra della Salute Beatrice Lorenzin, portò da quattro a dieci le vaccinazioni obbligatorie – anti-poliomielitica, anti-difterica, anti-tetanica, anti-epatite B, anti-pertosse, anti-Haemophilus influenzae tipo b, anti-morbillo, anti-rosolia, anti-parotite, anti-varicella – con due tipi di conseguenze tuttora valide per le famiglie inadempienti: i bambini sotto i sei anni non vaccinati non possono frequentare gli asili nido e le scuole materne, che però non rientrano nella scuola dell’obbligo, mentre dopo i 6 anni e fino ai 16 – e quindi nella scuola dell’obbligo – la vaccinazione «non costituisce requisito di accesso alla scuola, al centro di formazione o agli esami». La legge prevede sanzioni da 100 a 500 euro, decise dall’azienda sanitaria nei confronti delle famiglie non in regola. Non si conosce il numero delle sanzioni fatte dal 2018 a oggi.
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Come era già successo all’epoca del decreto vaccini, negli ultimi mesi si è discusso molto sulla legittimità di un’eventuale estensione dell’obbligo a tutta la popolazione. Molti costituzionalisti hanno confermato che l’eventuale obbligatorietà è consentita dall’articolo 32 della Costituzione in cui è sancito che «la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». L’articolo 32, nell’interpretazione preponderante, dice insomma con chiarezza che è possibile introdurre l’obbligo vaccinale per disposizione di legge, anche con un decreto legge del governo successivamente discusso e approvato dal Parlamento, come è avvenuto con l’introduzione dell’obbligo vaccinale per gli operatori sanitari.
Non ci sono veri dubbi, su questo aspetto. La Corte costituzionale si è pronunciata più volte sulla compatibilità tra l’obbligo vaccinale e l’articolo 32 della Costituzione. Nella sentenza 307 del 1990 si dice che l’obbligo è compatibile «se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri».
Lavinia Del Corona, costituzionalista e componente dell’associazione Consulta di bioetica, spiega che il diritto alla salute si compone di due principi: il primo si può definire positivo e consiste nel diritto a richiedere una prestazione sanitaria, il secondo è negativo e consente di rifiutare un trattamento sanitario. «Questo diritto, però, non è illimitato», dice Del Corona. «Possono essere introdotte limitazioni purché siano una tutela non solo per la salute del singolo individuo, ma siano necessarie per tutelare il diritto della salute di tutte le altre persone. Nessuno è titolare di una libertà assoluta che può essere esercitata a discapito degli altri, come ha spiegato anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella».
Affinché il principio di tutela della salute sia rispettato dal punto di vista giuridico, è importante che i vaccini siano sicuri e abbiano un’efficacia riconosciuta dalle autorità sanitarie. Anche su questo punto non ci sono stati pronunciamenti e gli orientamenti degli esperti sono diversi: alcuni ritengono che si potrà introdurre l’obbligo vaccinale solo quando l’EMA, l’agenzia europea del farmaco, e l’AIFA, l’Agenzia italiana del farmaco, approveranno i vaccini con l’autorizzazione standard (Standard Marketing Autorisation), superando l’attuale stato di autorizzazione condizionale arrivata in periodo di emergenza. Non a caso la stessa domanda a cui Draghi ha risposto in modo affermativo conteneva in premessa la necessità dell’approvazione definitiva delle autorità di controllo. Altri esperti invece ritengono che l’approvazione da parte dell’EMA sia un ulteriore passaggio formale, ma non implichi in alcun modo che l’autorizzazione attuale abbia un minor valore per rendere possibile l’applicazione di nuove politiche sanitarie, comprese quelle legate all’obbligo di vaccinazione.
All’inizio dell’anno l’approvazione per uso emergenziale decisa dalle autorità sanitarie dei singoli paesi aveva accelerato, dove possibile, alcuni passaggi burocratici: non quelli scientifici, e i dati relativi ai decessi, ai ricoverati e ai contagiati dimostrano che i vaccini autorizzati sono molto efficaci contro le forme gravi della COVID-19. Secondo Sergio Harari, professore di Medicina interna alla Statale di Milano, una volta ottenute le approvazioni finali degli enti regolatori, l’obbligatorietà è una strada ragionevole e molto probabilmente «l’unica che possa garantire una duratura via d’uscita dalla pandemia e che possa mettere al riparo il Paese dal pericolo di nuove ondate che avrebbero drammatiche ripercussioni di salute e economiche». In un intervento sul Corriere della Sera, Harari ha spiegato che i vaccini hanno avuto una «prova sul campo, di real life come si dice tecnicamente, che mai in passato ha avuto nessun vaccino nella storia della medicina: oggi oltre 5 miliardi e mezzo di persone sono state immunizzate e ormai conosciamo bene i rari e circoscritti effetti collaterali».
