I talebani sapranno gestire l’economia?
Hanno già una certa esperienza e importanti fonti di entrata, dicono gli esperti, ma evitare una crisi sarà molto difficile
Con la conquista completa dell’Afghanistan, per la prima volta da vent’anni i talebani sono tornati a essere responsabili dell’economia del paese. La gestione economica dell’Afghanistan – che è un paese assai povero del mondo, è colpito da corruzione endemica e dipende in parte dall’invio di aiuti internazionali (4 miliardi di dollari all’anno) – non è semplice, e sarà resa più complicata dai tentativi dell’Occidente di isolare il regime dei talebani, tagliando tra le altre cose l’accesso alle banche americane e agli aiuti internazionali.
I talebani hanno già una certa esperienza nella gestione dell’economia: durante i vent’anni di guerriglia contro gli Stati Uniti hanno sempre mantenuto il controllo informale, e dunque l’amministrazione economica, di alcune zone del paese (si parlava al tempo di “amministrazioni ombra”). Anche dopo la caduta di Kabul hanno immediatamente cercato di mostrarsi come governanti efficienti: pochi giorni dopo la conquista della capitale, una delegazione talebana è andata in visita al centro di controllo della società elettrica di stato, promettendo la continuità nella somministrazione dell’energia elettrica e condizioni più eque rispetto al governo precedente.
Taliban visited the national load control center of @DABS_Official. They said we would protect the infrastructure of the national grid and asked staff to distribute electricity among all consumers based on fairness. Previously, influential people had preferential treatment. pic.twitter.com/kDZBLMh91g
— Mohsin Amin (@MohsinAminn) August 17, 2021
Gestire il governo centrale, tuttavia, è cosa ben diversa dall’avere il controllo informale di alcune aree limitate del paese: i talebani dovranno pagare gli stipendi dei funzionari pubblici, gestire la tassazione e i servizi, e dovranno farlo, almeno inizialmente, in una condizione di difficoltà e isolamento. Jake Sullivan, il Consigliere per la sicurezza nazionale dell’amministrazione di Joe Biden, ha perfino suggerito questa settimana che gli Stati Uniti potrebbero imporre sanzioni economiche contro il regime.
Le opinioni su quali saranno le conseguenze della gestione economica del regime talebano sono tuttavia divergenti.
Ajmal Ahmady, l’ex presidente della banca centrale del paese, fuggito da Kabul domenica assieme ad altri membri del governo, ha detto al Financial Times che a breve la situazione economica rischia di farsi piuttosto grave, e che le condizioni di vita della popolazione potrebbero peggiorare in maniera significativa. Tra le altre cose, Ahmady ha spiegato che le riserve internazionali dell’Afghanistan ammontano a circa 9 miliardi di dollari, ma che la maggior parte si trova in banche straniere, soprattutto americane, e ora sono bloccate e inaccessibili ai talebani.
First, total DAB reserves were approximately $9.0 billion as of last week.
But this does not mean that DAB held $9.0 billion physically in our vault.
As per international standards, most assets are held in safe, liquid assets such as Treasuries and gold https://t.co/onpttXyTv7
— Ajmal Ahmady (@aahmady) August 18, 2021
A peggiorare la crisi ci potrebbe essere il fatto che, alla vigilia della caduta di Kabul, moltissimi cittadini afghani hanno ritirato i propri risparmi dalle banche, riducendo ulteriormente i fondi a disposizione.
Altri esperti ritengono invece che, considerate le condizioni dell’economia afghana e le principali fonti di reddito per il paese, il regime dei talebani potrebbe essere abbastanza protetto dalle ritorsioni internazionali.
Secondo Graeme Smith e David Mansfield, due esperti di Afghanistan che hanno da poco pubblicato uno studio sull’economia informale del paese, tanto per il governo appena rovesciato quanto per le aree già governate dai talebani la fonte di reddito principale deriva dal controllo delle vie commerciali (confini, ponti, autostrade), ma non solo: anche dall’imposizione di dazi e altri oneri economici sui traffici, che andavano ad alimentare tanto l’economia formale quanto quella informale.
Questo perché l’Afghanistan si trova in una posizione strategica in Asia meridionale: confina con il Pakistan e la Cina, oltre che con numerosi paesi ex sovietici, ed è un punto di passaggio obbligato per numerosi e importanti traffici commerciali via terra.
Lo studio di Smith e Mansfield si concentra sulla provincia di Nimroz, al confine con l’Iran, e mostra come tanto l’amministrazione del governo precedente quanto l’“amministrazione ombra” dei talebani ottenessero la stragrande maggioranza delle loro entrate dall’imposizione di imposte sui traffici commerciali legali, soprattutto di carburante. Al contrario di quanto ci si aspetterebbe, invece, benché l’Afghanistan sia il più grande produttore di oppio al mondo, secondo Smith e Mansfield le entrate generate per i talebani dal traffico di droga nella provincia di Nimroz sarebbero molto ridotte, appena il cinque per cento del totale. Le cose però potrebbero cambiare in fretta, perché negli ultimi tempi è aumentata di molto in Afghanistan la produzione di metanfetamine.
Tutte queste attività non sono particolarmente a rischio anche in caso di blocco dei fondi internazionali e di isolamento diplomatico del regime. Alcuni paesi con cui l’Afghanistan commercia potrebbero decidere di chiudere le loro frontiere ora che il governo è in mano ai talebani (l’ha fatto l’Iran a inizio agosto, per esempio), ma rischiano loro stessi di subire danni economici.
Ovviamente la remota provincia di Nimroz ha dinamiche economiche differenti dalla capitale Kabul, dove il peso degli aiuti e dei prestiti internazionali è sicuramente molto più forte, ma nonostante questo «i talebani sono sorprendentemente protetti dalle decisioni dei donatori internazionali. Il futuro del paese è incerto, ma è probabile che si svolgerà senza una grande influenza del potere occidentale», hanno scritto Smith e Mansfield sul New York Times.
Il quadro economico dell’Afghanistan rimane comunque preoccupante, e secondo alcuni esperti il paese corre il rischio di subire una grave crisi finanziaria, che sul lungo periodo potrebbe essere aggravata dall’emigrazione di forza lavoro e di persone qualificate.
Secondo l’ex banchiere centrale Ahmady, in assenza di riserve monetarie il regime sarà obbligato a imporre controlli sui movimenti di capitali e a svalutare la moneta, provocando tra le altre cose un aumento del prezzo dei generi alimentari. Arif Rafiq, presidente di Vizier Consulting, una società di analisi geopolitica, ha detto al Financial Times che in Afghanistan «i problemi economici aumenteranno (…). Le persone affamate sono persone arrabbiate, e [i talebani] dovranno gestire la situazione».