Storia di Tolo News, il canale afghano che sta raccontando Kabul sotto i talebani
E che ha deciso di continuare a far lavorare le sue giornaliste, nonostante il nuovo regime e i timori di subire una repressione
Il 17 agosto, un giorno dopo la conquista di Kabul da parte dei talebani, negli studi televisivi di una tv locale afghana si è visto qualcosa di unico nella storia dell’Afghanistan: seduti una di fronte all’altro c’erano una giornalista, Beheshta Arghand, e un leader talebano, Mawlawi Abdulhaq Hemad. Hemad aveva saputo solo quella mattina che ad intervistarlo sarebbe stata una donna, e aveva comunque accettato, nonostante i talebani osservino una interpretazione molto radicale dell’Islam che non prevede l’accesso della donna a ruoli di rilievo.
Le immagini dell’intervista hanno fatto il giro del mondo, e sono state riprese in relazione ai recenti tentativi dei talebani di sembrare più moderati rispetto al passato.
Una parte della storia, poco raccontata, è quella dell’emittente che ha deciso di lasciare la giornalista al suo posto, nonostante i timori di possibili repressioni dopo la conquista talebana di Kabul, e di trasmettere comunque l’intervista: quell’emittente si chiama Tolo News, è un canale d’informazione indipendente che trasmette anche in lingua inglese e uno dei più popolari in Afghanistan, definito dal Financial Times «un piccolo gioiello» del “nuovo Afghanistan” emerso dopo che gli Stati Uniti rovesciarono l’ultimo regime dei talebani, nel 2001.
Negli ultimi giorni Tolo News ha raccontato alcuni dei momenti più significativi e drammatici della caduta dell’Afghanistan: ha diffuso immagini e testimonianze dei civili all’aeroporto di Kabul, mostrato i disperati tentativi di alcuni afghani di lasciare il paese aggrappati agli aerei in decollo, e i gesti di ribellione di chi è rimasto.
La cosa per cui si è fatta più notare, però, è stata la decisione di far continuare a lavorare le sue giornaliste senza nasconderle o obbligarle a coprirsi interamente il corpo, facendo condurre loro i servizi in studio e mandandole in giro per la città a mostrare cosa stava accadendo.
La scelta è stata apertamente difesa e commentata dalla stessa dirigenza di Tolo News.
Saadi Mohseni, CEO di Moby Group, a cui Tolo News appartiene, ne ha parlato in un articolo di opinione pubblicato sul Washington Post: «i talebani devono rendersi conto che la società è cambiata, non solo in città ma in tutto il paese: potrebbero non avere altra scelta che accettare un Afghanistan più moderato». Miraqa Popal, caporedattore dell’emittente, ha pubblicato la foto di un’altra giornalista negli studi di Tolo News, scrivendo: «Oggi ricomincia il nostro telegiornale con conduttrici donne».
Parlando di Beheshta Arghand, il direttore Lotfullah Najafizada ha detto alla giornalista Rachel Maddow di MSNBC: «Il coraggio dei media è forse l’ultima cosa rimasta di ciò che l’Afghanistan ha costruito negli ultimi vent’anni: stiamo cercando di capire se funzionerà».
Tolo News ha una storia interessante, utile anche per capire come sia cambiato l’Afghanistan da quando il regime dei talebani fu rovesciato, nel 2001. Era nata nel 2010 come canale di notizie parallelo a Tolo TV, la prima emittente indipendente dell’Afghanistan, fondata nel 2004 e su cui è stato fatto anche un documentario di buon successo. La storia dei canali Tolo è molto legata a quella di Saadi Mohseni, uno degli uomini più ricchi, noti e discussi dell’Afghanistan. Mohseni è il fondatore e attuale capo di Moby Group, una delle più grandi aziende private afghane, a cui appartengono i canali Tolo.
