Ci saranno mai più auto di così?
Forse no, dice la teoria del “peak car”, un'ipotesi secondo cui siamo all'apice della vendita delle automobili
Già pochi anni dopo la grande recessione del 2008 si iniziò a parlare di peak car: un’ipotesi sul fatto che molti dati ed elementi lasciavano ritenere che le automobili e il loro uso avessero raggiunto un picco in seguito al quale, magari dopo un primo momento di stabilizzazione e assestamento, ci sarebbe stata una considerevole diminuzione nell’acquisto e utilizzo di nuove auto.
«È il momento del “peak car” dei paesi ricchi» scrisse nel 2012 l’Atlantic, in un articolo che già dal titolo ne attribuiva la responsabilità a car sharing (l’uso di auto tramite noleggio a breve termine), carpooling (la condivisione di un auto tra più persone di diverse famiglie) e car-ignoring (un’espressione, che poi ha avuto meno fortuna degli altri due, usato per identificare chi semplicemente riusciva a fare a meno di un’auto).
Di picco delle automobili – non più solo nei paesi ricchi – parlò nel 2015 il Guardian, che citò «un sempre maggior numero di ricercatori e analisti secondo i quali è stato toccato il punto in cui il traffico smette di crescere e inizia anche a scendere su base pro capite». Tra i tanti, della questione si occuparono il Financial Times nel 2018 e l’Economist nel 2020, che anzi si chiese se il peak car non si potesse ormai già dire superato. Di peak car si è più volte occupato anche Bloomberg, che nel 2019 parlò tra le altre cose di come le auto private, che nel mondo erano ben più di un miliardo, fossero per molti «un concetto obsoleto».
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— Businessweek (@BW) February 28, 2019
E già nel 2013 Bloomberg aveva parlato – in un articolo pubblicato da City Lab, la sua sezione che si occupa di mobilità e urbanistica – di tutta una sere di «prove del peak car», su cui diceva: «La cosa interessante di questo concetto è che nominalmente può essere provato in più modi. Con il picco delle patenti rilasciate, con il picco delle immatricolazioni, con il picco del consumo di carburante o con quello dei chilometri percorsi. C’è il picco pro capite, quello per famiglia o quello per fascia demografica».
La considerazione di Bloomberg, per larga parte valida tuttora, è ambivalente. Da un lato mostra come già da qualche anno si potessero trovare diverse possibili prove del peak car. Dall’altro, però, rivela anche che il concetto è piuttosto malleabile, senza confini propriamente definiti, e quindi difficile da inquadrare per bene. Specie perché a sua volta vuole provare a definire e racchiudere qualcosa di grande e complesso come le vendite e gli utilizzi di tutte le automobili del mondo.
In genere, comunque, quando se ne parla si tende a concentrarsi sulle auto private (quindi non su quelle in condivisione) sia a benzina che elettriche, e tra i dati che si citano più spesso c’è quello dei chilometri all’anno per persona, considerato utile per avere una fotografia del presente, che i dati sulle vendite non sempre possono dare, perché chiamano in causa tutta una serie di altri fattori.
Si parla di peak car come di un’ipotesi e non una assoluta certezza per due semplici motivi. Il primo è che non è davvero detto che sia avvenuto o stia avvenendo; il secondo è che non è detto che sia per forza di cose un picco: potrebbe anche essere una flessione temporanea a cui però non dovrà necessariamente seguire una diminuzione.
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Di peak car si occupa anche A Brief History of Motion, un nuovo libro di Tom Standage che parte dall’invenzione della ruota (davvero, non per modo di dire) ma che poi si dedica appunto a questo concetto, di cui parla un estratto pubblicato sul sito Big Think.
