Perché ogni estate in Sicilia ci sono migliaia di incendi
Le cause sono quasi sempre dolose, ma la scarsa prevenzione e i cambiamenti climatici fanno sì che il problema continui a ripetersi
Come era già successo negli ultimi anni, dall’inizio dell’estate 2021 in Sicilia sono divampati migliaia di incendi. La scorsa settimana le fiamme sono arrivate a lambire alcuni quartieri densamente popolati di Catania, come San Giorgio e Fossa della Creta, entrambi a pochi chilometri dal centro della città, e fino al lido la Plaia, dove lo stabilimento balneare “Le Capannine” è stato completamente distrutto.
Pochi giorni prima era divampato un grosso incendio sul versante nord della montagna di Erice, in provincia di Trapani, nella Sicilia nord-occidentale. Le fiamme hanno distrutto l’area del bosco di San Matteo, vicino al paese, e si sono spostate verso la costa alimentate dal vento di libeccio. Questi sono i due casi di cui si è parlato di più, ma nelle ultime settimane ci sono stati moltissimi altri incendi che hanno distrutto migliaia di ettari di boschi e prati.
È improprio parlare di emergenza, perché questa situazione si ripete ogni anno. La successione degli eventi è sempre la stessa: gli incendi iniziano a divampare dalla fine di maggio, a luglio cresce l’attenzione dei media, poi la politica regionale chiede nuovi fondi per prevenire gli incendi. In questo circolo ripetitivo, le associazioni ambientaliste sono costrette a ribadire i loro appelli, quasi sempre inascoltati.
#Oggi i #vigilidelfuoco hanno effettuato 530 interventi per #incendiboschivi: 160 in Sicilia, 100 in Puglia e 65 in Calabria. Tra le province di Catanzaro e Cosenza sono in azione 10 #Canadair, dei 13 attualmente in volo, e due elicotteri [#3agosto 19:00] pic.twitter.com/QT165YwUuL
— Vigili del Fuoco (@vigilidelfuoco) August 3, 2021
La prevenzione degli incendi dovrebbe essere favorita dal contesto ambientale e legislativo: la Sicilia ha una legge regionale che tutela non solo i boschi, ma tutto il patrimonio vegetale; ha un corpo forestale regionale grazie allo statuto speciale; è tra le regioni con una bassa copertura forestale, eppure è tra le prime per numero ed estensione della superficie bruciata; ha a disposizione una pianificazione forestale che prevede un serie di misure di prevenzione contro gli incendi, quasi sempre inattuate.
Nonostante queste premesse, non ci sono molti dati utili a capire il fenomeno. Secondo l’ultimo rapporto sullo stato delle foreste in Italia, nel 2017 in Sicilia ci sono stati 18.567 interventi dei vigili del fuoco su incendi boschivi e di vegetazione. È la regione con il numero più alto di interventi in Italia, il 17 per cento del totale.
Uno dei dati più interessanti è stato pubblicato nel “Piano regionale per la programmazione delle attività di previsione, prevenzione e lotta agli incendi boschivi” approvato dalla Sicilia nel 2015 e aggiornato ogni anno. In questo studio si parla in modo esteso delle cause degli incendi: nel decennio tra il 1999 e il 2008 il 74,6 per cento degli ettari bruciati è stato incendiato per causa dolosa, una percentuale cresciuta fino all’82 per cento nel quadriennio tra il 2010 e il 2013.
Il piano regionale aiuta a capire meglio le motivazioni delle cause dolose. Le prime due cause citate sono l’eliminazione di erbe infestanti dai pascoli attraverso il fuoco, una pratica molto diffusa in Sicilia, e l’incendio come mezzo per eliminare alberi e arbusti su terreni da recuperare e poi coltivare.
Un’altra causa considerata rilevante è la cosiddetta “industria del fuoco”, cioè l’incendio causato «per creare posti di lavoro nelle attività di avvistamento, di estinzione, nelle attività successive di ricostituzione». L’industria del fuoco è il risultato di un’impostazione del contrasto agli incendi basata sull’emergenza, con assunzioni a tempo determinato e turni minimi.
Nel piano si legge che il ricorso a manodopera precaria e poco qualificata, con funzione spesso più assistenziale che produttiva, ha creato un circolo vizioso: «L’incendio volontario da parte di operai stagionali può costituire lo strumento per mantenere o motivare occasioni di impiego». Nonostante il piano sia stato firmato dal dirigente generale del comando del Corpo forestale della regionale, Giovanni Salerno, lo stesso Salerno ha specificato che il documento «cita studi e indagini statistiche che fotografano un fenomeno già presente negli anni Novanta e che non può essere imputabile in maniera generalizzata al personale stabile o stagionale in forza al Corpo forestale».
