La caduta dell’Afghanistan avrà conseguenze sull’immigrazione in Europa?
Solo in parte, almeno per ora: riguarderanno soprattutto gli afghani che si trovano già nei paesi europei
di Luca Misculin
Negli anni scorsi la guerra civile in Siria e l’instabilità in diversi paesi del Medio Oriente avevano innescato un ingente flusso migratorio verso l’Europa, che ancora oggi non si è esaurito del tutto. Nei giorni in cui l’Afghanistan sta definitivamente passando sotto il controllo dei talebani, i politici di molti paesi europei hanno iniziato a discutere di come rispondere sia agli afghani richiedenti asilo già presenti in Europa, sia ai profughi che nelle ultime settimane hanno lasciato il loro paese per l’avanzata dei talebani: sono due questioni distinte, ma entrambe importanti e oggetto di esteso dibattito.
La questione più urgente riguarda gli afghani che si trovano già oggi nei paesi europei. La guerra in Afghanistan è iniziata nel 2001 con l’invasione degli Stati Uniti, e negli anni successivi in molti sono sistematicamente scappati nei paesi limitrofi e in Europa per cercare di fuggire dalle violenze.
Soltanto fra il 2015 e il 2020 sono arrivati nei paesi dell’Unione Europea chiedendo una forma di protezione 424.005 afghani. Secondo i dati di Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione Europea, la richiesta di 204.360 di loro è stata respinta in primo grado di giudizio. Nello stesso periodo di tempo sono stati rimpatriati forzatamente circa 19.780 afghani, giudicati non in pericolo dalle autorità nazionali che si occupano di immigrazione (spesso con criteri molto rigidi e contestati dagli esperti di diritti umani).
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Tenendo conto che una parte di loro potrebbe avere vinto il giudizio di appello, ma anche che alcuni di quelli arrivati prima del 2015 potrebbero ancora trovarsi in Europa, nell’Unione Europea circolano ad oggi decine di migliaia di afghani che non hanno un permesso di soggiorno; e che quindi rischiano teoricamente di essere rimpatriati forzatamente verso un paese governato da un violento gruppo estremista islamista, che già in passato aveva dimostrato di adottare numerose ed estese restrizioni alle libertà individuali, e di compiere una sistematica repressione verso chi non si adegua alle sue regole.
Nei giorni scorsi diversi paesi europei – fra cui Germania, Francia e Paesi Bassi – hanno deciso di bloccare temporaneamente i rimpatri dei richiedenti asilo afghani la cui richiesta di protezione era stata rifiutata. Un portavoce del ministero dell’Interno tedesco ha specificato che ad oggi in Germania ci sono circa 30mila afghani la cui domanda di asilo è stata respinta e che dovrebbero teoricamente essere espulsi, ma il governo tedesco non ha specificato quanto tempo durerà questa sospensione. Nei Paesi Bassi invece la sospensione delle procedure di espulsione durerà sei mesi.
La probabilità che l’Afghanistan torni ad essere un paese stabile e sicuro nel breve periodo sono praticamente nulle. I paesi europei dovranno quindi decidere cosa fare con le decine di migliaia di afghani che si trovano irregolarmente nel proprio territorio, che per le leggi europee e nazionali non possono essere riportate in un paese dove la loro sicurezza è evidentemente a rischio.
Difficilmente i paesi europei troveranno una linea comune, dato che sull’immigrazione i governi nazionali hanno posizioni diverse. Il governo austriaco di centrodestra, per esempio, ha confermato che intende procedere con il rimpatrio forzato degli afghani a cui è stata negata la richiesta di protezione, nonostante la conquista dell’Afghanistan da parte dei talebani.
La questione riguarda solo in minima parte l’Italia. L’esperto di immigrazione dell’ISPI Matteo Villa ha fatto notare che storicamente l’Italia è il paese europeo col tasso di diniego più basso nei confronti dei richiedenti asilo afghani. Dal 2015 ad oggi l’Italia ha accolto la richiesta di protezione di esattamente 12mila afghani, mentre è stata negata a 705 afghani. Di questi, nello stesso periodo di tempo sono stati rimpatriati in 130. In Italia quindi, verosimilmente, ci sono meno di 600 afghani irregolari riguardo ai quali andrà presa una decisione.
