Anche negli Stati Uniti mancano i camionisti
Sono troppo pochi nonostante i bonus e le assunzioni dall'estero: questo sta facendo aumentare i prezzi dei beni e i tempi di fornitura delle merci
Nell’ultima settimana si è molto discusso dell’intervista del Corriere della Sera a Gerardo Napoli, amministratore di un’azienda di logistica salernitana che ha detto di stare cercando 60 camionisti ma di non riuscire a trovarli, nonostante offra uno stipendio di 3 mila euro netti al mese. Questa mancanza sembra confermata dai numeri recentemente pubblicati dall’Anita, l’associazione di Confindustria che rappresenta le società di autotrasporto, merci e logistica: in Italia mancherebbero 5 mila autisti nell’immediato, che potrebbero diventare 17 mila nel prossimo biennio. Il problema però non riguarda solo l’Italia.
Come ha scritto Bloomberg, anche negli Stati Uniti c’è carenza di autisti di camion. La pandemia e altri fattori hanno infatti aggravato una scarsità preesistente che sta creando grossi problemi al trasporto delle merci nel paese (che, come in Italia, dipende in grandissima parte dal trasporto su strada) e sta generando colli di bottiglia che hanno ridotto la disponibilità delle merci e ne hanno aumentato il prezzo. Per tentare di risolvere il problema, che negli ultimi mesi ha interessato anche altri settori, le società di autotrasporti hanno aumentato gli stipendi e incrementato i bonus per i camionisti, ma queste misure non si sono rivelate sufficienti. Perciò da qualche tempo stanno tentando di assumere autisti dall’estero (una soluzione che è stata peraltro suggerita anche dall’Anita per risolvere il problema in Italia), anche se la burocrazia necessaria rende il processo lento e difficile.
Secondo l’American Trucking Associations (ATA), il più grande sindacato di settore del paese, nel 2019 il 72,5 per cento di tutte le merci trasportate negli Stati Uniti è passato per il trasporto su gomma. Nello stesso anno, sui camion è stato trasportato il 67,7 per cento delle merci scambiate via terra tra Stati Uniti e Canada e l’83,1 per cento di quelle tra Stati Uniti e Messico. Questi dati fanno capire quanto l’economia statunitense faccia affidamento sul trasporto su gomma per il proprio funzionamento.
Intoppi o rallentamenti in questo settore si ripercuotono perciò su molti altri, generando ritardi nella catena di approvvigionamento, e quindi nella produzione e consegna dei beni. Una carenza di capacità di trasporto si traduce invece in un aumento del costo di questo servizio, facendo salire a sua volta il prezzo dei beni finali prodotti con le merci trasportate.
Gli Stati Uniti sono da anni alle prese con una mancanza di autisti per camion. Già nel 2019, prima della pandemia, i camionisti erano 60 mila in meno del necessario, nonostante quell’anno il loro numero fosse cresciuto dell’1,7 per cento rispetto all’anno prima, arrivando a 3,6 milioni. La situazione non sembra dover migliorare nell’immediato futuro: secondo una stima citata da Bloomberg, nel 2023 potrebbero esserci 100 mila camionisti meno del necessario.
La pandemia ha infatti peggiorato le cose, spingendo molti camionisti ad andare in pensione anticipatamente e facendo al contempo aumentare la domanda di servizi di trasporto. Allo stesso tempo, i lockdown dell’anno scorso hanno reso più difficile per gli aspiranti autisti frequentare i corsi necessari a ottenere una commercial driver’s license, cioè la patente richiesta per guidare veicoli pesanti, lunghi o che trasportino materiali pericolosi. Inoltre, per trasportare carichi di dimensioni fuori dalla norma o particolarmente rischiosi servono camionisti specializzati, ancora più difficili da trovare.
Anche in Italia, la patente sembra essere un ostacolo importante: secondo l’Anita, molti potenziali camionisti sono scoraggiati dal suo costo proibitivo (tra i 6 e i 7 mila euro), nonché dallo studio e dal tempo necessari a ottenerla: tra i 10 e i 12 mesi. Le aziende di trasporto che hanno bisogno di camionisti potrebbero farsi carico del costo, ma spesso non lo fanno perché sarebbe un investimento rischioso: una volta ottenuta la patente, nessuno assicura loro che l’autista non vada a lavorare per un concorrente.
