In Afghanistan poteva andare diversamente?
Se lo stanno chiedendo in molti, dopo la rapida e disastrosa caduta di Kabul: non c'è un'unica risposta, ma tante opinioni da cui partire
di Eugenio Cau
La rapidissima campagna di riconquista dell’Afghanistan da parte dei talebani a seguito del ritiro delle truppe americane, che è culminata domenica 15 agosto con la caduta della capitale Kabul, la fuga del governo e l’evacuazione d’emergenza dell’ambasciata degli Stati Uniti, è costata all’amministrazione di Joe Biden un’enorme quantità di critiche, sia da destra sia da sinistra. La decisione di Biden di ritirare in fretta le truppe affidando il paese all’esercito e al governo locali, che si sono sgretolati in pochi giorni, è stata definita una «catastrofe», un «disastro», un’«infamia», una «fine disonorevole», un «fallimento» – e si potrebbe andare avanti.
Questi giudizi così duri, arrivati anche da giornali e commentatori benevoli nei confronti dell’amministrazione Biden, sono stati influenzati dagli avvenimenti delle ultime settimane. La caduta dell’Afghanistan non era certo inattesa: come ha scritto sull’Atlantic Tom Nichols, esperto di politica estera americana, non c’era nessuna versione della fine del conflitto afghano «che non si sarebbe conclusa con la caduta di Kabul». Ma quasi nessuno si aspettava che sarebbe stata così rapida e catastrofica, tanto da ricordare la ritirata statunitense dal Vietnam.
Le critiche di questi giorni non si sono concentrate tanto sull’opportunità del ritiro americano, quanto sulle sue modalità. Molti commentatori hanno sostenuto che, posta la decisione di Biden di portare a termine il ritiro delle truppe, le cose avrebbero potuto essere fatte diversamente, o con più calma, in modo da evitare l’evacuazione caotica e disordinata di questi giorni e, perfino, da rallentare l’avanzata dei talebani – anche se su quest’ultimo punto c’è molto scetticismo.
Alcuni esperti di politica estera, come per esempio Frederic Kagan, un membro del centro studi American Enterprise Institute che per un periodo è stato anche consulente dell’esercito americano in Afghanistan, si sono concentrati sulle tempistiche del ritiro. Kagan, in un articolo molto critico intitolato “Biden avrebbe potuto fermare i talebani. Ha deciso di non farlo”, ha ricordato che storicamente le operazioni militari dei talebani hanno un ritmo stagionale. Il gruppo islamista radicale si ritira in inverno, spesso nelle sue basi in Pakistan, per poi riprendere tutti gli anni le attività militari in primavera, fino a raggiungere il massimo in estate.
Secondo Kagan, la decisione di Biden di annunciare il ritiro di tutte le truppe americane ad aprile, proprio mentre le attività militari dei talebani riprendevano, è stata poco lungimirante e non ha consentito di mettere in atto un «ritiro responsabile». Gli Stati Uniti avrebbero dovuto mantenere un buon numero di truppe nel paese (aggiungerne almeno mille alle 3.500 che si trovavano sul campo al momento dell’annuncio), aiutare il governo afghano a sostenere il grosso dell’offensiva estiva e soltanto dopo ritirarsi.
Altri commentatori si sono concentrati sul fatto che, dopo l’annuncio del ritiro, gli Stati Uniti non si sarebbero preparati a sufficienza. Non avrebbero organizzato a dovere l’evacuazione delle decine di migliaia di afghani e delle loro famiglie che negli anni avevano aiutato la missione americana, prevalentemente come interpreti, e che con l’arrivo dei talebani sarebbero stati minacciati (questo problema ha riguardato anche i collaboratori dei paesi europei coinvolti nella guerra). E non avrebbero preso misure sufficienti per sostenere l’esercito locale nelle operazioni di difesa.
Anzitutto, da parte degli Stati Uniti c’è stato un errore di calcolo: come ha scritto il New York Times, ancora a giugno l’intelligence americana aveva stimato che ci sarebbe voluto un anno e mezzo di guerra prima che Kabul fosse minacciata, e che dunque ci sarebbe stato più tempo per preparare un ritiro ordinato ed efficace. Inoltre, hanno detto diversi funzionari dell’amministrazione ai giornali americani, sebbene il ritiro fosse stato deciso da Donald Trump, quando Biden è entrato alla Casa Bianca i preparativi non erano nemmeno cominciati. Il tempo a disposizione di Biden per organizzare una fine ordinata della missione era quindi molto poco.
