C’è un nuovo accordo sulla riforma della Giustizia
Dopo una lunga e complicata trattativa che ha messo in difficoltà il governo: ci sono due novità sui tempi dei processi
Durante il Consiglio dei ministri di giovedì 29 luglio il governo ha approvato due modifiche alla riforma della Giustizia, uno dei pacchetti di leggi più importanti tra quelli che l’Italia deve fare per ottenere i finanziamenti europei del Recovery Fund. Il governo vorrebbe approvare la riforma entro agosto ma nelle ultime settimane è stato bloccato dall’opposizione interna del Movimento Cinque Stelle e di altri partiti di maggioranza, che chiedevano modifiche profonde. Il M5S, in particolare, aveva minacciato che non avrebbe votato la fiducia alla riforma se non fossero state fatte modifiche.
Il testo della riforma era stato approvato all’unanimità dal Consiglio dei ministri all’inizio di luglio: lo avevano votato anche i ministri del M5S. Ma in seguito il partito, che nel frattempo aveva superato un momento di crisi interna e assenza di leadership, aveva rimesso in discussione il testo: il nuovo leader, Giuseppe Conte, aveva incontrato Mario Draghi avanzando delle richieste e aveva ottenuto la possibilità di fare dei cambiamenti alla riforma, senza stravolgerla. Il giorno dopo, il M5S aveva presentato però più di 900 emendamenti.
Il 23 luglio, il governo aveva allora deciso di chiedere la fiducia sulla riforma. Draghi aveva ricordato l’accordo di inizio mese, aveva precisato che sarebbe stato possibile fare dei «miglioramenti di carattere tecnico», ma soltanto in Consiglio dei ministri, e non in parlamento. La trattativa di ieri è durata diverse ore, è stata molto complicata e tesa (i giornali di oggi la descrivono nel dettaglio, con i consueti retroscena), ma alla fine è stato trovato un compromesso. La ministra della Giustizia Marta Cartabia ha detto che la maggioranza ritirerà ora tutti i suoi emendamenti.
Il punto più controverso della riforma riguardava i tempi della giustizia penale: la legge che aveva voluto l’ex ministro Alfonso Bonafede (M5S) nel 2018, e conosciuta come “Spazzacorrotti”, aveva eliminato la prescrizione dopo le sentenze di primo grado, sia di condanna che di assoluzione. Con la nuova riforma, la prescrizione rimane così – cioè cessa di decorrere dopo la sentenza di primo grado – ma vengono introdotti tempi fissi oltre i quali scatta l’improcedibilità e il processo dovrà dunque fermarsi: sono previsti due anni per il processo d’Appello e un anno per quello in Cassazione. La riforma introduce in pratica al posto della prescrizione del reato quella del processo, attraverso l’improcedibilità. La riforma prevedeva già a inizio luglio alcune eccezioni per i reati gravi, che sono state ampliate ulteriormente dopo l’intesa di giovedì sera.
L’accordo trovato ieri in Consiglio dei ministri prevede due novità sostanziali, che dovrebbero garantire alla riforma un più convinto appoggio da parte del Movimento 5 Stelle e di altri partiti. Entrambe riguardano i limiti che la riforma introdurrà per la procedibilità dei processi d’Appello e in Cassazione, di fatto allungando la durata potenziale di molti processi.
Anzitutto, l’accordo prevede che per i primi tre anni di applicazione della riforma, la durata del processo d’Appello si estenda per un ulteriore anno e quella del processo in Cassazione di ulteriori sei mesi. In secondo luogo, l’accordo prevede che per alcuni tipi di reati (per esempio quelli di associazione mafiosa, scambio politico mafioso, associazione finalizzata allo spaccio, violenza sessuale e reati con finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico) sarà possibile estendere ulteriormente la durata del processo, ma solo su richiesta dei giudici.
Come precisa Repubblica, per i reati che vengono commessi perché c’è un interesse della mafia (si tratta della cosiddetta “aggravante mafiosa”, descritta dall’articolo 416bis-1 del codice penale), «il processo potrà durare fino a sei anni in Appello e tre in Cassazione fino al 2024, poi a regime cinque anni in Appello e massimo due in Cassazione. Ammesse due proroghe in Appello e due per la Cassazione. Per i reati legati alle attività dei clan si potrà andare avanti per sei anni in appello e per tre in Cassazione».
La conferenza dei capigruppo ha stabilito che la riforma del processo penale arriverà in aula domenica 1° agosto alle ore 14. Venerdì alle 9,30 si riunirà la commissione Giustizia. Restano comunque da votare i 65 emendamenti presentati da Fratelli d’Italia e Alternativa c’è, che non sono al governo.