Due atleti afghani sono riusciti ad arrivare alle Paralimpiadi
Hossain Rasouli e Zakia Khudadadi hanno lasciato Kabul con un viaggio rocambolesco, aiutati da ong e dai militari australiani
Martedì mattina l’atleta afghano Hossain Rasouli ha partecipato alla gara di salto in lungo alle Paralimpiadi di Tokyo, mentre giovedì la sua connazionale Zakia Khudadadi parteciperà agli ottavi di finale del taekwondo, l’arte marziale di origine sudcoreana. La partecipazione ai Giochi Paralimpici dei due atleti era stata annullata dopo il ritorno dei talebani in Afghanistan, che aveva impedito loro di viaggiare in sicurezza: la scorsa settimana Rasouli e Khudadadi sono tuttavia riusciti a lasciare il paese e ad arrivare a Tokyo in un modo piuttosto rocambolesco e grazie alla collaborazione di alcuni governi e varie organizzazioni.
Dopo aver mandato una delegazione di quattro uomini e una donna alle Olimpiadi di Tokyo, lo scorso luglio, l’Afghanistan avrebbe dovuto inviare anche Rasouli e Khudadadi alle Paralimpiadi: a causa del grande caos nel paese dopo la presa della capitale Kabul, il 15 agosto, i due erano però rimasti a casa, e durante la cerimonia di apertura dei Giochi la bandiera dell’Afghanistan aveva avuto modo di sfilare, ma portata da un volontario e senza una delegazione a seguito.
Come alla fine Rasouli e Khudadadi siano arrivati a Tokyo sabato sera lo hanno raccontato alcuni attivisti e collaboratori di vari enti e ong, che li hanno aiutati ad aggirare i controlli imposti dai talebani all’aeroporto di Kabul e li hanno seguiti nella gestione dei documenti e dei rapporti con gli altri paesi tra le varie difficoltà. Molti dettagli del viaggio, come il giorno in cui sono partiti da Kabul, non sono stati diffusi per motivi di sicurezza: al contempo, Rasouli e Khudadadi non daranno interviste durante le Paralimpiadi per tutelare se stessi e chi li ha aiutati.
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Tra le persone che hanno raccontato il viaggio di Rasouli e Khudadadi c’è anche un rappresentante dell’Institut national du sport, de l’expertise et de la performance (INSEP) – un centro francese per l’eccellenza nelle attività sportive –, che ha parlato col New York Times in forma anonima perché non era stato autorizzato a commentare pubblicamente la vicenda.
Il rappresentante dell’INSEP ha raccontato che nei giorni successivi alla presa di Kabul i due atleti avevano contattato alcuni diplomatici francesi chiedendo aiuto per arrivare a Tokyo. Da quel momento si è mobilitata una rete internazionale di avvocati, ex sportivi e attivisti, tra cui quelli della ong australiana Human Rights for All, che si occupa di fornire assistenza legale ai rifugiati e che ha fatto pressioni sul governo australiano affinché coordinasse le truppe ancora presenti in Afghanistan per aiutare Rasouli e Khudadadi.
La fondatrice di Human Rights for All, Alison Battisson, ha spiegato che gli attivisti avevano guidato Rasouli e Khudadadi verso i gate dell’aeroporto di Kabul pattugliati dalle truppe occidentali tramite dispositivi GPS e avevano consigliato agli atleti di nascondere documenti e soldi negli indumenti intimi assieme a una sciarpa di colore acceso, che avrebbero dovuto sventolare energicamente dopo aver superato i controlli dei talebani per farsi riconoscere più facilmente dai militari australiani.
Anche se dopo i check-point gli attivisti hanno perso il contatto con gli atleti, il piano è filato liscio: Battisson ha detto che seguendo le loro indicazioni gli atleti afghani sono riusciti a farsi notare dai militari e quindi a «mettersi in salvo da soli, avendo noi come squadra di supporto».
Rasouli e Khudadadi si sono imbarcati con un’altra ottantina di atlete e atleti afghani su un volo diretto a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, e poi hanno preso un altro volo per Parigi. Una volta arrivati in Francia, si sono allenati nelle strutture dell’INSEP, dove sono stati sottoposti a controlli medici di base e sono stati seguiti da altri attivisti per organizzare il viaggio verso il Giappone. Sabato hanno quindi preso un volo Air France per Tokyo, dove sono stati accolti dal presidente del Comitato Internazionale Paralimpico Andrew Parsons e da altri funzionari prima di essere portati al Villaggio Paralimpico.
Parsons ha detto che né il Comitato Internazionale Paralimpico né il Comitato dell’organizzazione di Tokyo 2020 sono stati coinvolti nelle operazioni: in un comunicato però ha ringraziato, tra gli altri, «diversi governi», il Centro per lo Sport e i Diritti umani di Ginevra (Svizzera), Human Rights for All, il Comitato Paralimpico Francese, l’Associazione Paralimpica Britannica e World Taekwondo, l’organizzazione internazionale di questa disciplina.
Rasouli, un velocista di 26 anni a cui era stata amputata la mano sinistra a causa dell’esplosione di una mina, è arrivato a Tokyo troppo tardi per partecipare alla batteria di qualificazione dei 100 metri, la gara per cui si era allenato. Dopo aver rifiutato la proposta degli organizzatori di gareggiare nei 400 metri, che considerava troppo difficili, ha deciso di partecipare al salto in lungo nella categoria T47, arrivando ultimo ma ottenendo il suo primato personale tra gli applausi degli altri atleti. Khudadadi, che ha 22 anni, sfiderà invece l’uzbeka Ziyodakhon Isakova nel taekwondo categoria 49 chili e sarà la seconda donna a partecipare alle Paralimpiadi per l’Afghanistan dopo la velocista Mareena Karim, che aveva partecipato ai Giochi di Atene del 2004.
Il rappresentante dell’INSEP ha detto che diversi paesi si sono già offerti di dare accoglienza a entrambi dopo i Giochi Paralimpici.