A Berlino si farà un referendum per espropriare le case delle grandi società immobiliari
Si terrà a settembre e nelle intenzioni di chi l'ha proposto è un modo per frenare il rincaro sregolato degli affitti, ma non tutti pensano sia una buona idea
Il prossimo 26 settembre a Berlino non si voterà soltanto per rinnovare il parlamento federale tedesco, ma anche per decidere se circa 240mila abitazioni di proprietà di grandi società immobiliari potranno essere espropriate e acquisite dall’amministrazione locale.
Il referendum era stato proposto nel 2019 da una rete di attiviste e attivisti che da tempo lamentavano come a Berlino fosse diventato impossibile trovare case in affitto di buona qualità e a prezzi sostenibili, soprattutto per le categorie più giovani o a reddito più basso: un problema comune a molte grandi città europee. Non è chiaro se a livello legale l’esproprio di massa si potrà mettere in atto, ma se il referendum dovesse essere approvato sarebbe comunque un precedente notevole sia per Berlino, sia per altre città che hanno problemi simili in tutto il mondo.
Il referendum è stato indetto dopo che le associazioni promotrici avevano raccolto più di 350mila firme e si basa sull’articolo 15 della Costituzione tedesca, secondo cui «i terreni, le risorse naturali e i mezzi di produzione» possono essere espropriati «per il bene della collettività», prevedendo un indennizzo per chi subisce l’esproprio. In particolare, il referendum riguarda le grandi società immobiliari che possiedono più di 3mila appartamenti, che secondo chi sostiene l’esproprio hanno creato una bolla speculativa continuando ad alzare gli affitti per aumentare i propri ricavi (peraltro senza nemmeno curarsi della manutenzione degli appartamenti).
L’idea dietro alla proposta è che con l’esproprio i grandi proprietari sarebbero costretti a cedere gli appartamenti all’amministrazione locale a prezzi «ragionevoli», e che poi il governo locale potrebbe investire i soldi incassati dagli affitti – calmierati – per costruire nuove strutture residenziali o fornire altri servizi. Il referendum passerà se almeno un quarto degli aventi diritto al voto si esprimerà in suo favore ottenendo la maggioranza. Dal momento che l’articolo 15 non era mai stato interpellato per cause di queste dimensioni e che fa parte di una costituzione che è stata scritta nel 1949, però, non è detto che in caso di vittoria del Sì il referendum avrà conseguenze concrete.
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Alcuni sondaggi citati dal Financial Times dicono che quasi la metà dei berlinesi sarebbe favorevole all’esproprio. In generale, nel periodo della pandemia da coronavirus il costo degli affitti e delle case in vendita è aumentato in quasi tutti i paesi con le economie più forti nonostante la crisi economica, ma a Berlino – una città fortemente multietnica con molti centri sociali, varie comunità di anarchici e club di ogni tipo – questo è un problema sentito già da molto tempo.
Per dare l’idea, negli ultimi cinque anni a Berlino gli affitti sono aumentati anche del 43 per cento, rendendo i prezzi insostenibili per migliaia di persone che ci abitano. Nel gennaio del 2020 l’amministrazione locale aveva introdotto un tetto massimo al costo degli affitti, che però lo scorso aprile è stato giudicato illegittimo dalla Corte costituzionale tedesca, secondo cui la decisione sarebbe di competenza del governo federale.
Uno dei problemi principali, inoltre, è che a differenza dell’Italia – dove secondo i dati ISTAT del 2019 più del 78 per cento delle persone vive in case di proprietà – più della metà dei tedeschi vive in case in affitto perché generalmente ci sono pochi incentivi per comprare casa. Secondo l’Associazione locale degli inquilini, fra l’altro, a Berlino il dato sale fino all’85 per cento. Secondo i dati forniti dall’amministrazione locale, fra il 2011 e il 2020 quasi 125mila abitazioni che prima erano in affitto sono state comprate come prime case: la carenza di offerta a parità di domanda ha contribuito all’aumento dei prezzi degli affitti, e dall’altro ha favorito la crescita delle grosse società immobiliari che hanno a disposizione uno stabile patrimonio immobiliare.
Il rincaro degli affitti è un tema comune anche in altre città europee, tra cui Varsavia, Vienna e Budapest; per fare un altro esempio, lo scontro sul piano proposto dal governo per regolamentare i prezzi degli affitti sugli appartamenti di nuova costruzione ha fatto dimettere il primo ministro svedese. Nessuna città però finora aveva proposto un progetto così radicale come espropriare le case.
La sociologa urbana dell’Università di Cambridge Joanna Kusiak, che abita a Berlino e sostiene l’esproprio, ha detto al Financial Times che si tratta di «confronto unico» e di «qualcosa che non era mai stato fatto prima». Secondo Kusiak l’esproprio di massa stimolerebbe l’economia e i soldi ricavati dagli affitti aiuterebbero l’amministrazione locale a realizzare nuovi progetti anziché alimentare le finanze degli azionisti.
Anche Tobias Nöfer, membro del consiglio di amministrazione dell’Associazione degli architetti e degli ingegneri di Berlino-Brandeburgo, si è detto favorevole a una maggiore regolamentazione degli affitti per limitare le speculazioni. Pur essendo scettico nei confronti del referendum, Nöfer ha tuttavia osservato che in effetti molti edifici vengono comprati da società o investitori abbienti, che dopo averli sistemati provano a venderli o ad affittarli a prezzi elevatissimi, oppure li lasciano abbandonati a loro stessi.
D’altra parte secondo i critici l’esproprio sarebbe un disastro per l’economia locale, oltre che potenzialmente illegale. Deutsche Wohnen, una delle più grandi società immobiliari tedesche, ritiene che l’iniziativa sarebbe controproducente e che fondi e risorse «che potrebbero essere destinati alla costruzione di case di cui si ha bisogno sarebbero immobilizzati per anni». Secondo l’amministrazione di Berlino gli eventuali indennizzi per compensare le grandi società immobiliari potrebbero costare fino a 36 miliardi di euro. Le associazioni di attivisti dicono che la cifra giusta sarebbe tra gli 8 e i 18 miliardi.