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Negli Stati Uniti, la mancanza di camionisti ha causato rallentamenti nella catena di approvvigionamento e carenze di fornitura in gran parte dei settori, che hanno alimentato ulteriormente l’inflazione (cioè l’aumento dei prezzi) e stanno mettendo a rischio la ripresa economica del paese.
Un esempio molto comune è quello delle pompe di benzina, che si sono ritrovate spesso a terminare il carburante prima che una nuova partita potesse essere consegnata e ne hanno quindi in molti casi aumentato il prezzo. La stessa cosa è avvenuta con il carburante per gli aerei negli aeroporti: l’elenco delle materie prime che scarseggiano è lungo e comprende materiali da costruzione come il legno e l’acciaio.
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Craig Fuller, fondatore di una società di analisi di dati del settore chiamata Freightwaves, ha detto a Bloomberg che la mancanza di camionisti è solo una parte del problema: ci sarebbe anche una carenza di capacità, cioè di camion destinati a uso commerciale, che nel 2019 erano 36,9 milioni secondo l’ATA.
Per risolvere almeno la questione della scarsità di autisti, diverse imprese di trasporto hanno raccontato di avere offerto stipendi più alti e bonus all’assunzione (cioè una cifra corrisposta all’autista per il semplice fatto di aver accettato l’impiego), nonché di aver migliorato i termini contrattuali offerti in vari modi. Tutto ciò non si è però rivelato sufficiente. Una delle ragioni potrebbe essere il fatto che il camionista è un mestiere molto duro, con orari di lavoro lunghi e irregolari, che non permette di bilanciare facilmente vita lavorativa e vita privata ed espone chi lo fa a rischi anche per la propria incolumità.
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Non avendo riscosso l’interesse di un numero sufficiente di lavoratori in patria, queste aziende hanno cominciato a cercare personale all’estero.
Un’agenzia che aiuta le società di trasporti a reperire autisti all’estero e ne agevola l’immigrazione negli Stati Uniti ha detto a Bloomberg di aver visto raddoppiare la domanda per i propri servizi dall’inizio della pandemia. I più richiesti sono i camionisti canadesi e sudafricani, i quali parlano già l’inglese e hanno perciò meno problemi a ottenere i permessi necessari, anche se quelli sudafricani sono abituati a guidare a sinistra, e devono perciò fare un corso di formazione ulteriore per imparare a guidare a destra. Altre imprese hanno raccontato di aver cercato autisti in Europa e Messico.
Il problema di assumere personale al di fuori degli Stati Uniti è la quantità di burocrazia necessaria a far sì che questi lavoratori possano immigrare nel paese, le cui leggi sull’immigrazione sono notoriamente complesse e tese a proteggere i lavoratori statunitensi dalla concorrenza straniera. Questo fa sì che il processo di immigrazione abbia spesso tempi lunghissimi: l’amministratore delegato di una società di trasporti sentito da Bloomberg ha detto di stare ancora aspettando l’approvazione per l’immigrazione di 13 dei 15 lavoratori ai quali ha proposto un contratto nel 2017.
Le cose potrebbero però cambiare con l’intervento della politica americana. Il governo Biden ha creato una task force per risolvere i diversi problemi nella catena degli approvvigionamenti del paese, e sembra essersi reso conto del fatto che la mancanza di camionisti sia uno di questi.
A luglio, il segretario dei Trasporti, Pete Buttigieg, quello del Lavoro, Marty Walsh, e la vice amministratrice della Federal Motor Carrier Safety Administration (ente che regolamenta l’industria del trasporto su gomma negli Stati Uniti), Meera Joshi, hanno incontrato diversi rappresentanti dell’industria per trovare soluzioni al problema. Tra le proposte, oltre a quella di abbassare l’età minima per poter guidare un camion attraverso i confini statali da 21 a 18 anni, c’è stata quella di aggiungere il settore alla lista di quelli che possono fruire di un processo semplificato per l’assunzione di lavoratori stranieri.
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