Chi sono i leader dei talebani
La catena di comando del gruppo che ha riconquistato l'Afghanistan è conosciuta, anche se sui capi ci sono poche informazioni
I talebani esistono da più di vent’anni ma hanno passato gran parte della propria esistenza a nascondersi dagli eserciti stranieri. Anche per questa ragione sappiamo pochissimo sulle figure di vertice della loro organizzazione. Ora che hanno riconquistato l’Afghanistan, l’interesse nei loro confronti è aumentato, e diversi esperti hanno provato a mettere insieme alcune informazioni sui loro leader più influenti.
Hibatullah Akhundzada
Si stima abbia circa 60 anni. È il capo dei talebani, chiamato anche comandante supremo. Lo è diventato nel 2016 dopo che il suo predecessore Akhtar Mohammad Mansour era stato ucciso da un bombardamento statunitense. È considerato un pragmatico e una figura di compromesso fra le varie fazioni del gruppo, le cui differenze si basano soprattutto sull’etnia e le posizioni politiche.
Negli anni Ottanta, Akhundzada fece parte della resistenza dei gruppi islamisti contro l’invasione sovietica dell’Afghanistan, cioè il principale contesto dove si conobbero i leader storici dei talebani, ma negli anni sviluppò anche importanti credenziali in ambito religioso.
Negli anni Novanta fu il capo dei tribunali religiosi del gruppo e oggi alcuni lo descrivono come una specie di «guida spirituale». Akhundzada è noto anche per essere favorevole all’impiego di attentatori suicidi, una pratica su cui all’interno della leadership talebana ci sono opinioni divergenti. Il New York Times scrive che uno dei figli di Akhundzada è morto a 23 anni dopo essersi fatto esplodere in un attacco suicida nella provincia meridionale di Helmand.
Akhundzada non si fa vedere pubblicamente da molti anni, e il Washington Post scrive che all’inizio del suo mandato cercò soprattutto di rimpolpare le finanze del gruppo, in parte potenziando il commercio e la raffinazione dell’oppio.
Abdul Ghani Baradar
Ha circa 50 anni ed è uno dei vice di Akhundzada, nonché capo della fazione politica dei talebani. Era considerato il braccio destro dello storico fondatore e capo dei talebani Mohammed Omar, più noto con il nome Mullah Omar, insieme al quale aveva combattuto contro l’Unione Sovietica.
Fino al 2010 fu il comandante dell’ala militare dei talebani: in quell’anno venne arrestato dalle autorità pakistane. Nel 2019 fu liberato grazie alla pressione degli Stati Uniti in vista dei negoziati di pace, e da allora guida l’ufficio diplomatico dei talebani che ha sede a Doha, in Qatar. BBC News fa notare che nel 2020 Baradar divenne il primo leader talebano a comunicare direttamente con un presidente statunitense: cioè Donald Trump, con cui parlò al telefono.
Il 17 agosto Baradar è tornato in Afghanistan per la prima volta dopo molti anni, e nella sua città natale, Kandahar, è stato accolto con feste e fuochi d’artificio. In molti lo ritengono il candidato più forte per guidare il nuovo governo dell’Afghanistan.
Sirajuddin Haqqani
Ha 48 anni ed è il leader di una influente famiglia di etnia pashtun che partecipò attivamente alla resistenza contro l’invasione sovietica prima e quella americana poi. Una ventina d’anni fa il gruppo militare che a lui fa riferimento strinse un’alleanza coi talebani, e da allora Haqqani ha scalato la gerarchia del gruppo fino a diventare uno dei vice di Akhundzada, con compiti perlopiù militari. All’interno dei talebani è considerato uno dei principali punti di collegamento col gruppo terrorista jihadista di al Qaida.
Fino a pochi anni fa la brigata militare che guidava personalmente era nota «per i suoi legami con l’intelligence pakistana, e per essere il nemico più ostinato della presenza militare americana in Afghanistan», scrive il New York Times, aggiungendo che il gruppo fu «responsabile di rapimenti di americani, ma anche di complessi attacchi suicidi e uccisioni mirate».
Nel febbraio del 2020 scrisse un articolo ospitato sul New York Times per celebrare l’accordo di pace finalizzato con gli Stati Uniti.
Mohammad Yaqoob
Ha circa una trentina d’anni ed è uno dei più giovani all’interno della leadership talebana. Deve la sua posizione al padre, cioè il Mullah Omar (fondatore del gruppo), ma anche alle sue doti di comandante militare: al momento è il capo di tutta l’ala militare dei talebani.
Il New York Times scrive che è considerato «meno dogmatico di suo padre, notoriamente testardo. Per il posto di capo dell’ala militare batté la concorrenza di un rivale considerato troppo spregiudicato». Di lui non ci sono fotografie.
Abdul Hakeem
Ha circa 60 anni e da qualche mese è il capo dei negoziatori talebani che a Doha, in Qatar, sono in contatto con i paesi occidentali. Su di lui non si sa moltissimo, ma secondo il Guardian guida il potente Consiglio dei giuristi religiosi dei talebani, un influente organo consultivo, ed è considerato una delle persone di cui più si fida il comandante supremo Hibatullah Akhundzada.
Zabihullah Mujahid
È l’uomo che martedì si è presentato davanti ai microfoni e alle telecamere di mezzo mondo per condurre la prima conferenza stampa dei talebani dopo la riconquista di Kabul. Sulla carta è il portavoce ufficiale dei talebani da circa quindici anni, ma non tutti sono convinti che l’uomo si chiami davvero così: secondo alcuni giornalisti e analisti Zabihullah Mujahid potrebbe essere un nome collettivo che i talebani usano da vent’anni nei loro rapporti con la stampa occidentale.
– Leggi anche: È lui, Zabihullah Mujahid?
E gli altri?
Sappiamo ancora meno dei leader talebani che hanno preso fisicamente il controllo dell’Afghanistan, guidando i gruppi militari sul campo. Molti di loro appartengono a generazioni più giovani della leadership storica, e non è chiaro quanto condividano il loro tentativo di mostrarsi più moderati e presentabili agli occhi della comunità internazionale. Intervistato da Foreign Policy, lo storico studioso dei talebani Ahmed Rashid ha spiegato che «una nuova generazione di fanatici ha passato del tempo nelle prigioni afghane e a Guantánamo, e ha avuto cattive esperienze con gli occidentali. Sono loro che spingeranno per una linea più dura e per ottenere una minore apertura nei confronti del liberalismo e della modernità».