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Negli ultimi mesi anche molti esperti di bioetica si sono interrogati sull’opportunità di introdurre l’obbligo vaccinale. «I due presupposti di qualsiasi discussione sono che bisogna distinguere il piano giuridico da quello morale e che il trattamento sanitario sia sicuro», dice Maurizio Mori, professore di bioetica e di filosofia morale all’università di Torino e presidente della Consulta di bioetica. Recentemente la Consulta di bioetica si è detta favorevole all’obbligo del vaccino per tutti ritenendolo un «diritto del cittadino». «Ciascuno ha il dovere morale verso se stesso di tutela della propria salute e di tutelare anche quella delle altre persone», continua Mori. «Il vaccino, un diritto del cittadino, consente di rispondere al dovere morale. È vero che questo virus è meno mortale della peste, ma il senso dell’esistenza è enormemente superiore a quello che si aveva cento anni fa, quindi anche l’attenzione alla preservazione della vita è più alta».
Anche il Comitato nazionale per la Bioetica, l’istituzione che il governo interpella per avere valutazioni su queste materie, non ha escluso l’introduzione dell’obbligo vaccinale. In un parere del novembre 2020, il Comitato scriveva che «è sempre auspicabile il rispetto del principio che nessuno subisca un trattamento sanitario contro la sua volontà e, quindi, tendenzialmente la preferenza per l’adesione spontanea rispetto ad un’imposizione autoritativa», ma solo «ove il diffondersi di un senso di responsabilità individuale e le condizioni complessive della diffusione della pandemia lo consentano». Nello stesso parere si legge che il Comitato è consapevole «che sono riconosciute per legge nel nostro ordinamento ed eticamente legittime forme di obbligatorietà dei trattamenti sanitari, quali appunto il vaccino, in caso di necessità e di pericolo per la salute individuale e collettiva».
Confermata la legittimità giuridica basata sulla sicurezza e l’efficacia dei vaccini, la questione successiva è quella delle modalità di un eventuale provvedimento di questo tipo. La Costituzione esclude i trattamenti sanitari obbligatori, salvo quelli disposti per legge, cioè i TSO, categoria in cui rientrerebbe un eventuale obbligo vaccinale. Il fatto però che TSO sia un’espressione normalmente associata a quelli in ambito psichiatrico, che incidono non solo sul diritto alla salute ma anche sulla libertà personale, rende questo discorso piuttosto delicato.
«Il TSO in senso coercitivo è limitato ai casi psichiatrici: chi parla di obbligo vaccinale coercitivo lo fa per introdurre strumentalmente delle paure, evocare scenari che possono allontanare dagli aspetti rilevanti del problema», dice Mariella Immacolato, medica esperta di bioetica, direttrice dell’unità operativa di Medicina legale di Massa-Carrara e Viareggio e componente della commissione di bioetica della regione Toscana. Il TSO in ambito psichiatrico, introdotto dalla legge 180 del 1978, la legge Basaglia, richiede non a caso un coinvolgimento dell’autorità giudiziaria, che deve convalidarlo entro 48 ore.
Un obbligo vaccinale coercitivo, inteso in un senso simile a quello dei TSO per casi psichiatrici, non è di fatto una possibilità, a meno di non delineare scenari polizieschi che attualmente non sembrano presi in considerazione in nessun paese del mondo. Restano due ipotesi per l’introduzione di nuovi vincoli. La prima soluzione è un obbligo vaccinale relativo, che impone per legge a tutta la popolazione di vaccinarsi contro il coronavirus. Come per le vaccinazioni dei minori, anche in questo caso resta comunque la libertà di non vaccinarsi, andando incontro a sanzioni che saranno decise dal governo e successivamente discusse e valutate dal Parlamento. Al momento sembra essere questa la soluzione più plausibile anche se non è chiaro quali saranno le sanzioni, che potranno essere di tipo amministrativo – il pagamento di una multa – oppure altre pesanti limitazioni come la sospensione dal lavoro senza retribuzione già prevista per gli operatori sanitari.
