Il controverso murale dedicato a Ugo Russo a Napoli
Dopo una lunga disputa il Tar ha deciso che dovrà essere cancellato l'omaggio al ragazzo ucciso mentre rapinava un carabiniere
Sarà cancellato il murale che a Napoli, nei quartieri Spagnoli, ricorda Ugo Russo, il ragazzo di 15 anni morto il 1° marzo del 2020 durante un tentativo di rapina. A decidere definitivamente per la cancellazione è stato il Tar della Campania che ha respinto il ricorso del comitato Verità e Giustizia per Ugo Russo, stabilendo che il murale è una «trasformazione fisica dell’immobile» e dando così ragione dell’amministrazione comunale. In precedenza invece la Soprintendenza di Napoli si era espressa a favore del murale come «opera decorativa».
Non è però certamente per il valore artistico che quel murale era diventato oggetto di una battaglia politica. Per il Comune, e per chi ne sostiene la cancellazione, l’omaggio a Ugo Russo è l’ennesimo tributo alla criminalità apparso a Napoli e va quindi cancellato. Per i genitori e gli amici invece il ragazzo non c’entrava nulla con la criminalità organizzata e quel murale è semplicemente un omaggio e al tempo stesso un manifesto per ricordare che a distanza di un anno e mezzo dalla morte esistono ancora molte domande che non hanno risposta.
Ugo Russo morì mentre tentava di rapinare un carabiniere di 23 anni fuori servizio. Quel giorno Russo era in compagnia di un altro ragazzo, un diciassettenne. In via Orsini, vicino al quartiere di Santa Lucia, i due si avvicinarono a una Mercedes che stava parcheggiando. L’obiettivo era portare via il Rolex dal polso dell’autista al cui fianco c’era la fidanzata, una ragazza di 19 anni. Russo, secondo la ricostruzione, si avvicinò al finestrino abbassato, tirò fuori una pistola giocattolo e disse «Dammi l’orologio». Il carabiniere, di stanza nel bolognese e a Napoli in visita alla famiglia, a quel punto tirò fuori la pistola e sparò. Russo fu colpito all’addome e poi al collo mentre il suo corpo stava facendo una torsione.
Le ricostruzioni del carabiniere, della ragazza e del diciassettenne che era con Russo però non coincidono. Secondo i due occupanti dell’auto il carabiniere si sarebbe qualificato e poi avrebbe sparato mentre l’amico di Ugo Russo sostiene che il carabiniere non disse nulla, fece finta di togliersi l’orologio e poi sparò. I familiari del ragazzo ucciso sostengono anche che il ragazzo stesse già fuggendo quando fu colpito dalla pallottola che ne provocò la morte.
L’inchiesta è andata avanti apparentemente con molta lentezza. Il carabiniere è indagato per omicidio volontario, ma a distanza di un anno e mezzo dalla vicenda non è nemmeno stato reso noto il risultato dell’autopsia. Non si sa quindi quanti proiettili furono in realtà esplosi, forse tre, forse quattro; stando al primo esame del corpo quando ancora era sulla scena, Ugo Russo presentava un foro di proiettile alla nuca.
La sera della morte del ragazzo il pronto soccorso dell’ospedale Pellegrini, dove era il corpo, fu devastato. Quella notte colpi di pistola vennero sparati contro la caserma Pastrengo, sede del Comando provinciale dei carabinieri. Per quegli spari due ragazzi, di cui uno cugino della vittima, sono stati condannati a cinque e sette anni di carcere in primo grado. Per loro c’è l’aggravante della matrice camorristica del raid. Per l’irruzione al pronto soccorso ci sono state condanne di tre anni e otto mesi per devastazione a quattro persone, tra cui una zia di Ugo Russo.
Quando, qualche settimana dopo, apparve un grande murale con il volto del ragazzo sulla casa dove vive Ugo Russo, in piazzetta Parrocchiella Santa Maria Ognibene, iniziarono le polemiche. Il consigliere regionale di Europa Verde Francesco Emilio Borrelli fu tra i primi a chiederne la cancellazione. Dice ora al Post: «Non entro nel merito della vicenda processuale, ma va detto senza paura che quel ragazzo era un rapinatore e quel murale è diventato simbolo e riferimento dei camorristi. La famiglia poteva far fare quel dipinto in una spazio privato e non in uno pubblico».
