L’importante boss camorrista Raffaele Imperiale è stato arrestato a Dubai
Era considerato uno dei latitanti più pericolosi della criminalità organizzata italiana, condannato per traffico internazionale di droga
Raffaele Imperiale, importante boss della Camorra, è stato arrestato a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti: l’arresto è avvenuto il 4 agosto ma è stato reso noto solo oggi, giovedì 19 agosto. Imperiale è un nome importante nella criminalità organizzata italiana: era uno degli uomini più ricercati assieme ai mafiosi Matteo Messina Denaro e Giovanni Motisi e all’altro camorrista Renato Cinquegranella, ed è stato individuato e fermato dalla Guardia di Finanza di Napoli e dalla Squadra Mobile, coordinati dalla Procura di Napoli, assieme all’Interpol e all’Europol.
Imperiale è figlio di un noto costruttore di Castellammare di Stabia, ex presidente della squadra di calcio Juve Stabia. La sua carriera criminale iniziò ad Amsterdam a metà degli anni Novanta, quando ereditò dal fratello Samuele il coffee shop Rockland, tra Raadhuisstraat e Singel, nel centro della città. Ereditò anche un ristorante, il Casa Mia, ma l’attività redditizia arrivava dal coffee shop, dal quale Imperiale iniziò a comprare e rivendere 30-40 chili di marijuana al mese.
La svolta negli affari giunse però grazie a un accordo con il clan Amato Pagano, e cioè gli scissionisti di Secondigliano (o gli Spagnoli, chiamati così perché molti vivevano tra Napoli e la Spagna): nel 2004 questo clan camorrista si separò dal gruppo dominante dei Di Lauro per avviare una propria attività parallela di spaccio nelle piazze. La guerra di camorra che seguì, violentissima, durò due anni, tra il 2004 e il 2005.
Da Amsterdam, e con un accordo con il boss olandese Rick Van de Bunt (“il biondo”), uomo di contatto con i narcotrafficanti sudamericani, Imperiale iniziò a spedire a Napoli eroina e, soprattutto, cocaina distribuita poi nelle piazze dagli uomini degli Amato Pagano.
Anche il commercio di ecstasy iniziò a fruttare guadagni molto ingenti. Il traffico avveniva o su strada, con camion partiti dai Paesi Bassi e arrivati in Italia grazie a import-export di fiori, o via mare, dal Sudamerica all’Africa, poi in Spagna e infine all’Italia. Ad affiancare Imperiale fu, in quegli anni, dal 2000 al 2016, Mario Cerrone. I due, secondo testimonianze di pentiti, potevano contare a Napoli su 50 uomini. Cerrone spiegò a Mariano Riccio, altro camorrista, che se c’era bisogno «tenevano ragazzi armati in sella a TMax, pronti a colpire» (i TMax sono scooter Yamaha assai potenti che usavano in quegli anni i ragazzi della camorra).
Nel 2006 Imperiale si trasferì a Madrid e aprì il ristorante La Perla di Napoli. Gli affari proseguirono a gonfie vele fino al 2008, quando Van de Bunt, “il biondo”, venne assassinato. Da allora Imperiale iniziò a gestire direttamente i contatti con i narcos sudamericani.
A Napoli, tre anni dopo, la situazione cambiò. Venne arrestato Cesare Pagano, boss del clan Pagano, e cadde il patto di esclusiva tra Imperiale e Cerrone e gli Amato Pagano. Cerrone spiegò ai magistrati, una volta arrestato e diventato collaboratore di giustizia, che cosa avvenne: «Anche altri clan si fanno avanti e il primo a bussare alla nostra porta è un giovanissimo. Si chiama Mariano Riccio, con cui stabilimmo solidi rapporti economici, e non solo». Riccio era il genero di Cesare Pagano: la sua fu una scissione tra gli scissionisti. Durò poco. Arrestato, si pentì. Disse: «Ero giovanissimo, non lo rifarei se potessi tornare indietro. Sono dispiaciuto e adesso posso dire solo questo».
Imperiale era prudentissimo, utilizzava codici cifrati per comunicare con i suoi. Ed era molto attento a costruire una rete per il riciclo del denaro. Acquistò complessi immobiliari in Spagna intestati alla moglie e alla suocera, aprì una società sull’isola inglese di Man, la Splendour Graft Trading Limited. La società, secondo la Direzione Distrettuale di Napoli, era formalmente costituita e rappresentata da un professionista ligure ma in realtà sarebbe stata solo uno schermo sul quale venivano fatte confluire le disponibilità di Imperiale.
