Ostriche contro uragani
A New York due progetti per ripopolare l'estuario dell'Hudson di molluschi e creare "frangiflutti viventi" potrebbero difendere la città da una nuova grossa tempesta
Tra il 25 e il 31 ottobre del 2012 un grande uragano, chiamato Sandy, colpì New York: circa 90mila edifici e le stazioni della metropolitana furono inondate, 2 milioni di persone e alcuni ospedali rimasero senza corrente elettrica e a Staten Island, l’isola che insieme al Bronx, al Queens, a Manhattan e a Brooklyn è uno dei distretti della città, morirono 24 persone. Fare fronte ai danni causati dall’uragano costò più di 19 miliardi di dollari. Da allora l’amministrazione locale ha avviato una serie di progetti per difendere la città dalle tempeste e dall’innalzamento del livello del mare – New York è tra le città del mondo più esposte al problema – e alcuni prevedono una “collaborazione” con un’altra specie animale: le ostriche.
Quando nel Seicento venne fondato l’insediamento che poi sarebbe diventato New York, l’estuario del fiume Hudson era pieno di barriere di ostriche, che nei secoli successivi furono un’importante fonte di cibo per la città in espansione. All’inizio del Novecento però della popolazione di ostriche rimaneva ben poco: era stata ampiamente sfruttata per ragioni alimentari, e nel frattempo le acque dell’Hudson erano diventate molto inquinate. Inoltre i dragaggi realizzati per migliorare le condizioni di navigazione ne avevano profondamente alterato l’ambiente.
Nel 1927 chiuse l’ultima società di vendita di ostriche newyorkesi. A partire dal 1972 però, quando entrò in vigore il Clean Water Act, la legge federale statunitense sull’inquinamento delle acque, la situazione cominciò a migliorare. Dal 2000 le acque dell’estuario sono abbastanza pulite da permettere la sopravvivenza delle ostriche.
Oggi ripopolare le acque di New York con le ostriche porterebbe vari vantaggi. Innanzitutto favorirebbe la presenza di molte altre specie acquatiche, perché le barriere di molluschi costituiscono un habitat per altri animali, come i cavallucci marini. Inoltre diminuirebbe l’inquinamento, perché le ostriche filtrano l’acqua e trattengono molte sostanze dannose. Infine aiuterebbe in caso di uragani, dato che di fatto le barriere di ostriche funzionano anche come frangiflutti e quindi proteggono le coste dall’erosione dovuta alle onde e dalle inondazioni.
Il primo dei due progetti di New York dedicati alle ostriche si chiama Billion Oyster Project, è iniziato nel 2014 e coinvolge studenti, volontari e 75 ristoranti.
I ristoranti mettono da parte le conchiglie di ostriche servite ai loro clienti, che vengono raccolte su Governors Island, una delle isole più piccole dell’estuario dell’Hudson, tra Manhattan e Brooklyn, e lasciate per un anno all’aperto, in modo da pulirsi. Queste conchiglie “usate” sono poi messe all’interno di ceste forate per essere immerse dentro grossi acquari, creati utilizzando vecchi container immersi nell’acqua dell’Hudson.
All’interno degli acquari sono poi liberate tante larve di ostriche, molluschi ancora molto giovani, che alla nascita sono piccolissime, non hanno ancora quelle grosse conchiglie a cui le associamo e si possono spostare nella corrente. Nel giro di una settimana le larve si ancorano alle conchiglie “usate”: le sfruttano come sostegno.
Le ceste che le contengono a questo punto possono fare da base per nuove barriere di ostriche e vengono posizionate dai volontari di Billion Oyster Project in alcuni punti dell’estuario dell’Hudson (15 finora), alcuni vicino alla costa, altri più in profondità.
Il secondo progetto che prevede il coinvolgimento delle ostriche non è ancora partito: si chiama Living Breakwaters, “Frangiflutti viventi”, ed è stato pensato per proteggere Staten Island.
Consisterà in un sistema di nove frangiflutti costruiti in modo da diventare un habitat accogliente per ostriche, astici e pesci. Il progetto prevede anche la realizzazione di piscine artificiali nei punti in cui l’acqua si ritira con la bassa marea: serviranno per favorire la presenza di varie specie viventi nelle zone mesolitorali, quelle che possono essere sommerse o meno a seconda delle maree. Sarà completato con cesti di ostriche forniti dal Billion Oyster Project, che permetteranno ai frangiflutti di crescere nel tempo: è per questo che sono detti “viventi”.