I familiari di Ugo Russo e del Comitato Verità e Giustizia per Ugo Russo la pensano molto diversamente, e dicono che «con la camorra Ugo Russo non c’entrava nulla». Quel murale, hanno scritto nella pagina del comitato, «è frutto di un percorso di rivendicazione di verità e giustizia sul caso umano e giudiziario di un ragazzo di 15 anni ucciso con tre colpi di pistola, l’ultimo alla nuca. Questa è una città in cui si finge di fare la lotta alle mafie con la gomma cancellante e si spaccia per legalità e decoro la damnatio memoriae di ragazzi assassinati».
Dopo la comparsa del murale la vita di Ugo Russo e quella dei suoi familiari vennero setacciate, soprattutto sui giornali. Nella tasca del ragazzo furono trovati un orologio e una catenina d’oro. Il padre, Vincenzo Russo, disse che erano suoi. Del padre venne anche ricordata una vecchia condanna, del 2004, e il suo coinvolgimento, a Milano, in un processo in cui venne poi assolto e che riguardava una banda che agiva con la tecnica degli specchietti (che consiste nell’urtare lo specchietto di un’auto per farla fermare e poi rapinare l’autista).
Davanti alle telecamere Vincenzo Russo disse: «Mio figlio ha sbagliato, ma non doveva andare così. A Ugo è stata applicata una pena di morte». Fece anche aggiungere sul murale la scritta «Contro tutte le mafie». E disse in un’intervista: «Il murale serve per evitare che si ripetano episodi del genere, i giovani devono dedicarsi ad altro e non commettere reati. Quando i suoi coetanei lo vedono devono avere paura affinché non accada mai più una tragedia come questa. Con la storia del murale la morte di mio figlio è passata in secondo piano per tutti. Non sappiamo ancora nulla, la vicenda è rimasta ferma a quella sera. Ma noi non ci fermeremo perché vogliamo sapere la verità».
Ad aumentare le polemiche è arrivato a metà giugno un video pubblicato sul social network Tik Tok che mostra l’omaggio di un corteo di ragazzi in scooter davanti al murale. Il video è intervallato dalle immagini di ragazzi che alzano cartelli in ricordo di Emanuele Burgio, figlio del boss mafioso Filippo Burgio (attualmente in carcere), ucciso a Palermo da tre persone la notte del 30 maggio dopo una lite per una precedenza. Ore dopo la discussione i tre avvicinarono Emanuele Burgio, di 19 anni, uccidendolo a colpi di pistola.
«Diciamo la verità, quella sfilata di ragazzi senza casco è stata come la firma di un gemellaggio tra un clan mafioso e un gruppo camorristico», dice ancora Borrelli. «Quando ho chiesto al padre di Ugo Russo perché avesse accettato quell’omaggio e addirittura avesse abbracciato i partecipanti mi ha risposto che lui abbraccia chiunque ricordi suo figlio».
Il 29 gennaio, durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario, il procuratore generale di Napoli Luigi Riello chiese che venissero rimossi «gli altarini dedicati alla camorra». Disse: «Domani potremmo aspettarci che, oltre alla festa della polizia, dei carabinieri, della guardia di finanza, facciamo anche la festa della criminalità, diamo qualche medaglia, ricordando chi è morto nell’adempimento del proprio dovere di camorrista e rapinatore».
A marzo il Comune di Napoli ha deciso di avviare «le operazioni di rimozione di murales, scritte, altarini riconducibili a eventi o persone legati alla criminalità organizzata, simboli di illegalità che occupano o insistono abusivamente su spazi pubblici». Il primo a essere rimosso fu l’altarino, con targa e statua, dedicato al capoclan Domenico Russo, detto Mimì dei Cani, ucciso nel 1999. Poi toccò al murale, con fioriere e paletti di recinzione, dedicato a Luigi Caiafa, figlio di un boss della camorra ucciso a ottobre 2020 durante una rapina. La sera dopo sul murale dedicato a Nino D’Angelo a San Pietro a Patierno apparve la scritta «I morti si rispettano, non si cancellano». Il murale per Nino D’Angelo era stato realizzato con l’assenso del Comune.
In tutto, da marzo, sono stati cancellati o rimossi una quarantina di altarini o murales cosiddetti illegali («Ne restano da togliere 100», dice Borrelli). Quello dedicato a Ugo Russo ancora resisteva. Ora, con la sentenza del Tar verrà cancellato. Ha scritto il comitato dedicato al ragazzo ucciso:
«Il danno collaterale è che da oggi quasi tutta l’arte muraria del centro storico di Napoli (dal San Gennaro di Jorit a Banksy a quasi tutti i murales del rione Sanità di Bosoletti, Tono Cruz ecc), uno dei principali patrimoni artistici di questo tipo in Europa, è di fatto qualificata come illegittima e abusiva perché “viola il piano regolatore”».