Un po’ di risposte sui migranti afghani
Quanti sono stati evacuati da Kabul negli ultimi giorni? E quanti vivevano già in Italia? Cosa dobbiamo aspettarci ora?
di Luca Misculin
Negli ultimi giorni i giornali italiani ed europei si sono occupati molto dei civili afghani evacuati da Kabul e dell’eventualità che nelle prossime settimane il flusso di persone dall’Afghanistan diretto verso l’Europa diventi sempre più grande e significativo. Hanno iniziato a discuterne anche governi e forze politiche nei vari paesi, tra cui anche l’Italia, facendo a volte confusione (volutamente o meno) tra afghani che stanno fuggendo ora, per timore di subire ritorsioni dai talebani, e afghani che invece si trovano in territorio europeo da tempo, e che magari avevano già fatto richiesta di asilo e ricevuto una risposta.
Ecco una breve guida, per chiarirsi le idee e orientarsi meglio.
Quanti ne sono arrivati, e quanti ne arriveranno?
Secondo i dati del ministero della Difesa aggiornati a lunedì pomeriggio, nelle operazioni di evacuazione degli ultimi giorni sono stati trasferiti in Italia 2.187 afghani. Fra di loro ci sono anche 574 donne e 667 bambini. In tutto si parla della possibilità che il governo italiano trasferisca in Italia circa 3.000 persone. Ma l’invasione dell’Afghanistan e la successiva, prolungata instabilità nel paese hanno innescato da anni un ingente flusso migratorio verso l’Europa.
Negli ultimi dieci anni, dal 2011 al 2020, 17.670 afghani hanno chiesto una forma di protezione in Italia. Molti sono arrivati irregolarmente, soprattutto seguendo la cosiddetta “rotta balcanica”, e in minor parte via mare dal Nord Africa. Nello stesso periodo di tempo, l’Italia ha accolto 17.780 richieste in primo grado (alcune erano evidentemente arretrate dagli anni precedenti al 2011). Non tutti gli afghani che hanno ricevuto protezione in Italia si sono effettivamente fermati qui: secondo i dati aggiornati alla fine del 2019, in Italia vivono circa 11mila afghani.
L’Italia ha ricevuto appena il 2,5 per cento di tutte le richieste di protezione avanzate da cittadini afghani nell’Unione Europea: ci sono paesi molto più piccoli che negli ultimi dieci anni si sono fatti carico di una quota maggiore di richieste come Austria (64.385), Svezia (63.810) e Belgio (31.680). In tutto negli ultimi dieci anni nei paesi dell’Unione Europea sono arrivate circa 697mila richieste di protezione da parte di afghani.
Il numero di richieste non equivale al numero di afghani arrivati fra il 2010 e il 2021, perché alcune persone sono riuscite ad avanzare una richiesta in vari paesi, circostanza teoricamente non permessa.
Chi sono e cosa succederà alle persone che stanno arrivando?
Fonti del ministero dell’Interno hanno spiegato al Post che tutte le persone arrivate in Italia finora sono ex collaboratori del corpo diplomatico e militare italiano, assieme alle loro famiglie. Sono entrate regolarmente in Italia con un visto rilasciato dagli uffici dell’ambasciata italiana di Kabul, che sono stati temporaneamente trasferiti all’aeroporto di Fiumicino, a Roma.
Al momento dello sbarco, tutte sono sottoposte a una quarantena di dieci giorni, che in alcuni casi viene trascorsa nelle strutture del ministero della Difesa: l’Afghanistan infatti fa parte dei paesi del cosiddetto Elenco E del ministero degli Esteri italiano, per cui all’arrivo in Italia è obbligatoria in ogni caso una quarantena.
Ci si aspetta che nei prossimi giorni tutte queste persone faranno richiesta per ottenere una qualche forma di protezione: seguiranno cioè la stessa trafila delle persone che arrivano irregolarmente via mare e via terra, che può durare alcuni mesi oppure nei casi più complessi diversi anni.