Anche dopo, i preparativi sono stati lenti. Come ha scritto David Frum dell’Atlantic, è probabile che gli Stati Uniti saranno costretti ad abbandonare la gran parte degli interpreti e dei collaboratori afghani, soprattutto a causa di impreparazione e lentezze burocratiche, e questo sarà una «vergogna finale e gratuita che avremmo potuto evitare».
David Sanger, un giornalista del New York Times che si occupa di sicurezza, ha scritto che al momento dell’avanzata rapidissima e inattesa dei talebani diversi piani pensati per sostenere l’esercito afghano nelle operazioni di difesa non erano ancora stati messi a punto fino in fondo. Per esempio, gli Stati Uniti sapevano bene che le operazioni militari in Afghanistan dipendevano da decine di migliaia di contractor privati che si occupavano della logistica aerea e di far funzionare i complessi sistemi d’arma che gli Stati Uniti avevano fornito, ma non avevano fatto piani per tenerli sul territorio ad aiutare l’esercito afghano. Inoltre, l’amministrazione Biden ha parlato per mesi della realizzazione di un programma di sostegno con l’aviazione alle forze afghane nel caso in cui Kabul fosse stata minacciata, piano che però non era pronto quando la capitale è caduta.
Tuttavia, come ha detto lo stesso Biden in questi giorni, le colpe di questo ritiro disordinato e catastrofico sono da condividere con l’amministrazione di Donald Trump.
Anzitutto, perché alcune delle ragioni principali della riconquista talebana, come il collasso dell’esercito e del governo afghani, hanno cause strutturali che vanno molto indietro nel tempo e che non sono imputabili a un presidente insediato da poco. In secondo luogo, perché l’accordo di Doha, la capitale del Qatar in cui gli Stati Uniti si sono riuniti con i talebani escludendo il governo afghano e hanno deciso il ritiro delle truppe praticamente senza condizioni, è stato firmato da Trump.
Questo accordo, secondo la maggior parte degli esperti, ha rafforzato i talebani. Li ha legittimati, senza allo stesso tempo fare particolari concessioni in cambio del ritiro: il gruppo non ha dovuto infatti acconsentire a un cessate il fuoco e ha beneficiato di molti mesi di sospensione dei bombardamenti americani, che ha dato agli insorti la possibilità di raggrupparsi e di muoversi liberamente sul territorio. Doha «ha messo i talebani nella posizione di maggior forza militare dal 2001», ha detto lo stesso Biden qualche giorno fa.
L’accordo ha inoltre indebolito il governo afghano, che è stato escluso dalle trattative e che da un giorno all’altro si è trovato privato della protezione militare degli Stati Uniti.
«Tra gli errori più gravi c’è stata la decisione del presidente Trump di firmare un accordo con i talebani che prometteva il ritiro degli Stati Uniti senza prima organizzare un cessate il fuoco generale», ha detto Michèle Flournoy, che è stata una delle principali dirigenti del dipartimento di Stato americano sotto il governo di Obama. «In seguito [Trump] ha ritirato unilateralmente le forze americane fino a portarle a un livello insostenibile [per la difesa del paese, ndr]. Questo ha lasciato il presidente Biden in una posizione molto più difficile».
Se la discussione sulle modalità del ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan è influenzata dagli ultimi avvenimenti, quella sulle opportunità del ritiro è più ampia e profonda, anche perché la guerra in Afghanistan nel suo complesso è stata una questione che ha coinvolto ben quattro presidenti di entrambi i partiti, ciascuno dei quali ha commesso errori: «La guerra fu iniziata da un presidente Repubblicano, il numero delle truppe sul campo raggiunse il suo massimo sotto un presidente Democratico, l’accordo per il ritiro fu fatto da un altro presidente Repubblicano e la decisione di ritirarsi è stata portata avanti da un altro presidente Democratico», ha sintetizzato il Wall Street Journal. (I presidenti sono, in ordine: George W. Bush, Barack Obama, Donald Trump e Joe Biden).