Tutte le strutture del progetto verranno messe nella Raritan Bay, la baia che separa Staten Island dal New Jersey, a sud, e saranno pressoché invisibili dalla costa. I frangiflutti, che in totale si allungheranno su circa 730 metri, non impediranno all’acqua di raggiungere strade e marciapiedi in caso di inondazioni, ma ridurranno la forza delle onde e limiteranno il rischio di grossi danni causati dagli uragani.
«Molte infrastrutture costiere mancano di complessità», ha spiegato al New Yorker Pippa Brashear, una delle architette di SCAPE, lo studio che ha progettato Living Breakwaters: «Sono perlopiù muri». Questi frangiflutti invece saranno diversi: «Nuotandoci attorno con una muta da sub si potrà vedere qualcosa di simile a una barriera di ostriche, piena di nicchie e fessure. È progettato per essere disordinato, con tanto spazi per piccole creature, invertebrati come i tunicati, spugne colorate, giovani spigole e altri pesci che guizzano e trovano angoli in cui nascondersi. Sarà brulicante di vita».
Per assicurarsi che le strutture artificiali siano accoglienti per gli animali marini, Living Breakwaters prevede l’uso di speciali blocchi di calcestruzzo (ECOncrete), inventati da due biologi marini israeliani proprio per permettere la proliferazione di molluschi, alghe, spugne e pesci.
Sia per la loro conformazione, piena di cavità e nicchie che ricordano quelle che si trovano nelle rocce marine, sia per la loro composizione, i blocchi di ECOncrete favoriscono la creazione di un ambiente vitale e vengono peraltro resi più robusti e resistenti dalla crescita di materiale organico sulla loro superficie.
All’interno del progetto è prevista anche la realizzazione di una struttura per l’allevamento di ostriche, a sostegno delle popolazioni di molluschi che cresceranno da sole.
Living Breakwaters è ufficialmente iniziato nel 2014, quando vinse un importante concorso dell’amministrazione di Barack Obama per progetti di architetti, ingegneri e scienziati finalizzati a realizzare strutture adatte ai cambiamenti climatici. Complessivamente costerà 60 milioni di dollari in fondi federali: non sono tanti per un’infrastruttura che ha lo scopo di proteggere una lunga fascia costiera urbana. I lavori inizieranno quest’estate dopo sette anni di revisioni del progetto, verifiche ambientali, simulazioni digitali ma anche reali, organizzate in un laboratorio canadese dove all’interno di una vasca grande come una piscina olimpica si possono simulare con grande precisione gli effetti di una tempesta su una fascia costiera ricostruita in scala uno a venti.
Prima saranno posate grosse rocce ottenute dalle miniere nel nord dello stato di New York; poi, dopo un anno o due, quando le rocce si saranno ben assestate sul fondale della Raritan Bay, il Billion Oyster Project disporrà i cesti di ostriche sul lato del frangiflutti rivolto a terra, insieme ai blocchi di calcestruzzo di ECOncrete.
I lavori dovrebbero terminare nel 2024: a quel punto Living Breakwaters sarà la più vasta infrastruttura urbana americana basata sull’interazione con l’ambiente naturale.
Kate Orff, fondatrice di SCAPE, direttrice dello Urban Design Program della Columbia University e ideatrice di Living Breakwaters, è una degli architetti che stanno portando avanti un approccio alla costruzione di edifici e infrastrutture che tenga conto dell’ambiente naturale: concepisce progetti da costruire con la natura, non solo al suo interno.
Secondo Orff, le infrastrutture tradizionali, come le dighe e i classici frangiflutti, hanno dei limiti e possono distruggere gli ecosistemi acquatici. Se però sono ripensate tenendo conto degli ambienti naturali con cui interagiscono – oltre alle barriere di ostriche e alle barriere coralline, anche le dune, le zone paludose e le mangrovie – possono essere più efficaci a ridurre i danni delle grandi inondazioni e dell’erosione costiera.
«Alcune persone hanno una visione romantica della natura per cui dovremmo semplicemente lasciarla fare», ha detto Orff al New Yorker: «Ma questo punto di vista non tiene conto dei danni che abbiamo già fatto». Prendendoli in considerazione invece si possono progettare degli ambienti in cui gli elementi naturali siano sostenuti e favoriti da quelli artificiali, e in cui questa “collaborazione” vada a vantaggio delle persone. «Siamo in un periodo di crisi, progettare degli ambienti belli da vedere non è abbastanza. Bisogna anche ripararli».