I risultati incoraggianti della terza dose
I primi dati raccolti in Israele dicono che un'ulteriore somministrazione migliora l'efficacia del vaccino contro il coronavirus
Nel fine settimana, il ministero della Salute di Israele ha pubblicato una prima serie di dati che sembra confermare gli effetti positivi della somministrazione di una terza dose del vaccino contro il coronavirus di Pfizer-BioNTech, tra chi ha più di 60 anni. Lo studio, i cui dati erano stati in parte anticipati nei giorni precedenti, ha rilevato un miglioramento significativo nella protezione contro l’infezione da coronavirus e le forme gravi di COVID-19, rispetto a chi aveva ricevuto solamente le due dosi.
I risultati ottenuti in Israele sono osservati con grande attenzione dalle autorità sanitarie di altri paesi, che nelle ultime settimane hanno iniziato a valutare la possibilità di procedere con una terza somministrazione per rinforzare la protezione offerta dalla vaccinazione.
Il governo francese ha da poco consigliato il ricorso a una terza dose a tutti gli over 65 e alle persone fragili, in Germania e in Italia sono in corso valutazioni nel medesimo senso, mentre negli Stati Uniti si discute già da tempo sull’opportunità di impiegare un’ulteriore dose oltre alle due già previste, in modo da prevenire l’eventuale riduzione nel tempo dell’efficacia dei vaccini. Un terzo richiamo è inoltre considerato come un buono strumento per ridurre gli effetti della variante delta, più contagiosa di altre e che sta continuando a diffondersi rapidamente in Occidente e in altre parti del mondo.
La scorsa settimana il governo degli Stati Uniti aveva anticipato di voler rendere disponibile la terza dose per buona parte della popolazione a partire dal prossimo 20 settembre, segnalando la necessità di arginare gli effetti della variante delta che ha causato un marcato aumento dei contagi nel paese nel corso dell’estate. La terza dose potrà essere somministrata a distanza di otto mesi dal completamento del ciclo vaccinale con Pfizer-BioNTech o Moderna, mentre è probabile che sarà necessario un richiamo anche per chi aveva ricevuto il vaccino monodose di Johnson & Johnson.
Israele e le vaccinazioni
Gli Stati Uniti e altri paesi sembrano quindi intenzionati a seguire l’esempio di Israele, che meno di un mese fa aveva avviato una iniziativa per vaccinare con una terza dose buona parte dei propri abitanti. Grazie ai vaccini, in pochi mesi si erano ridotti i nuovi contagi e i decessi, facendo sperare in un ritorno alla normalità senza ulteriori ondate della pandemia.
Le analisi condotte sulla popolazione in primavera si erano rivelate incoraggianti, con il vaccino di Pfizer-BioNTech che aveva confermato la propria efficacia del 95 per cento nel prevenire la COVID-19. Essendo stato uno dei paesi ad avere vaccinato da subito più persone, Israele era diventato inoltre un importante punto di osservazione per valutare la durata della protezione offerta dal vaccino.
Efficacia
A luglio, quando erano trascorsi circa sette mesi dalle prime vaccinazioni, il ministero della Salute israeliano aveva rilevato una riduzione nell’efficacia del vaccino nel prevenire le infezioni da coronavirus. Era scesa al 64 per cento, anche a causa della diffusione della variante delta, non in circolazione quando erano stati sviluppati i vaccini a mRNA finora autorizzati, come quello di Pfizer-BioNTech impiegato massicciamente in Israele.
Anche se meno efficaci nel prevenire la COVID-19 in generale dovuta alla variante delta, i vaccini a oggi disponibili sono comunque altamente efficaci nel proteggere dalle forme gravi della malattia. Questa circostanza riduce quindi il rischio di sviluppare sintomi che rendano necessario il ricovero in ospedale e che, in alcuni casi, possono causare la morte.
Le stime più recenti del ministero della Salute israeliano indicano che i casi gravi di COVID-19 tra i non vaccinati sono circa nove volte di più rispetto a quelli tra i completamente vaccinati, nella categoria degli over 60 e quindi più esposta ai rischi della malattia. Al momento circa la metà dei pazienti vaccinati ricoverati in condizioni gravi a causa del coronavirus aveva completato il ciclo vaccinale almeno cinque mesi fa, e la maggior parte ha più di 60 anni e aveva già altri problemi di salute. I gravemente malati non vaccinati sono per lo più giovani adulti, le cui condizioni cliniche sono peggiorate velocemente dopo la manifestazione dei primi sintomi.
Aumento e terza dose
La quantità di nuovi contagi giornalieri in Israele è quasi raddoppiata nelle ultime due settimane e si sta avvicinando ai numeri dell’ondata che aveva interessato il paese lo scorso inverno. A giugno i decessi erano stati una manciata, nelle prime tre settimane di agosto sono stati circa 250.
