La piccola concessione di Apple sull’App Store
I produttori di alcuni tipi di applicazioni potranno segnalare nelle app la possibilità di pagare i loro servizi altrove, evitando le commissioni imposte dall'azienda
Nell’ultima settimana Apple ha annunciato alcune modifiche al modo con cui amministra il proprio App Store, che dovrebbero dare la possibilità a chi sviluppa le applicazioni di essere meno vincolato al sistema di pagamento dell’azienda e alle sue commissioni. Le concessioni offerte, seppure modeste, arrivano dopo anni di critiche per come gestisce il proprio servizio di distribuzione e vendita delle applicazioni per gli iPhone e gli iPad, sia da parte degli sviluppatori sia dalle autorità antitrust che in numerosi paesi hanno avviato inchieste per potenziali violazioni che potrebbero rivelarsi assai costose per l’azienda.
L’App Store fu aperto nel 2008 e nelle intenzioni dell’allora CEO di Apple, Steve Jobs, avrebbe dovuto garantire la diffusione di applicazioni verificate e certificate dalla propria azienda, in modo da rendere più sicuri e affidabili gli iPhone (e in seguito gli iPad). Gli sviluppatori avrebbero avuto a disposizione tutti gli strumenti per realizzare le loro app, mentre Apple si sarebbe fatta carico della loro distribuzione e di riscuotere gli eventuali pagamenti, in cambio di una commissione del 30 per cento su ogni acquisto effettuato dagli utenti all’interno dell’App Store (sia per l’acquisto di un’applicazione, sia per acquistare servizi aggiuntivi offerti all’interno dell’applicazione, come un abbonamento).
In una fase in cui un mercato delle app vero e proprio esisteva in forme molto embrionali, le condizioni poste da Apple apparivano ragionevoli. Dal 2008 le cose sono però cambiate: gli iPhone ora in circolazione sono centinaia di milioni, l’App Store ha un volume di affari di decine di miliardi di dollari all’anno e per questo la maggior parte dei produttori di applicazioni ritiene che quel 30 per cento sia eccessivo. Hanno iniziato a pensarlo anche le autorità che si occupano di libera concorrenza negli Stati Uniti, nell’Unione Europea e in altre parti del mondo, con indagini tese a verificare se Apple operi in un regime di sostanziale monopolio e se stia cercando di trarne il massimo vantaggio a scapito dei concorrenti.
Oltre alle verifiche antitrust, Apple negli ultimi mesi ha dovuto affrontare altre azioni legali sempre per come gestisce l’App Store. La settimana scorsa, proprio una di queste cause ha spinto l’azienda a rimuovere la regola che vietava agli sviluppatori di informare gli utenti tramite email sulla possibilità di pagare alcuni servizi, disponibili nelle loro applicazioni, al di fuori dell’App Store e quindi senza il pagamento della commissione richiesta da Apple. Queste informazioni non possono però essere fornite direttamente all’interno dell’applicazione e ci sono aspetti da chiarire sulle modalità di comunicazione che potranno utilizzare gli sviluppatori.
Prima dell’accordo giudiziario su questa regola, comunque, alcuni produttori di applicazioni utilizzavano già il sistema di comunicazione via email per avvisare sulla possibilità di pagamenti alternativi, con possibilità di risparmio per le minori commissioni. Spotify, il servizio per la musica in streaming, bloccava di fatto la possibilità di abbonarsi tramite la propria app, inviando contestualmente un’email in cui suggeriva di iscriversi tramite il sito, senza fare riferimento esplicito a questa soluzione come un modo per evadere le commissioni. Il sistema era tollerato da Apple, che ha comunque un contenzioso legale aperto sulle politiche dell’App Store proprio con Spotify.
Mercoledì primo settembre Apple ha annunciato un’ulteriore modifica alle proprie regole che riguarda le “reader app”, cioè le applicazioni che offrono contenuti fruibili tramite abbonamento digitale come quelle per leggere riviste, quotidiani e libri, per ascoltare la musica come Spotify o per guardare serie tv e film come Netflix. Dal prossimo anno, gli sviluppatori di queste applicazioni potranno inserire nelle loro app link e riferimenti alla possibilità di creare e gestire i propri account all’esterno dell’App Store.
Le due modifiche sono una prima concessione, ma come hanno osservato diversi esperti sono poca cosa, considerato che Apple finora non ha mostrato l’intenzione di voler cambiare le regole per la tipologia di applicazioni più redditizia sull’App Store: i videogiochi. I dati sulla loro resa non vengono solitamente resi pubblici, ma di recente sono emersi alcuni dettagli nel corso del processo che l’azienda ha in corso contro Epic Games, il produttore del famoso videogioco Fortnite, che ha contestato il sistema di commissioni.
Le informazioni emerse sono riferite al 2016, ma danno comunque un’idea. L’81 per cento dei ricavi prodotti in quell’anno tramite App Store derivò dal settore giochi, il 3 per cento dalla musica e il 4 per cento da altre app per l’intrattenimento. Lo stesso Tim Cook, l’attuale CEO di Apple, aveva inoltre ammesso che la maggior parte dei ricavi derivanti dall’App Store è resa possibile dai videogiochi. I ricavi dalle “reader app” sono invece molto bassi, e questo potrebbe spiegare in parte le nuove concessioni.
Analisti e osservatori ritengono però che queste aperture siano tardive, considerata la mole di indagini e cause contro Apple per le politiche dell’App Store. Uno dei rischi più grandi per l’azienda è proprio costituto dal contenzioso con Epic Games, che si era tenuto in California in primavera e che dovrebbe portare a una sentenza nelle prossime settimane. Il produttore di videogiochi chiede in sostanza che Apple consenta agli sviluppatori di evitare completamente le commissioni imposte sull’App Store.
Difficilmente la sentenza sancirà una possibilità di questo tipo, ma la vicenda potrebbe indurre Apple a rivedere la percentuale richiesta agli sviluppatori, riducendola sensibilmente. Altre soluzioni, come dare la possibilità di scaricare le applicazioni da servizi alternativi, sembrano invece più improbabili, anche se le richieste da parte delle autorità antitrust potrebbero comunque forzare Apple a rivedere ulteriormente i propri piani.
La perdita delle commissioni avrebbe naturalmente conseguenze negative per i ricavi dell’azienda, ma la maggior parte dei ricavi per Apple al momento deriva comunque dalla vendita degli iPhone.