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L’altra soluzione consiste nell’estensione del Green Pass, che dall’1 settembre viene richiesto sia al personale scolastico che agli studenti universitari ed è da esibire obbligatoriamente sui trasporti a lunga percorrenza, oltre che nelle sale interne dei ristoranti, nei cinema e nelle palestre, come era previsto già dal 6 agosto. Il Green Pass non è di fatto un obbligo vaccinale perché il certificato si può ottenere anche dimostrando di essere risultati negativi a un test nelle 48 ore precedenti.
«Puoi ottenerlo anche senza vaccinarti, se ti sottoponi alla tortura d’un tampone ogni due giorni», ha scritto su Repubblica il costituzionalista Michele Ainis. Oltre all’aspetto del fastidio fisico e della scomodità di ricorrere spesso ai test. «In caso contrario la tua tortura consisterà in una privazione, che al momento colpisce il tempo libero (niente stadi, concerti, ristoranti al chiuso), oltre che i viaggi su lunghe percorrenze. Da qui il pregio costituzionale del Green Pass, perché bilancia l’esigenza di proteggere la salute pubblica con il rispetto delle scelte individuali: valori entrambi garantiti dalla Carta».
La condizione importante, sottolinea Ainis, è che il Green Pass venga regolato con una legge e non da semplici indicazioni sul sito del governo come era successo con le mense aziendali, e che il tampone sia gratuito come il vaccino, altrimenti chi non può sostenerne la spesa verrebbe discriminato nell’esercizio dei diritti in base al proprio reddito. I prezzi calmierati introdotti dal governo, nelle farmacie che aderiscono, sono di 8 euro per i minori e 15 per gli adulti: cifre che molte persone non possono comunque permettersi di spendere con frequenza.
Sia l’estensione del Green Pass che l’obbligo vaccinale consentono alle persone di non vaccinarsi, pagando una sanzione di natura economica oppure con la più pesante privazione di molte forme di socialità o addirittura della possibilità di lavorare. Per questo molti considerano l’estensione del Green Pass un obbligo vaccinale surrettizio, per certi versi eticamente disonesto. Tra i critici c’è anche lo storico e professore universitario Alessandro Barbero che ha firmato un appello contro il Green Pass sottoscritto da 150 professori universitari. Intervenuto durante un incontro organizzato dalla FIOM Cgil di Firenze, Barbero ha parlato di ipocrisia del governo e non si è detto contrario all’obbligo vaccinale. «Un conto è dire “Signori abbiamo deciso che il vaccino è obbligatorio perché è necessario, e di conseguenza, adesso introduciamo l’obbligo”: io non avrei niente da dire su questo», ha detto. «Un altro conto è dire “No, non c’è nessun obbligo, ma semplicemente non puoi più vivere, non puoi più andare all’università: però non c’è l’obbligo nel modo più assoluto, perché il vaccino serve davvero e il Green pass serve per questo».
Tutte queste richieste di chiarezza confermano che al momento c’è una grande confusione, e che parlare genericamente di “obbligo vaccinale” ha poco senso, se non è deciso di quale tipo si parla. Speranza ha detto che l’eventuale introduzione dell’obbligo vaccinale sarà valutata nelle prossime settimane e dalle ricostruzioni parziali dei giornali sembra che non ci siano state valutazioni approfondite sulle conseguenze delle eventuali soluzioni che verranno scelte.
Per esempio, il governo non ha ancora chiesto un parere al comitato tecnico scientifico (CTS), l’organo che negli ultimi mesi ha guidato tutte le decisioni prese nel contrasto dell’epidemia. Nel comitato tecnico scientifico c’è anche un’esperta di questa materia: è Cinzia Caporale, coordinatrice del Centro per l’etica e l’integrità della ricerca al CNR, docente di Bioetica alla Sapienza di Roma e membro del Comitato Nazionale per la Bioetica. Al Manifesto, Caporale ha detto che in merito all’obbligo vaccinale «il CTS ha affrontato spesso la questione in astratto perché ovviamente il tema è di attualità da un certo tempo, ma finora non è mai arrivata una richiesta di parere nel merito da parte del governo e non esistono pronunce al riguardo».