La moda delle cover leeeente nei trailer
Sempre più spesso quelli di azione o fantascienza sfruttano versioni orchestrali e malinconiche di canzoni famose, per suscitare emozioni precise
Fino a un po’ più di un decennio fa i trailer dei film più importanti e attesi non avevano quasi mai una canzone in sottofondo: avevano la colonna sonora e, dal 2010 in poi, spesso qualcosa di uguale o comunque piuttosto simile al memorabile BRAAAM di Inception. Le canzoni famose in sottofondo ai trailer (a loro volta resi più importanti dalla diffusione di YouTube) iniziarono a diffondersi più o meno nello stesso periodo e chi si occupa di queste faccende considera il trailer di The Social Network – con la sua versione corale e angelica di “Creep” dei Radiohead – un trailer da prima-e-dopo.
Da qualche anno sembra esserci una nuova moda, un qualcosa che – in particolar modo per i trailer di grandi film d’azione, di supereroi o di fantascienza, ma non solo – sembra ormai quasi imprescindibile: l’uso di cover di canzoni note (come in The Social Network) i cui suoni e il cui ritmo sono però profondamente modificati, così da legarsi al film in una maniera simile a come succedeva con i tanti BRAAAM di Inception. Spesso le canzoni originali sono rallentate, e riarrangiate in esecuzioni che crescono pian piano in intensità raggiungendo momenti enfatici e sinfonici in corrispondenza della seconda parte del trailer, quella in cui si avvicendano per certi generi di film sequenze di azione e tensione, aumentandone così l’effetto scenico.
Qualche tempo fa il Guardian diede anche un nome a questa nuova moda: trailerizzazione. E una definizione: «quel che succede quando una canzone famosa viene ristrutturata e remixata così da allinearsi al ritmo drammatico del trailer da due minuti e mezzo di un ambizioso blockbuster».
Anche solo fermandosi agli ultimi due anni, gli esempi di “trailerizzazione” sono molti. Nell’uso di “Dirty Work” degli Steely Dan nel trailer di The Suicide Squad, per esempio, o in quello di Wonder Women 1984, che adattò alle sue necessità “Blue Monday” dei New Order.
Un altro esempio è il trailer di Venom – La furia di Carnage, che tra un BRAAAM e l’altro usò “One” di Harry Nilsson aggiungendo, come ha scritto il Guardian,«un arsenale di minacciose sinfonie».
Dal folto mazzo di esempi di trailerizzazione si può pescare anche l’uso di “Eclipse” dei Pink Floyd nel trailer di Dune.
Oppure, a voler trovare un esempio ancora più canonico e recente, nel modo in cui il trailer di Eternals, il 26esimo film dell’Universo Cinematografico Marvel, riadatta alle sue necessità la ballata country “The End of the World” di Skeeter Davis. Da così:
A così:
Polygon ha spiegato il fenomeno così: «l’uso della cover di una canzone familiare a tanti, molto rallentata e malinconica, così da dare maggior enfasi emotiva alle parole, spesso provando a dar loro un qualche più cupo e profondo significato». Esempi in qualche modo simili si trovano anche altrove, nei trailer di certi horror o di un film di guerra come Billy Lynn – Un giorno da eroe.
La cura dal benessere, un horror del 2016 di Gore Verbinski, scelse invece una lentissima cover di “I Wanna Be Sedated” dei Ramones.
In genere, ha scritto Polygon, «il trailer inizia con una base sonora che poi conduce alla canzone, che prova a lasciare gli spettatori ripescare nei ricordi, così da provare un momento di sorpresa e stupore».
Secondo il Guardian le radici della trailerizzazione «risalgono a poco più di un decennio fa» e consistono nell’unione di certi suoni resi popolari da Inception all’uso di “Creep” in The Social Network, che tra l’altro ci finì quasi per caso, dopo che il montatore che si stava occupando del trailer andò a ripescare in un vecchio hard disc una versione della canzone dei Radiohead incisa nel 2001 da un coro belga.
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Will Quiney – che si occupa di supervisione musicale dei trailer per GrandSon, una casa di produzione specializzata per l’appunto in trailer – ha spiegato che «si usano canzoni famose perché le case di produzione non vogliono rischiare di alienare le persone con canzoni o suoni troppo strani e nuovi», e che però se ne usano cover per dare un senso di novità, oltre che – in certi casi – per provare a risparmiare. La reazione sperata, spiegò un paio di anni fa la compositrice Simone Benyacar al New Yorker, è: «”Mi sembra di averla già sentita, ma non capisco cos’è”, solo che poi, d’improvviso, lo capisci».
Jaron Lum, direttore creativo di Trailer Park (un’altra azienda che evidentemente si occupa di trailer) ha detto al Guardian che ormai è raro trovare nei trailer canzoni che non siano state sottoposte a una “trailerizzazione”, e ha spiegato che in genere prevede «l’aumento delle percussioni e un’astuta riarmonizzazione».
Non è detto però che questa moda possa durare a lungo, e Quiney riconosce che è una questione di cui si parla, tra chi fa il suo mestiere. Da un lato è possibile che molti altri trailer scelgano di fare così, ora che tra l’altro sono a volte i cantanti stessi a fare in prima persona versioni delle loro canzoni che possano servire a questi scopi. Dall’altro è possibile che la trailerizzazione diventi troppo diffusa e omologata, e che «all’improvviso arriverà un nuovo trailer che cambierà le carte in tavola» introducendo una nuova moda a cui tutti cercheranno di adattarsi.
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