Nel 2014 Imperiale, che nel frattempo aveva lasciato i Paesi Bassi, finì nei guai: venne arrestato a Dubai su ordine della magistratura spagnola nel corso dell’operazione Tarantella che sgominò un’organizzazione di trafficanti. Già allora, per la magistratura spagnola Raffaele Imperiale era il “capo dei capi”, numero uno di una struttura criminale e finanziaria radicata nei Paesi Bassi, in Spagna, nel Regno Unito, in Colombia, in Italia e nei paradisi fiscali. Da Dubai non c’era possibilità di estradizione e Imperiale venne rilasciato.
Nel 2016 fu la magistratura italiana a passare all’attacco. Imperiale venne accusato di traffico internazionale di stupefacenti. Scrisse un magistrato napoletano nell’ordinanza di rinvio a giudizio: «L’assenza di precedenti penali da parte di Raffaele Imperiale, capo indiscusso di una delle più potenti organizzazioni internazionali dedite al traffico di stupefacenti, operativa da quasi vent’anni, è un dato che appare persino beffardo».
Imperiale mandò un memoriale in cui confessava le accuse che gli erano state rivolte, ma sminuiva le sue responsabilità, consegnando anche alla magistratura parte del suo patrimonio: tredici ville a Terracina, dieci ville a Giugliano, una tenuta a Pianura, i due quadri di Van Gogh, che però erano già stati ritrovati grazie alle confessioni del pentito ex socio Mario Cerrone, e dieci auto di lusso. Imperiale venne condannato a 18 anni, poi scesi a otto grazie alla sua collaborazione, per traffico di stupefacenti e riciclaggio di denaro.
Dopo la condanna, la sua vita però non è cambiata molto: ha continuato a vivere a Dubai facendo base all’hotel Burj Al Arab, proprio perché tra Italia ed Emirati non vigeva un trattato sulle estradizioni. Da lì ha portato avanti i suoi affari, ha stretto nuovi contatti e alleanze, e si è legato a Ridouan Taghi, olandese-marocchino boss del narcotraffico imputato nei Paesi Bassi nel maxi processo Marengo contro la Mocromaffia (mocro è un dispregiativo con cui nei Paesi Bassi vengono indicati i cittadini marocchini) e sospettato di essere tra i mandanti dell’omicidio del giornalista Peter de Vries.
Da Dubai Raffaele Imperiale ha dato anche interviste. Al Mattino di Napoli ha detto:
Ho amato quei Van Gogh, li comprai dal ladro che li ha rubati perché ero consapevole del loro valore artistico. Vengo da una famiglia di persone per bene, oneste e agiate, devo la mia sensibilità artistica a mio padre che mi portava in giro per città storiche e musei. Sono orgoglioso di aver contribuito a far sì che il museo di Amsterdam ne rientrasse in possesso, la verità è che questa storia mi ha nuociuto mediaticamente ma giovato processualmente. Ho una condanna non definitiva a otto anni di reclusione. Non credo che questo sia coerente con l’etichetta di wanted più ricercato della Campania. Se non mi sono costituito, probabilmente ho sbagliato e tuttora sbaglio a non farlo, ma ciò non toglie che io non sono mai fuggito dall’Italia. Io vivo all’estero da oramai oltre venti anni. Quando è stata emesso l’ordine di arresto in relazione al procedimento che mi riguarda, io vivevo a Dubai. E lì continuo a vivere.
Negli ultimi tempi si sono intensificati i contatti tra autorità italiane, Interpol ed Emirati Arabi Uniti proprio riguardo alla possibile estradizione dei latitanti presenti nel paese. L’arresto di Raffaele Imperiale fa pensare che sia stato raggiunto un accordo.
Come molti boss camorristi, anche Raffaele Imperiale ha i suoi soprannomi: nell’ambiente è Rafael Empire, Lello o’ parente, Lelluccio Ferrarelle (da ragazzo, prima di movimentare enormi quantità di cocaina si occupava di distribuzione di acqua minerale), Lello di Ponte Persica (è la frazione di Castellammare di Stabia dove è nato), zio Lello.
Per capire chi è, la sua importanza, e anche la sua megalomania, basti pensare che a casa dei suoi genitori nel rione Annunziatella a Castellammare di Stabia nel 2016 erano stati ritrovati due quadri di Van Gogh, La Marina di Scheveningen e La Congregazione che esce dalla Chiesa Riformata di Nuene, che, prima di tornare a casa, al Van Gogh Museum di Amsterdam, da cui erano stati rubati, furono esposti per una mostra straordinaria al Museo e Real Bosco di Capodimonte a Napoli.
Volendo poi far costruire dieci ville a Dubai, dove era latitante, aveva dato ordine ai suoi uomini di contattare una dei più importanti architetti del mondo, Zaha Hadid. In un’intercettazione nell’ambito di un’inchiesta della magistratura napoletana, un suo uomo dice a un altro: «Mi devi cercare una donna di quelle che mi ha fatto il nome lui. Dice che è il migliore architetto del mondo».