Figlio di un diplomatico e di una funzionaria dell’ONU, entrambi afghani e musulmani moderati, durante la sua vita Mohseni girò diversi posti: Londra, dove è nato, Kabul, Islamabad (Pakistan), Tokyo (Giappone) e Australia, dove la sua famiglia scappò dopo l’invasione sovietica dell’Afghanistan. Fin da piccolo mostrò una passione per cinema e serie tv americane, e cominciò a lavorare molto presto nel mondo degli investimenti e della finanza. A Parigi incontrò la sua prima moglie, metà francese e metà afghana, e in Australia aprì la sua prima attività.
Durante il primo governo autoritario dei talebani fra il 1996 e il 2001, Mohseni si trovava in Australia ma seguiva con interesse quello che stava succedendo in Afghanistan: anche perché era molto amico del militare e politico afghano Ahmed Shah Massoud, il principale oppositore del regime dei talebani che fu ucciso nel 2001, due giorni prima degli attentati alle Torri Gemelle.
Mohseni tornò in Afghanistan dopo la caduta del regime talebano, e fondò Moby Capital, una società di investimenti, grazie a fondi statunitensi rivolti alle start-up locali. L’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID) lo aiutò ad avviare l’attività con circa 2 milioni di dollari, lui ci mise il resto. In quel momento, gli Stati Uniti avevano tutto l’interesse a investire sui mezzi di comunicazione locali, favorendo la nascita di canali indipendenti e alternativi a quelli statali.
La stessa cosa successe durante la Guerra fredda, per esempio, quando la CIA sostenne la nascita dei canali di informazione Radio Free Europe e Radio Liberty all’interno del blocco sovietico. Questi interessi si intrecciarono alle aspirazioni e alla vita personale di Mohseni, il quale, benché afghano, era cresciuto in un ambiente occidentale e ne aveva assorbito la cultura. Attraverso Moby Group, Mohseni fondò poi l’emittente Tolo, “alba” in lingua dari, la più parlata in Afghanistan, come a indicare la rinascita del paese dopo la caduta del regime talebano.
Tolo TV trasmetteva soprattutto programmi di intrattenimento, spesso direttamente ispirati dalla televisione americana: soap opera, programmi di cucina, di moda, di musica e di sport, reality show, serie tv d’azione. Per un paese come l’Afghanistan, appena uscito da un regime che vietava sia la televisione che tutte le forme di intrattenimento, era qualcosa di notevole, e nuovo.
Per il tipo di programmi che trasmetteva, tra cui alcune inchieste sulla corruzione del governo afghano, Tolo TV ricevette parecchie critiche anche dallo stesso governo, che riteneva inappropriati molti dei suoi programmi, diventati nel frattempo popolarissimi. Il governo cercò di far chiudere l’emittente e iniziarono cause legali tra le due parti; Mohseni difese il suo canale dicendo che chiudendolo si rischiava una «ri-talebanizzazione» del paese.
Tolo TV fece arrabbiare anche gli americani quando, a differenza di altre reti afghane, decise di trasmettere le immagini delle torture e degli abusi commessi dai soldati americani contro i detenuti nel carcere iracheno di Abu Ghraib.
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Sulla scia del successo dei suoi canali nel 2010 il Moby Group aprì Tolo News, interamente dedicata alle notizie. Nel corso degli anni l’emittente ha assunto molte donne, in linea con le precedenti politiche di Moby Group, e ha difeso l’immagine che voleva dare di sé: quella di un’emittente progressista con l’obiettivo di promuovere il concetto di libertà di stampa in Afghanistan. Ha ricevuto anche minacce dai talebani per il modo in cui raccontava le notizie: nel 2015, Rukhsar Azamee, uno dei giornalisti del canale, scappò in Svezia dopo avere ricevuto minacce di morte; nel 2016 sette dei suoi giornalisti furono uccisi in un attacco suicida compiuto dai talebani.
La sede di Tolo News è stata uno dei primi luoghi raggiunti dai talebani dopo il loro arrivo a Kabul, il 15 agosto. Il giorno stesso, una dozzina di talebani ha sequestrato le armi che le guardie di sicurezza avevano in dotazione e rassicurato lo staff che avrebbe potuto continuare a svolgere il suo lavoro. Non tutti nell’emittente sono però convinti che le cose andranno per il meglio, e che i talebani manterranno le promesse di maggior moderazione fatte negli ultimi giorni.