🇦🇫🇪🇺 Dal 2008 a oggi, i paesi europei hanno valutato 600.000 richieste d'asilo da parte di afghani.
Ne hanno rifiutate 290.000, rimpatriando oltre 70.000 persone (di cui 15-20.000 donne).Nel mare di ipocrisia, per una volta l'Italia svetta in positivo.#Kabul#Afghanistan pic.twitter.com/ff4n7mFesa
— Matteo Villa (@emmevilla) August 16, 2021
Una seconda questione riguarda invece gli afghani che potrebbero arrivare in Europa in seguito alla presa del potere da parte dei talebani. In un discorso televisivo tenuto lunedì sera il presidente francese Emmanuel Macron ha avvertito che i paesi europei dovrebbero «proteggersi da un ingente flusso migratorio irregolare che metterebbe a rischio la vita di quelli che ne faranno parte e alimenterebbe traffici di ogni tipo».
Anche il ministro greco per l’Immigrazione, Notis Mitarachi, ha spiegato che a suo dire «l’Unione Europea non è pronta e non ha i mezzi per gestire un’altra emergenza migratoria» mentre diversi leader dell’estrema destra europea hanno evocato flussi migratori simili a quelli del 2015. «La fuga dall’Afghanistan rischia di essere un disastro. L’Italia non può permettersi di accogliere decine di migliaia di persone», ha detto per esempio il leader della Lega, Matteo Salvini.
In realtà è improbabile che succeda una cosa del genere, almeno nel breve termine. Come accaduto negli ultimi anni, molti degli afghani che riusciranno ad uscire dal proprio paese si fermeranno in Pakistan, che già oggi ospita circa tre milioni di rifugiati afghani, oppure in altri stati della regione (il Pakistan per ora ha fatto sapere di avere schierato l’esercito al proprio confine con l’Afghanistan per evitare un nuovo flusso di migranti). Non è detto inoltre che si formerà un flusso in uscita significativo: i talebani controllano tutti i valichi di frontiera e potrebbero anche bloccare completamente il movimento di persone.
Gerald Knaus, presidente del think tank European Stability Initiative, ha spiegato inoltre a Euronews che «per raggiungere l’Europa bisogna passare per una serie di frontiere molto più difficili da superare rispetto a qualche anno fa». Knaus cita su tutte il tratto di mare fra Grecia e Turchia, che dall’accordo del 2016 fra Turchia e Unione Europea è costantemente pattugliato dalle autorità greche e turche. Entrambe sono note per respingere indiscriminatamente chi cerca di arrivare sulle coste greche, quindi anche le persone che intendono chiedere una forma di protezione (che secondo le leggi europee dovrebbero essere sempre in grado di poterlo fare, una volta arrivate nell’Unione Europea).
C’entra anche una questione di tempo. «I pochi che non si fermeranno nei paesi vicini dovranno affrontare mesi ed anni di muri, soprusi e violenze. Dunque una ‘emergenza’ la vedremo forse nel 2023», ha commentato su Twitter Giulia Laganà, esperta di immigrazione dello Open Society European Policy Institute.
I gruppi politici di centrosinistra al Parlamento stanno chiedendo ai governi nazionali e alle autorità comunitarie di aprire corridoi umanitari per le persone che scappano dalle violenze in Afghanistan. Quasi sicuramente la proposta cadrà nel vuoto, data la storica opposizione di diversi paesi europei, fra cui soprattutto quelli dell’Europa centrale e orientale, a iniziative di questo tipo. Non tutti i paesi condividono questa posizione: l’Albania, che non fa parte dell’Unione Europea, ha dato disponibilità ad accogliere temporaneamente alcune centinaia di profughi afghani in fuga dal paese.
Ad ogni modo la Commissione Europea ha fatto sapere che nei primi sei mesi del 2021 gli afghani che hanno cercato di entrare nell’Unione Europea sono stati circa 3.200, circa il 40 per cento in meno rispetto ai dati del 2020.