Dodici numeri sulle carceri in Italia
Che mostrano una situazione ancora grave, tra affollamento, infrastrutture carenti, mancanza di personale e discriminazioni
L’associazione Antigone, che si occupa di tutelare i diritti delle persone che si trovano in carcere, ha presentato il suo rapporto di metà anno sulle condizioni di detenzione in Italia. Nelle ultime settimane si è parlato molto di carceri, a causa delle violenze del 6 aprile 2020 nell’istituto di Santa Maria Capua Vetere commesse da agenti di polizia penitenziaria contro 300 persone detenute. Ma, ha precisato Antigone, «questa della violenza non è l’unica emergenza che riguarda il sistema penitenziario italiano».
Tasso di affollamento del 113 per cento
Al 30 giugno 2021 risulta che nelle carceri italiane ci siano oltre 53 mila detenuti, ma 47 mila posti disponibili: il tasso di affollamento supera il 113 per cento.
Su 189 istituti, 117 hanno un tasso di affollamento superiore al 100%: 54 istituti fra il 100% e il 120%, 52 si trovano nella fascia fra il 120% e il 150% e infine 11 istituti hanno un affollamento superiore al 150%. I cinque peggiori, da questo punto di vista, sono: Brescia (378 detenuti, 200%), Grosseto (27 detenuti, 180%), Brindisi (194 detenuti, 170,2%), Crotone (148 detenuti, 168,2%), Bergamo (529 detenuti, 168%).
Per affrontare la questione dell’affollamento, dice Antigone, basterebbe incentivare le misure alternative (la semilibertà, le diverse forme di detenzione domiciliare e di affidamento in prova al servizio sociale). Attualmente sono poco meno di 20 mila le persone detenute che hanno un residuo pena (cioè la parte di pena ancora da scontare) pari a meno di 3 anni. A eccezione dei condannati per reati ostativi, quella categoria di reati che non permette di accedere ai benefici, è comunque significativo il numero delle persone a cui potrebbero essere concesse le misure alternative. E se solo la metà di questo numero vi accedesse il problema dell’affollamento penitenziario sarebbe risolto.
Una persona detenuta su quattro è tossicodipendente
Un ulteriore intervento positivo, dice Antigone nel rapporto, potrebbe riguardare una modifica della legge sulle droghe. Al 30 giugno 2021 le persone detenute per violazione del Testo Unico sulle droghe erano 19.260: di queste, 658 sono donne e 18.602 sono uomini. Nel 2020 sono state 10.852 le persone detenute entrate negli istituti penitenziari per reati legati alla droga, il 30,8 per cento del totale.
Inoltre, 1 detenuto su 4 ha una diagnosi di tossicodipendenza «e queste persone andrebbero prese in carico dai servizi territoriali per affrontare la loro problematica e non chiusi in un carcere». Nel 2005, la percentuale delle persone tossicodipendenti che sono entrate negli istituti penitenziari era pari al 28,41 per cento. Nel 2020 era pari al 38,6 per cento. La crescita è stata di 10 punti percentuali circa.
Le donne sono il 4,2 per cento della popolazione detenuta totale
Su 53.637 persone detenute 2.228 sono donne (4,2 per cento). In Italia ci sono solo quattro istituti penitenziari esclusivamente femminili in cui attualmente sono recluse 528 donne, quasi un quarto dell’intera popolazione detenuta femminile. I tre quarti sono invece detenuti nelle 43 sezioni femminili collocate all’interno delle carceri maschili, che si trovano in tutte le regioni del paese e che presentano però diverse criticità.
Come ha scritto il ministero della Giustizia nel suo rapporto del 2015 sulla detenzione femminile, la maggior parte delle detenute vive una realtà che è stata progettata e costruita «da uomini per contenere uomini»: in molti casi le donne «sono lontane dalle loro famiglie», hanno necessità di salute particolari e «i loro bisogni specifici, in buona parte correlati ai bisogni dei loro figli, sono spesso disattesi». Anche l’ordinamento penitenziario le considera poco e disciplina la carcerazione delle donne solo in due commi all’articolo 11 che fanno riferimento, però, alla sola condizione della maternità.
