Finora tutti i ricorsi degli operatori sanitari non vaccinati sono stati respinti
Sempre con le stesse motivazioni: l'interesse pubblico previsto dalla legge prevale sulla libertà di scelta vaccinale
All’inizio di agosto il tribunale amministrativo (TAR) di Lecce ha respinto la richiesta di una medica di Brindisi che aveva fatto causa contro la sua sospensione, perché non vaccinata: la sospensione era stata decisa dall’azienda sanitaria e dall’ordine dei medici. Nel decreto, il giudice del TAR ha spiegato che l’azienda sanitaria e l’Ordine avevano agito secondo la legge.
Con la stessa motivazione, in tutta Italia molti altri giudici hanno bocciato i ricorsi presentati dagli operatori sanitari che si oppongono all’obbligo vaccinale. Le sentenze dei tribunali, TAR e tribunali del lavoro, hanno confermato che l’obbligo è legittimo e per questo non sembrano esserci possibilità di vittoria per le tante altre cause presentate da medici e infermieri, operatori sociosanitari, farmacisti, biologi, psicologi, veterinari, massofisioterapisti non vaccinati che vorrebbero comunque lavorare e ricevere lo stipendio.
È complicato capire quanti siano gli operatori sanitari non vaccinati in tutta Italia. Secondo l’ultimo report pubblicato dal governo, che ogni sabato mattina diffonde un aggiornamento sulla campagna vaccinale, al 20 agosto erano 35.691. Sono dati comunicati dalle regioni e poco attendibili: molti altri aggiornamenti pubblicati dalle stesse regioni mostrano numeri più alti.
Per esempio, secondo il report governativo, già da metà luglio in Veneto sarebbero stati vaccinati tutti gli operatori sanitari, ma è stata la stessa regione ad avere poi confermato la mancata somministrazione a 18.766 professionisti. Gli stessi ricorsi presentati in regioni teoricamente senza operatori sanitari non vaccinati, come in Lombardia o in Lazio, confermano l’inaffidabilità del report nonostante sia l’unica fonte ufficiale governativa.
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Le sospensioni degli operatori sanitari non vaccinati erano iniziate dopo l’approvazione del relativo decreto legge lo scorso 1 aprile. Il decreto stabiliva che entro il 6 aprile RSA, ospedali e studi medici avrebbero dovuto mandare alle Regioni gli elenchi di tutti gli operatori sanitari, ed entro il 16 aprile le Regioni avrebbero dovuto verificare chi tra le persone negli elenchi non si fosse vaccinato. A quel punto le aziende sanitarie avrebbero dovuto contattare i non vaccinati e chiedere loro di spiegare la mancata vaccinazione, o di fornire i documenti che confermassero la somministrazione delle dosi (se avvenuta in un momento successivo ai controlli della Regione) o l’appuntamento per vaccinarsi.
Già nella prima fase di accertamento di mancata vaccinazione, il decreto prevedeva che gli operatori avrebbero dovuto essere esentati da lavori che prevedevano contatti interpersonali o comportavano il rischio di diffusione del contagio. Dove non era possibile assegnare gli operatori non vaccinati a mansioni non a rischio, era prevista la sospensione della retribuzione fino al 31 dicembre 2021.
Nella realtà le cose non sono andate sempre nei tempi previsti dal decreto, e molte Regioni sono ancora nella fase delle verifiche e dell’invio dei primi avvisi.
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Nel caso della medica di Brindisi, l’azienda sanitaria aveva valutato la possibilità di spostarla in un posto di lavoro non a contatto con le persone e con altri operatori, ma non era stato possibile trovare una soluzione, ed era stata decisa la sospensione.
Nel decreto, che tra le altre cose ha respinto la sospensiva del provvedimento richiesta dalla professionista e fissato la Camera di consiglio il prossimo 15 settembre, si legge che il diritto dell’individuo è ritenuto «recessivo», cioè meno importante, rispetto all’interesse pubblico per cui è stata approvata la legge che ha introdotto l’obbligo vaccinale per gli operatori sanitari, soprattutto nel contesto emergenziale legato al rischio di diffusione dei contagi.
Nelle sentenze con cui i tribunali del lavoro hanno respinto i ricorsi degli operatori sanitari non vaccinati, invece, si fa riferimento all’articolo 2087 del codice civile, che obbliga il datore di lavoro a mettere in sicurezza i suoi dipendenti.
Uno dei primi verdetti era arrivato a metà marzo con la sentenza del tribunale del lavoro di Belluno che aveva respinto il ricorso di dieci operatori sanitari non vaccinati. I dieci operatori, dipendenti di due case di riposo, la Servizi Sociali Assistenziali S.r.l. (Sersa) e la Sedico Servizi, erano stati messi in ferie forzate dalla direzione delle case di riposo e visitati dal medico del lavoro che li aveva dichiarati «inidonei al servizio»; erano stati poi sospesi senza stipendio per «impossibilità di svolgere la mansione lavorativa prevista».
Gli operatori sanitari non vaccinati avevano fatto ricorso al tribunale per essere reintegrati rivendicando la libertà di scelta vaccinale prevista dalla Costituzione.
Gli avvocati che avevano assistito le case di riposo, Innocenzo Megali e Silvia Masiero, avevano giustificato la sospensione degli operatori sanitari con l’articolo 2087 del codice civile, e la giudice Anna Travia aveva dato loro ragione. «Nessuno mette in dubbio la libertà di scelta vaccinale», aveva detto l’avvocato Innocenzo Megali al Corriere del Veneto. «Ma in questo caso prevale l’obbligo del datore di lavoro di mettere in sicurezza i suoi dipendenti e le parti terze, cioè gli ospiti delle case di riposo». Altri ricorsi sono stati respinti a Pavia, Bolzano, Terni, Verona, Treviso.