Anna Brambilla, avvocata membro dell’ASGI (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione), ha detto che «al momento le decisioni delle commissioni che esaminano le richieste di protezione sono piuttosto rapide: a meno che le commissioni non ricevano l’indicazione di dare la precedenza a queste persone, cosa che potrebbe affrettare i tempi, si potrebbe parlare di un giudizio fra i sei e gli otto mesi».
Nel frattempo, spiega la stessa fonte del ministero dell’Interno, l’idea della ministra Luciana Lamorgese è quella di ospitare gli afghani nelle strutture della SAI, la cosiddetta accoglienza di secondo livello: è quella destinata ai richiedenti asilo e prevede il progressivo inserimento degli ospiti nella società. Nei piani del ministero ogni regione dovrà rispettare una quota di richiedenti asilo afghani da accogliere, mentre ciascuna struttura ospitare un massimo di dieci o quindici persone, quindi all’incirca tre collaboratori con le rispettive famiglie.
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E gli afghani a cui è stata respinta la richiesta di protezione?
È un problema soprattutto per alcuni paesi del Nord Europa che negli anni scorsi avevano respinto molte richieste di protezione presentate da afghani spesso sulla base del fatto che la situazione nel loro paese veniva considerata tranquilla. La Germania, per esempio, dal 2011 al 2020 ha ricevuto 246.445 richieste di asilo da parte di afghani, e ne ha respinte poco meno della metà, cioè 116.270.
L’Italia si trova in una condizione molto diversa. L’esperto di immigrazione dell’ISPI Matteo Villa ha fatto notare che storicamente l’Italia è il paese europeo col tasso di diniego più basso nei confronti dei richiedenti asilo afghani. Dal 2015 ad oggi l’Italia ha negato la richiesta di protezione a 705 afghani. Di questi, nello stesso periodo di tempo ne sono stati rimpatriati forzatamente 130, di cui soltanto 2 nel 2021.
In Italia, almeno sulla carta, ci sarebbero quindi poco meno di 600 afghani irregolari. In realtà fonti del ministero dell’Interno hanno detto al Post che al momento sul territorio italiano non sembrano esserci afghani la cui richiesta è stata respinta. Piuttosto che vivere in una condizione di irregolarità, capita spesso che i richiedenti asilo si spostino in un altro paese per presentare un’altra richiesta di protezione.
L’avvocata Anna Brambilla di ASGI ha però parlato di diversi casi di afghani che si troverebbero in Italia dopo che la loro richiesta era stata respinta in un altro paese europeo, per esempio la Germania.
La loro condizione non è semplice. «Si trovano in un limbo perché grazie a Eurodac, il database europeo delle impronte digitali, le autorità italiane si accorgono subito che avevano già chiesto protezione in Germania», ha detto Brambilla. A quel punto per le norme europee dovrebbero essere riportati in Germania: ma per problemi burocratici e amministrativi i trasferimenti sono rarissimi, e queste persone rimangono in Italia senza uno status ben definito.
È lecito aspettarsi un nuovo flusso migratorio dall’Afghanistan?
«L’Italia non può permettersi di accogliere decine di migliaia di persone», aveva detto nei giorni scorsi il leader della Lega, Matteo Salvini. Diversi altri politici di destra ed estrema destra hanno fatto dichiarazioni simili.
In realtà è improbabile che succeda una cosa del genere, almeno nel breve termine. «L’esperienza ci insegna che sia più sensata la preoccupazione dei paesi limitrofi all’Afghanistan, che saranno di gran lunga i più interessati dal flusso di profughi», ha detto Maurizio Ambrosini, che insegna Sociologia delle migrazioni all’Università degli Studi di Milano. «Più del 70 per cento dei rifugiati nel mondo vengono accolti dai paesi confinanti. Di norma fanno poca strada perché non hanno né le risorse né l’obiettivo di andare lontano, anzi: molti sperano di tornare nel proprio paese».
In Pakistan vivono oggi 3 milioni di rifugiati afghani, in Iran circa 800mila: dati molto superiori a quelli registrati in Europa. Non è detto inoltre che si formerà un flusso in uscita significativo: i talebani controllano da settimane tutti i valichi di frontiera e potrebbero bloccare completamente le uscite dal paese.
