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  • Martedì 3 agosto 2021

Chi vuole rovesciare l’ultima monarchia assoluta dell’Africa

In eSwatini da settimane i manifestanti chiedono democrazia e riforme, nonostante la repressione violenta

Re Mswati III a Mbabane, 3 settembre 2012 (AP Photo/Themba Hadebe, File)
Re Mswati III a Mbabane, 3 settembre 2012 (AP Photo/Themba Hadebe, File)
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Da settimane ci sono manifestazioni a favore della democrazia in eSwatini, l’ultima monarchia assoluta dell’Africa, conosciuta fino a pochi anni fa come Swaziland. Le proteste, cominciate dopo l’uccisione di uno studente a maggio, si sono trasformate in un movimento piuttosto ampio che chiede democrazia, la fine dell’assolutismo e riforme economiche contro la povertà.

Alle proteste, finora lo stato ha risposto con la repressione violenta: re Mswati III ha inviato l’esercito contro i manifestanti, e secondo alcuni attivisti e le organizzazioni che si occupano di diritti umani nel paese sarebbero state uccise finora più di 50 persone. Ha inoltre fatto arrestare alcuni parlamentari considerati favorevoli alla democrazia.

Soltanto di recente – e dopo un intervento delle Nazioni Unite – il governo ha provato a fare alcune concessioni limitate ai manifestanti, che però avrebbero più che altro lo scopo di placare le manifestazioni e non di avviare un serio processo di riforma.

eSwatini
L’eSwatini è grande più o meno come l’Abruzzo, ha circa 1 milione e 300 mila abitanti ed è uno stato molto povero, dove proteste e manifestazioni contro il governo sono rarissime: i partiti politici e i gruppi che chiedono la democrazia sono vietati dal 1973 e Mswati regna in maniera autoritaria dal 1986 mantenendo il totale controllo del parlamento. I dissidenti sono stati sistematicamente messi a tacere da una serie di leggi repressive e il principale partito di opposizione, il Movimento Democratico Unito del Popolo (Pudemo), è stato bandito come organizzazione terroristica.

Il paese si trova nell’Africa meridionale ed è circondato dal Sudafrica a nord, sud e ovest e confina con il Mozambico a est.

Uno dei problemi principali del paese è la gravissima situazione economica (l’eSwatini è uno dei paesi più poveri dell’Africa), aggravata agli occhi dei cittadini dalle spese esorbitanti sostenute dallo stato per il mantenimento del re, delle sue 15 mogli, dei suoi numerosi figli, delle cortigiane e dei figli delle cortigiane, dei palazzi e delle auto di lusso della famiglia reale. O ancora: per costruire hotel di lusso, centri per congressi da milioni di dollari o per comprare aerei a uso del monarca.

In eSwatini quasi il 60 per cento dei sudditi del re vive sotto la soglia di povertà assoluta e più del 40 per cento è disoccupato; ci sono percentuali molto alte di persone con HIV e il paese è inoltre afflitto da importanti problemi strutturali come corruzione pervasiva, tribunali inefficienti, assenza di infrastrutture.

Le proteste
Le proteste degli ultimi mesi, e a cui partecipano principalmente giovani e studenti, sono iniziate lo scorso maggio dopo l’uccisione di Thabani Nkomonye, uno studente di Legge trovato morto nella periferia di Manzini, che è la seconda città più importante del paese dopo la capitale Mbabane. Secondo la polizia Thabani Nkomonye è morto in un incidente d’auto, ma il movimento degli studenti è convinto che ci sia stato un diretto coinvolgimento della polizia.

Le prime manifestazioni sono iniziate con lo slogan #JusticeforThabani, ma via via le proteste si sono ampliate per chiedere la fine della repressione politica e riforme democratiche. «Stiamo combattendo per la democrazia, per la libertà, per il lavoro e per il cibo», ha detto uno dei leader degli studenti contattato dal Guardian.

Il re, dopo aver definito le rivolte «sataniche», ha mobilitato l’esercito, ha imposto un coprifuoco nazionale a partire dalle 18, ufficialmente per cause legate alla pandemia da coronavirus, e ha ridotto l’accesso a Internet. Il governo ha detto che nelle proteste sono morte almeno 27 persone, ma i leader dell’opposizione dicono che ne sono morte almeno il doppio e che più di 150 sono state ferite.

Come andrà?
A inizio luglio le Nazioni Unite avevano espresso preoccupazione per la reazione delle autorità dello eSwatini alle proteste e avevano chiesto l’avvio di un’indagine indipendente sull’uso sproporzionato e non necessario della forza, sugli abusi e sulle intimidazioni da parte delle cosiddette forze di sicurezza.

A quel punto, il governo e la monarchia di eSwatini hanno promesso l’apertura di un “dialogo nazionale” che secondo alcuni osservatori è però solo un tentativo di calmare e placare i manifestanti, cosa che di fatto si è verificata: «Non credo che ci sia alcuna intenzione di realizzare una riforma seria… Potremmo benissimo assistere a una seconda ondata di proteste», ha detto al Guardian Menzi Ndhlovu, analista di Signal Risks, una società con sede in Sudafrica specializzata nella gestione del rischio nel continente africano.

Ndhlovu ha spiegato che a eSwatini ci sono state varie ondate di proteste, nel tempo, e che le autorità hanno reagito sempre nello stesso modo: «Prima reprimono e contengono, poi offrono alcune concessioni. L’obiettivo è fondamentalmente preservare lo status quo».

Chris Vandome, del Royal Institute of International Affairs, un centro studi britannico specializzato in analisi geopolitiche, ha detto che le recenti proteste sono comunque diverse da quelle precedenti, in cui avevano avuto un ruolo significativo alcune organizzazioni formali: «Questa volta è tutto meno strutturato. Questo rende molto più difficile il controllo, ma anche più difficile per i manifestanti avere una posizione coesa su ciò che vogliono».