Rispetto agli uomini, le detenute hanno anche minore possibilità di accesso alle attività lavorative: è una «discriminazione involontaria», dice sempre il ministero, causata dal numero limitato di carcerate e dall’impossibilità di condividere gli spazi con gli altri uomini per evitare situazioni di promiscuità: alle detenute, negli istituti di pena, è quindi spesso negato l’accesso alle strutture comuni per fare sport, per studiare o fare dei corsi e soprattutto per lavorare. Sono più carcerate degli altri.
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Al 30 giugno 2021, sono 29 i bambini e le bambine di età inferiore ai tre anni che vivono insieme alle loro madri detenute. Nell’ultimo anno il loro numero si è mantenuto sempre intorno alle 30 presenze, quota ben inferiore rispetto ai numeri registrati negli anni precedenti quando le presenze si attestavano tra le 50 e le 70.
Il numero di stranieri detenuti è in calo
Tra l’intera popolazione carceraria, le persone straniere sono 17.019 (32,4 per cento). Il loro numero è diminuito rispetto al dicembre 2018 (meno 2 per cento, circa): si tratta del secondo dato più basso nell’ultimo decennio, successivo solo al 32,22 per cento registrato al 30 giugno 2018.
La maggior parte delle persone detenute ha tra i 50 e i 59 anni
Sul totale delle persone detenute presenti il 42,6 per cento ha tra i 30 e i 49 anni, il 25,6 per cento ha tra i 50 e i 69 anni e il 17 per cento tra i 18 e i 29 anni.
La fascia di età più rappresentata è nel complesso quella tra i 50 e i 59 anni, mentre sono poche le persone tra i 18 e i 20 anni (solo lo 0,9 per cento). L’1,7 per cento ha più di 70 anni.
Le persone straniere detenute aspettano la condanna definitiva in carcere in percentuale maggiore rispetto agli italiani
Una persona detenuta su sei è in attesa del primo grado di giudizio, mentre una su tre è in custodia cautelare, cioè è in carcere prima della sentenza. Al 30 giugno 2021, il 15,5 per cento delle persone detenute era reclusa in attesa di primo giudizio, il 14,5 per cento risultava condannata ma non ancora in via definitiva e il 69,4 per cento stava scontando invece una condanna definitiva.
Guardando i soli detenuti stranieri risulta che la percentuale dei condannati in via definitiva scenda di due punti percentuali, rappresentando il 67,2 per cento sul totale dei detenuti stranieri.
Un terzo della popolazione detenuta lavora
Solo un terzo della popolazione detenuta lavora, e la maggior parte (88 per cento circa) è alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria con mansioni che hanno a che fare con i servizi interni allo stesso istituto o che sono legati alla manutenzione ordinaria degli edifici.
Solo il 12 per cento lavora per cooperative o imprese esterne.
18 suicidi dall’inizio dell’anno
Nel 2021, e fino al 15 luglio, i suicidi sono stati 18: la persona più giovane aveva 24 anni e la più anziana 56. Nel 2020 i suicidi erano stati 62, con il numero di suicidi ogni 10 mila detenuti più alto degli ultimi anni.
Contagi e vaccini sono in linea con il mondo esterno
Secondo i dati pubblicati dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria al 26 luglio 2021 sono 29 i detenuti positivi al COVID-19, tutti asintomatici, e sono quasi 65 mila le somministrazioni di vaccini alla popolazione detenuta.
I dati ogni 10 mila detenuti sono in linea con i dati all’esterno del sistema penitenziario.
Il carattere corporale della pena
Nonostante sulla carta siano stati fissati dei princìpi e l’istituzione carceraria si sia evoluta, il carattere corporale della pena non è stato espulso dalle carceri: il sovraffollamento (parola che è il rafforzativo di un rafforzativo), le condizioni igieniche precarie e l’assistenza sanitaria insufficiente (celle con il wc a vista, senza doccia, acqua calda e riscaldamento) sono esperienze che colpiscono quotidianamente i corpi di detenuti e detenute.