Soprattutto, la discussione sull’opportunità del ritiro è legata a quella sull’opportunità dell’invasione vent’anni fa.
Questo è un punto sottolineato per esempio da alcuni veterani della guerra, che vedendo l’Afghanistan ricadere in mano ai talebani nel giro di poche settimane si sono chiesti se tutta la ventennale missione americana – e con lei gli sforzi, le sofferenze e le morti dei soldati – sia stata inutile.
Altri commentatori hanno notato come il problema della guerra in Afghanistan non sia stato tanto il ritiro degli ultimi mesi, quanto il fatto che fin da principio non fosse possibile vincerla. Questa non è una convinzione espressa soltanto da numerosi esperti, ma anche in un certo senso dalla stessa amministrazione Biden.
A giugno la portavoce della Casa Bianca, Jennifer Psaki, disse che era convinzione del presidente Biden che «non fosse possibile vincere la guerra» in Afghanistan, e lo stesso Biden ha disconosciuto l’impostazione data alla guerra da tutti i suoi predecessori quando lunedì ha detto che «la nostra missione in Afghanistan non avrebbe mai dovuto essere di nation building [cioè di costruzione da zero delle istituzioni di uno stato, ndr], non avrebbe mai dovuto cercare di creare una democrazia unificata e centrale». La missione era infatti iniziata per smantellare l’organizzazione terroristica di al Qaida e rovesciare il regime dei talebani: entrambi gli obiettivi, seppur parzialmente, furono raggiunti poche settimane dopo l’invasione.
– Leggi anche: La cronologia dell’intervento degli Stati Uniti in Afghanistan, fino ad oggi
La discussione sull’opportunità del ritiro delle truppe dall’Afghanistan è comunque andata avanti per mesi, sia prima sia dopo l’annuncio sul ritiro fatto da Joe Biden ad aprile.
Il dipartimento della Difesa, che gestisce l’esercito, è sempre stato contrario al ritiro, e i giornali americani negli ultimi anni hanno pubblicato numerosi retroscena che raccontavano come i generali e i consiglieri militari prima di Trump e poi di Biden avessero tentato invano di convincere i due presidenti a tenere alcune migliaia di truppe in Afghanistan, senza successo.
Il New York Times ha raccontato per esempio come il segretario alla Difesa, il generale Lloyd J. Austin III, abbia tentato più volte di convincere Biden a lasciare truppe sul campo. A marzo, il generale Austin avrebbe perfino presentato al presidente uno scenario ipotetico in cui l’esercito afghano sarebbe crollato rapidamente e i talebani avrebbero riconquistato tutto il paese appena gli Stati Uniti si fossero ritirati – cioè lo scenario che poi si è verificato. Ma Biden aveva risposto chiedendo: “se l’esercito afghano non è in grado di tenere testa ai talebani adesso, quando sarà in grado di farlo?” Nessuno degli ufficiali presenti era stato in grado di rispondere.
Anche buona parte degli esperti di politica estera e degli opinionisti dei giornali era ormai favorevole al ritiro da diversi mesi. I contrari erano rimasti relativamente pochi, ma tra loro l’argomento più popolare è che gli Stati Uniti avrebbero dovuto fare in Afghanistan quello che hanno fatto in paesi come Corea del Sud, Giappone e Germania, dove hanno tenuto per decenni contingenti militari nutriti e costosi. Le condizioni tuttavia sono diverse, come ha notato l’ex funzionario del dipartimento di Stato, Daniel Silverberg: nessuno dei paesi citati, tra le altre cose, è uno scenario di guerra.
Soprattutto, l’opinione pubblica americana era largamente favorevole al ritiro, e molto poco sensibile a quello che è successo in Afghanistan negli ultimi anni.
Secondo un sondaggio fatto a luglio dal Chicago Council on Global Affairs, il 70 per cento degli americani (il 77 per cento degli elettori Democratici, il 56 per cento dei Repubblicani e il 73 per cento degli indipendenti) sosteneva la decisione di Biden di ritirarsi dall’Afghanistan. Nel corso dell’ultima campagna elettorale, sia Biden sia Trump promisero di porre fine alla “guerra infinita” in Afghanistan, e per mesi si erano litigati i meriti del ritiro. Negli ultimi giorni, invece, si sono rimpallati la responsabilità della disastrosa caduta di Kabul.