Queste circostanze, insieme alle precedenti valutazioni sull’efficacia dei vaccini nel tempo, avevano indotto il governo israeliano ad avviare rapidamente una campagna per la somministrazione di una terza dose di vaccino. A fine luglio il primo ministro Naftali Bennet aveva annunciato l’avvio dei richiami per gli over 60, riducendo poi la soglia di età a 50 anni e successivamente a 40 anni nel corso del mese di agosto.
Finora, almeno 1,3 milioni di persone hanno ricevuto la terza dose in Israele. Il ministero della Salute ha calcolato che il 60 per cento degli israeliani nella fascia di età tra i 60 e i 69 anni ha ricevuto il richiamo, mentre nella fascia tra i 70 e i 79 anni si è superata la soglia del 75 per cento.
Effetti
I primi risultati sulla nuova campagna sembrano essere positivi. Lo scorso mercoledì Maccabi, una delle quattro aziende responsabili dei servizi sanitari in Israele, ha segnalato un aumento nella protezione del vaccino dopo la terza dose anche per quanto riguarda la variante delta. La ricerca ha messo a confronto quasi 150mila persone con terza dose e un gruppo di controllo di 657mila individui con due dosi, ricevute tra gennaio e febbraio. Nel primo gruppo sono stati riscontrati 37 casi positivi, mentre in quello di controllo i casi sono stati più di mille.
Domenica 22 agosto il ministero della Salute di Israele ha pubblicato una serie di propri dati, anticipati nei giorni precedenti, che sembrano confermare le analisi di Maccabi. Tra gli over 60, la protezione dall’infezione offerta a dieci giorni dalla somministrazione della terza dose si è rivelata dieci volte superiore rispetto a quella ottenuta con due dosi; la protezione contro le forme gravi della malattia si è rivelata essere tra cinque e sei volte superiore.
La somministrazione della terza dose non sembra inoltre comportare effetti avversi diversi da quelli già riscontrati con le due dosi, come dolore nel punto dell’iniezione per qualche giorno e in alcuni casi febbre, mal di testa e spossatezza. Diversi vaccinati hanno segnalato di avere riscontrato minori fastidi rispetto alla somministrazione delle due dosi, probabilmente per merito della reazione immunitaria già attivata.
Opportunità
Gli esperti invitano comunque a non arrivare a conclusioni affrettate circa la durata della protezione offerta dai vaccini dopo due dosi, perché i dati sono ancora limitati e perché la diffusione della variante delta rende più difficili i confronti con i mesi passati, quando il coronavirus aveva caratteristiche diverse. Diversi governi sembrano essere comunque determinati a procedere con la somministrazione di una terza dose per lo meno tra le fasce più a rischio della popolazione, in modo da ridurre il rischio di un nuovo aumento di ricoveri che potrebbe mettere sotto forte stress i sistemi sanitari.
Non tutti sono però convinti dall’opportunità di procedere ora con una terza somministrazione, in una fase in cui ci sono ancora moltissime persone che non hanno ricevuto nemmeno una dose di vaccino, soprattutto nei paesi più poveri e in via di sviluppo. La disponibilità dei vaccini è ancora relativamente limitata e l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha più volte invitato i paesi più ricchi a rinviare l’avvio delle terze somministrazioni, in modo da poter destinare maggiori quantità di dosi ai paesi ancora in attesa di avviare le loro campagne vaccinali.
Le dichiarazioni fornite nelle ultime settimane dal governo degli Stati Uniti e di altri paesi sembrano però indicare la volontà di ignorare gli inviti dell’OMS, nel timore che in mancanza delle terze dosi si possano verificare nuove ondate e la necessità di ricorrere nuovamente ai lockdown.
In molti dei paesi più ricchi la percentuale di popolazione completamente vaccinata è comunque ancora bassa rispetto agli obiettivi che ci si era posti per ridurre la circolazione del coronavirus, sia a causa della mancanza di dosi sia per l’esitazione di fasce della popolazione a vaccinarsi. Mentre alcuni riceveranno una terza dose del vaccino, altri non ne avranno ancora ricevuta nemmeno una, riducendo l’efficacia della campagna vaccinale.
Ignoto
Secondo alcuni osservatori in Israele l’avvento della variante delta si è combinato con la riduzione dell’efficacia dei vaccini nel tempo, somministrati in largo anticipo rispetto agli altri paesi. Questa circostanza avrebbe contribuito sensibilmente all’aumento dei contagi, che ora le autorità sanitarie locali sperano di riportare sotto controllo con la somministrazione delle terze dosi. Negli altri paesi il problema potrebbe essere mitigato dal fatto che le vaccinazioni erano iniziate più lentamente e che ampie porzioni della popolazione sono state vaccinate di recente.
Nonostante le ultime evoluzioni della pandemia, a oggi non è ancora possibile prevedere se sarà necessario ricevere periodicamente una dose di richiamo contro il coronavirus, come avviene ogni anno con il vaccino antinfluenzale. Molto dipenderà dalle prossime evoluzioni del virus, da quante persone si vaccineranno e dalla capacità dei vaccini di far sviluppare al nostro organismo difese che durino a sufficienza nel tempo.