Anche l’estorsione è una causa dolosa: l’incendio viene appiccato per obbligare a pagare forme non richieste di protezione oppure per lucrare su premi di assicurazione. L’impatto della piromania, invece, è considerato piuttosto trascurabile.
In tutto ciò, come in molte altre regioni del Mediterraneo, anche in Sicilia è aumentata la frequenza di condizioni meteorologiche che favoriscono gli incendi. La stagione degli incendi è sempre più lunga: l’aumento delle temperature medie annuali, l’alterazione delle precipitazioni e l’aumento degli eventi meteorologici estremi come ondate di calore e siccità aumentano lo stress idrico della vegetazione rendendola molto infiammabile. Tutte queste condizioni, che fanno sì che gli incendi siano più difficili da spegnere e si diffondano su superfici più ampie, sono legate al cambiamento climatico dovuto alle attività umane.
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Da anni Legambiente Sicilia chiede alla politica regionale di introdurre misure di prevenzione per interrompere questo circolo che si ripete ogni anno.
Lo scorso novembre, l’associazione ambientalista ha pubblicato un rapporto molto dettagliato con una serie di considerazioni e proposte per contrastare il fenomeno degli incendi estivi. «Lo abbiamo pubblicato a novembre perché è un periodo in cui non si parla mai di incendi», dice Gianfranco Zanna, presidente di Legambiente Sicilia. «Pensavamo che fosse un modo per essere ascoltati, invece non è cambiato nulla: anche quest’anno si è ripetuto quello che avevamo denunciato».
Tra le misure proposte c’erano l’estensione dei divieto di pascolo per dieci anni su tutte le aree percorse dal fuoco, mentre attualmente il divieto riguarda solo i boschi; la decadenza per dieci anni di ogni beneficio finanziario per le aziende agricole la cui superficie è stata bruciata per un’estensione maggiore del 5 per cento; l’introduzione di un vincolo per impedire di costruire su tutte le aree naturali percorse dal fuoco fino a 15 anni dopo l’incendio. «Occorre mettere un freno assoluto, costi quel che costi, al circolo vizioso incendio-nuovi lavori-incendio», si legge nel rapporto. «Eventuali interventi post incendio dovrebbero essere preceduti da rigorose verifiche sulla capacità di ricostituzione spontanea della vegetazione naturale».
Secondo Zanna, le norme esistenti non vengono applicate o comunque si dimostrano inefficaci a reprimere un fenomeno per lo più criminoso. «Alimentati dai cambiamenti climatici e attizzati dai delinquenti, questi incendi si possono prevenire solo con provvedimenti forti, come quelli che abbiamo proposto», dice.
Da sempre la prevenzione è scarsa o in molte zone addirittura assente: i boschi, i prati e i bordi delle strade non vengono puliti dalle sterpaglie secche, molto infiammabili.
Attualmente in Sicilia ci sono 18.700 forestali: 1.328 hanno un contratto a tempo indeterminato, 5.295 sono in servizio per 151 giornate all’anno, 8.774 per 101 giornate e i restanti 3.252 per 78 giorni. L’età media dei lavoratori è piuttosto alta, 57 anni, con rischi legati alla sicurezza, ai tempi e alla qualità degli interventi.
Quest’anno la regione ha stanziato 134 milioni di euro fondi europei per le attività di prevenzione, ma 64 sono stati sbloccati solo a metà giugno e gli altri 70 non sono ancora disponibili. «Le opere di prevenzione non possono essere fatte a luglio, perché così sono tardive e inutili», dice Tonino Russo, segretario regionale della FLAI Cgil. «Ci siamo fatti trovare ancora impreparati. Dietro un incendio c’è sempre un criminale: non possiamo lasciarli agire senza intervenire in nessun modo».
Il presidente della regione Sicilia, Nello Musumeci, che nei giorni scorsi ha chiesto e ottenuto lo stato di mobilitazione nazionale del sistema di Protezione civile per chiedere l’aiuto di volontari arrivati dalle altre regioni, ha detto che «per vent’anni l’antincendio in Sicilia è stato un argomento da sindacato».
Il capo della Protezione Civile, Fabrizio Curcio, ha ricordato al presidente della regione che «le responsabilità nell’ambito di ciò che si fa contro gli incendi boschivi sono chiare: le norme prevedono che la lotta attiva sia di competenza delle Regioni, e la lotta attiva non è solo spegnimento, ma anche sorveglianza, avvistamento».