Come si diventa sport olimpico
Serve una federazione internazionale, che si impegni a spendere soldi e stringere tante mani: e aiuta piacere ai giovani
Ci sono sport che sono olimpici da sempre, come la maratona. Altri, alcuni dei quali col senno di poi piuttosto bizzarri, che lo sono stati e non lo sono più: primo fra tutti, forse, il balletto sugli sci. Altri ancora che non lo sono (o non lo sono stati di recente) e puntano a diventarlo: così come quest’anno è successo di recente, tra gli altri, a skateboard, surf, karate e arrampicata sportiva; e così come a Parigi 2024 sarà per la breaking, la pratica sportiva della breakdance.
Diventare sport olimpico, con tutti i benefici d’immagine e quindi economici che la cosa comporta, è comprensibilmente un obiettivo per moltissimi sport, anche se non per tutti. Il parkour per esempio non è interessato. Ma in ogni caso diventare sport olimpici richiede non poca pazienza, tanta burocrazia e il rispetto di una serie di parametri, alcuni dei quali piuttosto fumosi. E anche, come mostrano gli esempi di Tokyo, l’interesse del paese ospitante a aggiungere proprio quello sport e, cosa sempre più importante, il fatto che quello sport sia (o quantomeno sia considerato da chi di dovere) giovane e amato dai giovani.
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Fino agli anni Novanta, c’era una certa libertà da parte del paese ospitante nel proporre l’aggiunta di determinati sport, magari perché particolarmente legati a quel paese. Solo che quegli sport erano aggiunti come “sport dimostrativi”: non erano equiparati agli altri e quindi non assegnavano vere medaglie olimpiche. Nel 1992 a Barcellona tra gli sport dimostrativi ci fu per esempio la pelota basca.
Dopo l’abolizione degli sport dimostrativi per un paio di decenni, dal 1992 al 2014, l’eventuale aggiunta di nuovi sport fu gestita dal CIO (il Comitato Olimpico Internazionale) in base al principio – a dire il vero non sempre e non del tutto rispettato – che gli sport avessero raggiunto un numero più che sufficiente, e che per aggiungerne uno nuovo se ne dovesse togliere uno che già c’era. Comprensibilmente, però, si rivelò parecchio difficile fare in modo che qualche sport lasciasse il suo prezioso posto olimpico.
Nel 2014 ci fu quindi un altro cambio di approccio rispetto al problema di quali nuovi sport far diventare olimpici, incluso nel grande piano di riforme Olympic Agenda 2020, che in un documento di un centinaio di pagine proponeva una serie di modifiche volte a rinnovare le Olimpiadi così da renderle più moderne, più giovani, più inclusive, più sostenibili e anche meno costose.
Visto che nel 2014 si era già deciso quasi tutto quello che c’era da decidere per le Olimpiadi di Rio del 2016, le Olimpiadi di Tokyo sono state le prime su cui hanno avuto effetto le regole per l’aggiunta di nuovi sport.
Ora, in sintesi, le cose funzionano così: la premessa per ambire a diventare sport olimpico è avere una federazione internazionale (come sono la FINA per il nuoto o la FIA per la scherma). Dopodiché serve che questa federazione rispetti le regole del CIO e nello specifico della Carta olimpica, tra le altre cose per quanto riguarda la lotta al doping. E fin qui, le maglie sono sufficientemente larghe: cosa di cui ci si può fare un’idea scorrendo la lista delle federazioni riconosciute dal CIO, che comprende tra le altre la federazione del biliardo, del bowling, del bandy, delle bocce, degli scacchi, del korfball, del muay thai, dell’orienteering, del sambo, del tiro alla fune e del wushu.
Serve poi dimostrare di essere uno sport che, tra le altre cose, è sufficientemente globale o quantomeno diffuso a un certo livello in più di un paese o in più di una singola area geografica (questione che diventa un po’ diversa nel caso degli sport invernali).