Negli ultimi 12 mesi l’osservatorio di Antigone ha visitato 67 carceri. Nel 42 per cento degli istituti sono state trovate celle con schermature alle finestre che impediscono il passaggio di aria e luce naturale.
Nel 36 per cento delle carceri c’erano celle senza doccia (il regolamento penitenziario del 2000 prevedeva che, entro il 20 settembre 2005, tutti gli istituti installassero le docce in ogni camera di pernottamento). Nel 31 per cento degli istituti visitati c’erano addirittura celle prive di acqua calda.
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Antigone si sofferma soprattutto sulla Casa Circondariale di Santa Maria Capua Vetere che presenta una grave problematica strutturale legata al mancato allaccio idrico: l’acqua che viene erogata non è potabile, ed è particolarmente ferrosa e di colore torbido. L’amministrazione di questo istituto, nel giugno 2020, ha assegnato la gara d’appalto per provvedere all’allaccio idrico, ma i lavori non sono ancora iniziati. Finora l’acqua potabile viene fornita a ciascun detenuto nel numero di due bottiglie da due litri al giorno.
Un poliziotto ogni 1,6 detenuti e un educatore ogni 91,8 detenuti
Un intervento urgente da fare nelle carceri, dice Antigone, riguarda quello delle assunzioni di personale civile (educatori, mediatori, psicologi). La detenzione costa allo stato 3 miliardi di euro, di cui il 68 per cento è impiegato per la polizia penitenziaria.
Solo nel 65 per cento degli istituti visitati, meno di due terzi, c’è un direttore assegnato in via esclusiva. Negli altri, il direttore era responsabile di più di una struttura, con le difficoltà e le limitazioni che questo comporta.
È poi molto forte lo squilibrio tra il personale di custodia e il personale dell’area trattamentale che lavora invece sulla rieducazione e sul reinserimento sociale delle persone detenute, che sono uno degli obiettivi principali fissati dalla Costituzione e dal nuovo ordinamento penitenziario: il rapporto medio negli istituti visitati era di un poliziotto penitenziario ogni 1,6 persone detenute e di un educatore ogni 91,8 persone detenute.
A fronte del dato medio, dice Antigone, a Poggioreale (Napoli) è stato trovato un agente ogni 3 detenuti e a Regina Coeli (Roma) uno ogni 2,5, a Lanusei (Nuoro) o al femminile della Giudecca a Venezia ci sono invece più agenti in servizio che persone detenute.
Per quanto riguarda le altre figure: a Busto Arsizio c’è un educatore ogni 360 detenuti e a Foggia uno ogni 263. Solo nel 22 per cento degli istituti visitati era presente un servizio di mediazione linguistica e culturale.
A più di 20 anni dalla sua approvazione, parte del “nuovo” regolamento penitenziario non è ancora stata applicata
Durante la loro visita al carcere di Santa Maria Capua Vetere, il presidente del Consiglio Mario Draghi e la ministra della Giustizia Marta Cartabia avevano annunciato importanti riforme riguardanti il sistema penitenziario. Antigone ha elaborato una proposta per il regolamento di esecuzione dell’ordinamento penitenziario, che si può leggere qui.
L’attuale regolamento è in vigore dal 20 settembre 2000: «Proponeva un’idea
di detenzione fondata sul rispetto della dignità della persona e sul progressivo
riavvicinamento alla società esterna», si dice nel rapporto. Una parte di quelle norme ha contribuito a elevare gli standard di detenzione in Italia. «Un’altra parte però necessita una rivisitazione alla luce dei tanti cambiamenti normativi sociali, culturali, legislativi, tecnologici intervenuti negli ultimi due decenni; infine una terza parte (quella che prevedeva interventi di tipo strutturale) richiede ancora piena attuazione. Purtroppo non poche disposizioni regolamentari sono rimaste lettera morta lungo gli scorsi vent’anni, a cominciare dalle indicazioni edilizie per adeguarsi alle quali era previsto un arco di tempo non superiore ai cinque anni».