Perché l’India va così male alle Olimpiadi
Le federazioni sportive nazionali soffrono di corruzione e nepotismo e per anni i finanziamenti del governo sono stati scarsi: ora le cose potrebbero cambiare
La delegazione indiana alle Olimpiadi di Tokyo, formata da 127 tra atlete e atleti, è la più numerosa e la più giovane di sempre nella storia dell’India. A oggi ha vinto cinque medaglie olimpiche, il suo secondo migliore bilancio a un’edizione dei Giochi, che comunque rimane molto scarso in termini assoluti, soprattutto se si considera che l’India è il secondo paese più popoloso del mondo dopo la Cina. Non è una novità, la delusione per gli insuccessi degli atleti e delle atlete indiane alle Olimpiadi: l’India non ottiene una medaglia d’oro olimpica dai Giochi di Pechino del 2008, e i risultati stanno faticando ad arrivare nonostante i consistenti investimenti nello sport decisi dal governo indiano negli ultimi anni.
Finora a Tokyo l’India ha ottenuto due argenti, nel sollevamento pesi con la 26enne Saikhom Mirabai Chanu e nella lotta con Ravi Kumar Dahiya, e tre bronzi, con la nazionale maschile di hockey su prato e poi con altre due atlete, nel badminton e nella boxe. Le delusioni però sono state molte, e soprattutto l’India non ha ancora vinto una medaglia d’oro, nemmeno nelle discipline in cui i suoi atleti erano dati per favoriti.
La pugile Lovlina Borgohain, che ha passato otto anni ad allenarsi lontano da casa, aveva detto di essere «sicura al 100 per cento» di vincere l’oro nella sua specialità, ma in semifinale è stata travolta dalla turca Busenaz Surmeneli, fermandosi così al bronzo. La tiratrice 19enne Manu Bhaker, che era data tra le favorite per una medaglia, ha ammesso di essere stata distratta durante la gara. L’arciera Deepika Kumari, al primo posto nel ranking mondiale, non è andata oltre i quarti di finale.
Nella sua storia olimpica, l’India ha vinto in totale 9 medaglie d’oro, 8 delle quali nell’hockey su prato, mentre la nona l’ha ottenuta Abhinay Bindra nella carabina a Pechino 2008. Dopo la deludente performance alle Olimpiadi di Rio nel 2016, in cui l’India aveva ottenuto solo un argento e un bronzo, il primo ministro Narendra Modi aveva deciso di investire maggiormente con l’obiettivo di formare atleti di primo livello in più sport, anche per migliorare l’immagine del paese.
Negli ultimi anni, oltre ad aver incentivato una lega professionistica di kabaddi, un antico sport di contatto molto popolare in diversi paesi del sud-est asiatico, il governo ha destinato consistenti fondi allo sviluppo di diverse altre discipline. Per dare l’idea, alle qualificazioni nazionali del tiro a segno prima delle Olimpiadi di Pechino 2008 c’erano 200 partecipanti; a quelle per i Giochi di Tokyo, invece, i partecipanti erano 20mila, e in più c’erano altri 20mila candidati che non sono neanche arrivati a disputare le gare di qualificazione, ha detto Bindra, finora il primo e unico campione olimpico indiano individuale di sempre.
Lo stesso Bindra ha raccontato di essere riuscito a ottenere grandi risultati non per via del sostegno del governo, ma grazie alla ricchezza della sua famiglia, che aveva costruito un poligono di tiro ben attrezzato nella sua città, Chandigarh.
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Uno dei problemi principali dello sport in India infatti è che a livello nazionale il sistema sportivo è sempre stato poco finanziato e tra le altre cose ha risentito di diversi scandali di corruzione. Nel dicembre del 2012, per esempio, il Comitato olimpico internazionale sospese il Comitato olimpico indiano per non aver rispettato i criteri fissati per l’elezione del suo presidente, riammettendolo poi all’inizio del 2014.
Come ha detto Rajendra Mal Lodha, ex giudice della Corte Suprema dell’India, sia l’organismo di controllo del cricket – lo sport più popolare nel paese –, sia diverse federazioni risentono di problemi di corruzione, nepotismo e poca trasparenza, oltre che della cattiva gestione delle finanze. Più in generale, secondo Lodha il problema è che le leggi che regolamentano gli sport in India non sono molto stringenti e quelle che esistono non vengono applicate in maniera efficace.
Secondo alcuni, la delusione per i mancati risultati alle Olimpiadi è legata anche alla crescente pressione che stanno subendo le atlete e gli atleti indiani, una cosa relativamente nuova. Nelle parole di Atanu Das, marito di Kumari, arrivato a sua volta 35esimo nel girone di qualificazione nel tiro con l’arco, «forse la delegazione indiana ha preso le Olimpiadi troppo sul serio».
Das ha spiegato al New York Times che fino a poco tempo fa gli arcieri indiani si allenavano al riparo dalle attenzioni mediatiche, ma che con le Olimpiadi è arrivata una fama improvvisa, che ha completamente travolto gli atleti. A proposito della pressione mentale continua su atlete e atleti indiani, Das ha aggiunto: «Quando vinciamo la coppa del mondo nessuno se ne accorge, quando siamo i numeri 1 al mondo nessuno lo nota. Ma degli indiani che vanno alle Olimpiadi tutti sanno tutto».
Sebbene l’India non sia riuscita a ottenere risultati particolarmente soddisfacenti ai Giochi, secondo Bindra le nuove politiche intraprese nel paese potrebbero essere «l’inizio di una nuova era dello sport indiano». Bindra sostiene che oggi l’ambiente dello sport in India sia molto diverso da quello di Pechino 2008, e ha fatto notare che otto membri della nazionale di tiro a segno indiana a Tokyo 2020 sono o sono stati ai primi posti del ranking mondiale nelle loro specialità.
Anche Viren Rasquinha, ex capitano della nazionale di hockey su prato e responsabile di un’associazione non profit che si occupa di formare la prossima generazione di atleti, ha detto che i primi risultati si stanno già vedendo.
La maggior parte delle atlete e degli atleti indiani più forti impegnati alle Olimpiadi di Tokyo, in particolare, proviene dagli stati di Manipur e di Assam, che si trovano nel nord-est del paese, vicino alla catena dell’Himalaya. Tra questi ci sono per esempio Chanu, l’atleta che finora ha vinto uno dei due argenti indiani di Tokyo, e Mary Kom, che è stata per sei volte campionessa del mondo e che con il suo bronzo ai Giochi di Londra 2012 è diventata la prima donna indiana a ottenere una medaglia olimpica nella boxe. Kom ha raccontato che le atlete e gli atleti di questi territori, abitati per lo più da minoranze etniche che spesso vengono discriminate anche nello sport, hanno uno spirito piuttosto combattivo, soprattutto le donne.