Se sono rispettati questi parametri e se paese e città che organizzano determinate Olimpiadi ritengono di avere interesse e possibilità logistiche per ospitare un torneo di un certo sport, possono proporne l’aggiunta al CIO, limitatamente per le loro Olimpiadi. È il motivo per cui, per esempio, il giapponesissimo karate è stato sport a Tokyo ma non lo sarà a Parigi. Le proposte di città e paesi ospitanti sono comunque valutate da un’apposita commissione del CIO, che ha sempre l’ultima parola in merito.
Tokyo e il Giappone, per esempio, avrebbero voluto aggiungere ai loro nuovi sport anche gli sport rotellistici, lo squash e il wushu, un’arte marziale nata in Cina. Parigi e la Francia hanno invece (ri)proposto skateboard, arrampicata sportiva e surf, con l’aggiunta della breaking, scegliendo però di non riconfermare baseball, softball e karate.
Come è facile immaginare, oltre a tutte le regole previste sulla carta serve poi sapersi destreggiare tra la burocrazia necessaria e, cosa altrettanto importante, saper gestire relazioni e rapporti con chi di dovere. Come ha scritto Vox, «bisogna stringere molte mani e saper fare politica», con il CIO ma anche con le altre federazioni. Serve anche la disponibilità ad accettare qualche eventuale modifica alle regole del proprio sport, così da andare incontro alle esigenze olimpiche. A Tokyo, per esempio, l’arrampicata sportiva ha dovuto accettare di unire tre sue diverse discipline, una delle quali profondamente diversa dalle altre due e in genere praticata da atleti e atlete diversi.
Prima delle Olimpiadi di Londra Andrew Shelly, amministratore delegato della World Squash Federation, spiegò a Quartz che una campagna per far diventare olimpico uno sport poteva arrivare a costare diverse centinaia di migliaia di euro: per realizzare video di presentazione, per produrre materiale promozionale di vario genere e per organizzare i viaggi dei rappresentanti della federazione.
Ancora è presto per sapere quali nuovi sport olimpici potrebbero arrivare nel 2028 a Los Angeles e nel 2032 a Brisbane, in Australia. Come ha scritto Vox, importanti indizi potrebbero però arrivare dai Giochi olimpici giovanili, la cui prossima edizione sarà a Dakar, in Senegal. Questo perché è sempre più evidente che il tedesco Thomas Bach, presidente dal CIO dal 2013, è molto interessato a quello che piace ai giovani. La breaking, per esempio, arriverà a Parigi dopo essere stata provata con successo ai Giochi olimpici giovanili di Buenos Aires.
Tutto questo bilanciando però la necessità delle Olimpiadi di restare in qualche modo fedeli al passato o a sport che, seppur oggettivamente non seguitissimi o telegenici, fanno decisamente parte della sua storia, come è per esempio nel caso del sollevamento pesi, il cui futuro olimpico sembra essere almeno in parte in dubbio.
E tenendo inoltre presente che già ora alle Olimpiadi ci sono più di 330 eventi (cioè più di 330 gare o competizioni al termine di cui qualcuno o qualche squadra vince medaglie) e che forse non è il caso di aggiungerne troppi altri. Un approccio sembra essere quello di aumentare la varietà degli sport, diminuendo però la varietà di eventi all’interno di alcuni: per esempio mantenendo il sollevamento pesi ma riducendo le classi di peso in cui è diviso.
Inoltre, il CIO ha anche l’obiettivo di raggiungere la parità tra atleti e atlete che partecipano alle Olimpiadi. A Sydney, nel 2000, le femmine erano il 38,2 per cento; a Tokyo sono il 48,8 e a Parigi è previsto che siano il 50 per cento esatto. È il motivo, tra le altre cose, per cui già a Tokyo si sono visti alcuni eventi misti (con maschi e femmine che gareggiano insieme, a squadre) e in conseguenza del quale Parigi non ci sarà la 50 chilometri di marcia, un evento solo maschile.