Secondo Standage, «in questi primi anni Venti del Ventunesimo secolo, ci sono chiare prove del fatto che l’entusiasmo per l’auto sta infine svanendo» e ci sono perfino «alcune persone nell’industria dell’auto che pensano siamo o siamo già passati dal peak car». Standage cita a questo proposito Volkmar Denner, amministratore delegato di Robert Bosch, una multinazionale tedesca che è la più grande produttrice al mondo di componenti per auto. Secondo Denner, che parlò nel gennaio 2020, quindi perfino prima della pandemia, «potrebbe benissimo essere che il picco nella produzione automobilistica mondiale sia già alle spalle».
Standage cita diversi dati sugli Stati Uniti – per esempio quelli secondo cui «sia le miglia per veicolo sia quelle per persona hanno entrambe raggiunto il loro apice nel 2004 e da allora sono sempre scese fino a toccare i livelli degli anni Novanta – e sull’Europa: tra gli altri quello secondo cui «perfino nella Germania che adora le auto la percentuale di giovani famiglie senza auto è salita dal 20 al 28 per cento tra il 1998 e il 2008». Cita inoltre una ricerca del 2017 tra migliaia di abitanti delle principali città europee secondo la quale il 63 per cento di loro aveva un’auto, ma l’84 per cento ammetteva che avrebbe gradito vedere in giro meno auto nella sua città. In questo senso, il peak car è quindi anche una questione di sensazioni e approcci, oltre che di immatricolazioni e chilometri.
Un importante aspetto evidenziato da Standage, che mostra come le cose siano cambiate da quando qualche anno fa si parlava di peak car nei paesi ricchi e occidentali è che ora anche in Cina le cose sono cambiate. Mentre dal 2004 al 2017 il numero di auto vendute nel paese era passato da 5 milioni a quasi 30 milioni, negli ultimi anni è infatti tornato a scendere. Secondo Standage perché «i consumatori cinesi non considerano più l’auto uno status symbol» e, se residenti in città, hanno ormai molte alternative possibili. E tutto questo è successo prima che la Cina, dove ci sono circa 20 auto ogni 100 abitanti, arrivasse ai livelli degli Stati Uniti (84 ogni 100) o dell’Europa (61 ogni 100).
Le cause e i fattori che hanno portato al peak car sono, come scrive Standage, davvero molteplici e spesso in sovrapposizione e in stretta relazione tra loro. Solo la pagina inglese di Wikipedia dedicata al peak car ne elenca 16.
Tra le altre ci sono: il miglioramento dei servizi di car, scooter o bike sharing, una maggiore efficienza dei mezzi pubblici, i disincentivi (economici o dovuti al traffico così come alla creazione di zone pedonali e a traffico limitato), un aumento delle possibilità di interazioni e spesa online, una certa tendenza verso le cosiddette “città da 15 minuti”, una crescente attenzione e preoccupazione di molti per l’emergenza climatica e le questioni ambientali.
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A scontrarsi con i dati e con tutte queste cause ci sono però alcune altre possibili considerazioni. Una riguarda il fatto che il settore automobilistico si trova in una fase di passaggio dalle auto a benzina o diesel verso quelle ibride ed elettriche: c’è il rischio, in altre parole, che una fotografia fatta ora possa venire mossa e risultare poco attendibile. Anche perché, sebbene sembri ancora piuttosto lontana, anche le auto che si guidano da sole potrebbero rappresentare una drastica rivoluzione per il mercato dell’auto.
C’è poi da tener conto del fatto che, nonostante i dati della Cina, certe considerazioni valide per Milano, Parigi o Los Angeles non possono valere per tutto il mondo. E che già solo in Italia – dove ci sono circa 65 auto ogni 100 abitanti, dove il picco di chilometri in auto per abitante fu raggiunto nel 2000, e dove nel 2020 sono state immatricolate 1,3 milioni auto (il 28 per cento in meno rispetto al 2019) – la situazione cambia molto, a seconda di dove si guarda. Anche solo tra il centro di Milano e un paesino della Brianza ci sono notevoli differenze nelle considerazioni e nei fattori che possono entrare in gioco quando si ragiona sulle automobili e il loro uso.
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