La prima intervista di Navalny dopo il suo arresto
In cui parla del futuro della Russia, della fine del regime di Putin e delle «violenze psicologiche» subite in carcere
Alexei Navalny, il principale e più famoso esponente dell’opposizione al regime di Vladimir Putin in Russia, da mesi in carcere con una condanna di natura politica, ha dato un’intervista al New York Times, la prima dal suo arresto nel gennaio di quest’anno. Nell’intervista, ha parlato della sua vita in prigione, delle «violenze psicologiche» subite in carcere e delle prospettive politiche della Russia, il cui futuro, secondo Navalny, è democratico ed europeo.
Navalny era stato arrestato a gennaio dopo che era tornato in Russia dalla Germania, dove si trovava per curarsi da un grave avvelenamento che, secondo le inchieste ben documentate di diversi media, era stato messo in atto dai servizi di sicurezza russi. Dopo un breve processo, a febbraio era stato condannato a tre anni e mezzo di carcere con accuse considerate quasi unanimemente come pretestuose.
Nell’intervista al New York Times, fatta in forma scritta (il giornalista Andrew Kramer ha ricevuto 54 pagine di risposte scritte a mano), Navalny ha parlato del trattamento che riceve nella Colonia Penale n° 2, un carcere fuori Mosca noto per la sua durezza. L’oppositore russo ha scritto di non subire violenze fisiche né maltrattamenti, quanto piuttosto «violenze psicologiche». In particolare, lui e gli altri detenuti (che secondo Navalny sono per un terzo prigionieri politici come lui) sono costretti a guardare la tv pubblica (favorevole al regime) e vecchi film patriottici russi per gran parte della giornata, e sono costretti dalle guardie a prestare attenzione.
Secondo il New York Times, la pratica di costringere i detenuti a guardare la tv e vecchi film per molte ore tutti i giorni ha più a che fare con la necessità di tenere sempre sotto controllo i prigionieri che con il condizionamento psicologico, ma Navalny la descrive comunque come un’esperienza dura, a cui si aggiunge il fatto di essere «sotto stretto controllo 24 ore al giorno».
Navalny però ha descritto anche trattamenti che si avvicinano di più alla tortura. Per esempio, ha raccontato che nelle prime settimane della sua permanenza in carcere le guardie lo hanno svegliato a tutte le ore della notte, ufficialmente per controllare che non stesse progettando un’evasione. Parlando dell’esperienza, ha detto:
«Adesso capisco perché la privazione del sonno è una delle torture preferite dai servizi speciali. Non lascia tracce, ed è impossibile da sopportare».
In quel periodo, probabilmente a causa di un trauma precedente o dei postumi dell’avvelenamento, gli arti di Navalny erano diventati insensibili: avevano recuperato la sensibilità solo dopo che le guardie avevano smesso di privarlo del sonno.
Nell’intervista al New York Times, Navalny ha parlato anche della difficoltà di mantenere la propria visibilità in Russia, ora che il presidente Vladimir Putin ha messo in atto un’ampia azione di repressione che ha colpito, tra le altre cose, i pochi media indipendenti rimasti e anche la stessa organizzazione di Navalny, che è stata dichiarata illegale.
Navalny però ha sostenuto, con un certo ottimismo, che il regime di Putin sia «un incidente storico (…). Presto o tardi questo errore sarà sistemato, e la Russia intraprenderà una strada di sviluppo democratica ed europea, semplicemente perché questo è ciò che la gente vuole».