Se anche qualcuno riuscisse a uscire dall’Afghanistan, ci vorranno mesi o addirittura anni prima che arrivi in Europa. La frontiera afghana più occidentale dista in linea d’aria circa 3000 chilometri dalla Grecia, il primo paese europeo per chi percorre la rotta balcanica: una distanza gigantesca da coprire, soprattutto con pochi mezzi a disposizione. A meno di iniziative specifiche per accogliere un numero superiore di afghani.
Cos'ha detto il governo italiano sui prossimi passaggi?
Finora nessun membro del governo ha annunciato particolari piani per accogliere altre persone oltre ai collaboratori del corpo diplomatico e militare italiano. «La domanda di accoglienza di rifugiati e migranti di provenienza afghana è destinata ad aumentare. È necessario ed urgente mettere a punto insieme all’Unione Europea una risposta comune, in raccordo con i partner della regione», ha detto il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio.
All'interno della maggioranza di governo i partiti hanno posizioni molto diverse sul tema, e in passato il presidente del Consiglio Mario Draghi aveva già dimostrato di volere accantonare questioni politiche troppo spinose. Il principale partito di opposizione, Fratelli d'Italia, ha già fatto sapere di essere contrario alla creazione di speciali corridoi umanitari.
E l'Unione Europea che fa?
Nulla, per il momento. L'immigrazione è da tempo un tema di grande divisione fra i vari paesi dell'Unione Europea: i paesi dell'Est, tradizionalmente più ostili ai migranti rispetto a quelli occidentali, si oppongono a qualsiasi riforma del sistema europeo di accoglienza e in passato hanno più volte ostacolato qualsiasi apertura verso una maggiore accoglienza.
Eppure un modo per aggirare l'aperta ostilità dei paesi dell'Est ci sarebbe. Ne hanno parlato sia l'alto rappresentante dell'Unione agli Affari esteri, Josep Borrell, sia fra le righe il commissario agli Affari economici, Paolo Gentiloni.
Nel 2001 l'Unione Europea approvò una direttiva (PDF), cioè un atto normativo vincolante, che prevedeva la creazione di un permesso di protezione temporanea «durante un flusso di massa o un imminente flusso di massa di persone sfollate da un paese esterno all'Unione Europea». Il permesso deve essere concesso a persone che fanno parte di «categorie specifiche» e avere una durata minima di un anno e una massima di tre anni. Può essere garantito soltanto dopo una decisione del Consiglio dell'Unione Europea, cioè l'organo di cui fanno parte i rappresentanti dei 27 governi nazionali dell'Unione.
La direttiva fu approvata perché si pensava che un flusso regolato di migranti fosse più gestibile di un flusso disordinato, e che introdurre delle regole sarebbe servito per prevenire un flusso fuori controllo proveniente dalla ex Jugoslavia: allora, e anche dopo, la direttiva però non fu mai attivata.
In altre parole, prima di oggi il Consiglio non ha mai individuato la necessità di fornire permessi di protezione temporanea. La recente crisi in Afghanistan potrebbe rientrare nelle condizioni che permetterebbero di attivare la direttiva. Per farlo non sarebbe necessario l'assenso dei paesi dell'Est: basterebbe una decisione a maggioranza qualificata, cioè l'approvazione di almeno 15 paesi su 27 che rappresentino almeno il 65 per cento della popolazione europea.
Va capito se i paesi dell'Europa occidentale avranno la volontà politica per attivare la direttiva e creare dei permessi di protezione temporanea per migliaia di afghani giudicati in pericolo. Sembra quantomeno difficile che possa succedere. Nei due paesi più influenti in ambito europeo, la Germania e la Francia, si terranno le elezioni politiche rispettivamente fra uno e otto mesi. In Italia e in Spagna governano maggioranze piuttosto fragili. E al momento nessuno degli altri paesi sembra particolarmente propenso ad appoggiare una proposta di questo tipo.