Il punto di incontro fra i talebani e al Qaida
È la cosiddetta Rete Haqqani, guidata da un leader definito «un incrocio tra Tony Soprano e Che Guevara»
Nella rapidissima campagna di riconquista dell’Afghanistan da parte dei talebani ha avuto un ruolo importante la cosiddetta Rete Haqqani, un gruppo armato afghano alleato dei talebani e considerato il principale collegamento tra loro e al Qaida. Nel complesso quadro di fondamentalismi che interessano il paese, la Rete Haqqani ha una sua autonomia strategica e finanziaria che la rende molto pericolosa, potente e, soprattutto, necessaria ai talebani, a cui fornisce contatti, armi e denaro: molto probabilmente questo le consentirà di avere un ruolo di primo piano nel nuovo regime.
La Rete Haqqani – che il dipartimento di Stato statunitense anni fa ha definito «il gruppo di insorti più pericoloso» per le forze di sicurezza afghane e i suoi alleati occidentali – è responsabile di alcuni degli attacchi più gravi e violenti compiuti negli ultimi anni contro civili e militari, tra cui rapimenti e svariati attacchi suicidi. Fa parte di uno dei due maggiori centri di potere all’interno del movimento talebano – il suo capo è il vice del leader dei talebani, Hibatullah Akhundzada – ed è anche il principale punto di contatto tra i talebani e l’organizzazione terroristica sunnita nota come al Qaida: il potere e l’influenza di cui gode arrivano da lontano.
Può sembrare paradossale, ma la Rete Haqqani è nata grazie al sostegno della CIA, la celebre agenzia di intelligence statunitense, negli anni Ottanta. Verso la fine della Guerra fredda gli Stati Uniti erano impegnati a contrastare l’occupazione sovietica in Afghanistan. Fecero così un grosso trasferimento di armi e denaro a uno dei capi della resistenza islamista, Jalaluddin Haqqani, che gli consentì di fondare il proprio movimento. Il nome del gruppo deriva dalla scuola coranica in cui si era formato Jalaluddin Haqqani, la madrassa Darul Uloom Haqqania.
Già al momento della sua fondazione, la Rete Haqqani decise di darsi una certa autonomia politica e finanziaria, che è ancora oggi il suo punto di forza. Stabilì dei legami molto stretti, per esempio, con la più importante divisione dell’intelligence pakistana, la Inter-Services Intelligence (ISI), che secondo un’analisi del centro studi americano Combating Terrorism Center ancora oggi continua a sostenere il gruppo.
Il fondatore Jalaluddin Haqqani decise anche di operare sotto l’autorità dei mujaheddin islamisti afghani – godendo quindi di protezione politica e dell’accesso alle loro risorse economiche e militari – mantenendo per sé ampia autonomia nell’area in cui operava e opera ancora oggi, che si trova nell’est dell’Afghanistan, al confine col Pakistan, dove la Rete Haqqani ha la sua base.
I rapporti con gli Stati Uniti, alleati della Rete Haqqani durante l’occupazione sovietica, si deteriorarono quando i sovietici lasciarono il paese e gli Stati Uniti smisero di sostenere le operazioni dei mujaheddin. Nel 2001, anno dell’invasione statunitense dell’Afghanistan, la Rete Haqqani passò sotto il controllo del figlio di Jalaluddin, Sirajuddin, che avviò una grande campagna contro i suoi ex alleati.
Sirajuddin Haqqani, 48 anni, è sopravvissuto a vent’anni di guerra e oggi è uno dei capi dei talebani. È uno dei criminali più ricercati dall’FBI e su di lui il dipartimento di Stato americano ha messo una taglia da 10 milioni di dollari. Citando un ambasciatore pakistano negli Stati Uniti, Foreign Policy lo ha descritto come «un incrocio tra Tony Soprano e Che Guevara», riferendosi al carisma e al radicalismo ideologico con cui gestisce l’organizzazione criminale ereditata dal padre.
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Nel 2020, Sirajuddin Haqqani scrisse anche un articolo ospitato sul New York Times per celebrare l’accordo di pace finalizzato con gli Stati Uniti. Nell’articolo, scritto con toni diplomatici e concilianti, Haqqani presentava i talebani come un gruppo moderato, istituzionalmente credibile e interessato alla pace, alla stabilità del paese e al rispetto dei diritti umani e di «tutte le convenzioni internazionali, purché siano compatibili coi principi islamici».
La Rete Haqqani deve la sua influenza a diversi elementi. Il gruppo opera in un’area molto strategica dell’Afghanistan che comprende una serie di province sud-orientali a ridosso di Kabul e si estende per più di 500 chilometri. Da lì gestisce un rodato, capillare ed efficace sistema di reperimento di fondi e risorse economiche che comprende donazioni dai notabili locali, rapimenti e richieste di riscatti, ma anche attività in settori economici legali e illegali – come i trasporti, l’edilizia, le importazioni ed esportazioni, il riciclaggio di denaro – in diversi paesi, tra cui Afghanistan, Pakistan e i paesi del Golfo. Per via dei loro traffici e della violenza con cui li esercitano, dal 2012 gli Stati Uniti li considerano un’organizzazione terroristica.
Il territorio controllato dagli Haqqani fa parte inoltre della cosiddetta «cintura Pashtun», che è considerata un’area molto violenta e un punto strategico di raccolta e addestramento per diverse formazioni jihadiste, fra cui anche al Qaida.
Il legame fra al Qaida e i talebani risale a più di vent’anni fa, quando una reciproca alleanza permise ai talebani di rafforzare il proprio controllo su alcune regioni dove la presenza di al Qaida era molto forte, e ad al Qaida di godere della protezione dell’allora governo centrale.
Il legame fra talebani e al Qaida non si è mai spezzato, tanto che centinaia di combattenti di al Qaida e un grosso pezzo della sua leadership, tra cui Ayman al Zawahiri, nuovo capo del gruppo dopo l’uccisione di bin Laden, si trovano ancora in Afghanistan. E come spiegato in un documento del Consiglio di Sicurezza dell’ONU del 2020, i contatti sono rimasti costanti durante i colloqui di pace con gli Stati Uniti a Doha, culminati nel 2020 con l’accordo per il ritiro definitivo delle truppe statunitensi dall’Afghanistan. Il documento sottolineava come i rapporti tra talebani – e specialmente tra la Rete Haqqani – e al Qaida «erano rimasti stretti, basati sull’amicizia, su una storia di battaglie condivise, di simpatie ideologiche e matrimoni tra i due gruppi».
Anche se gli accordi di pace firmati a Doha erano stati firmati con la promessa che i talebani non avrebbero più dato protezione ad al Qaida, come avevano fatto tra la fine degli anni Novanta e l’inizio dei Duemila, è molto probabile che per una serie di ragioni, tra cui soprattutto il legame tra i talebani e la Rete Haqqani, al Qaida continuerà a godere di una certa protezione nel nuovo regime talebano.
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Ma la rilevanza della rete Haqqani non riguarda solo le alleanze esterne. Mawlawi Sardar Zadran, un ex leader del gruppo, ha detto al New York Times che all’interno della dirigenza talebana «nessuno può essere incaricato o nominato senza il consulto [di Sirajuddin Haqqani]», e che la sua influenza sul gruppo è aumentata col tempo. Secondo Yasin Zia, ex capo dell’esercito afghano che ha avuto anche incarichi di governo, nel nuovo regime la Rete Haqqani potrebbe anche ottenere il controllo dell’intelligence, cosa che contribuirebbe a rafforzarla.