L’evacuazione degli interpreti degli Stati Uniti dall’Afghanistan
Riguarda migliaia di afghani che hanno collaborato con l'esercito americano, e che saranno in pericolo dopo il suo ritiro
Venerdì mattina è atterrato a Washington un aereo di linea con a bordo circa 200 persone afghane che negli anni scorsi avevano collaborato con l’esercito degli Stati Uniti in Afghanistan, fornendo supporto logistico e facendo da interpreti con la popolazione locale. È il primo aereo di questo tipo e ne dovrebbero seguire molti altri, perché l’amministrazione americana di Joe Biden ha deciso di evacuare centinaia e forse migliaia di collaboratori afghani dell’esercito dopo il ritiro dal paese, per evitare che subiscano ritorsioni.
L’evacuazione arriva in un momento in cui il gruppo estremista islamista dei talebani sta riprendendo il controllo di varie zone dell’Afghanistan, ora che il ritiro dell’esercito statunitense è quasi completo: in teoria i soldati dovrebbero lasciare l’Afghanistan entro l’11 settembre, ma la gran parte degli uomini e dei mezzi è già stata portata via.
L’amministrazione del presidente statunitense Joe Biden ha deciso l’evacuazione degli interpreti e degli altri collaboratori afghani e delle loro famiglie per permettere loro di trasferirsi negli Stati Uniti e sfuggire a eventuali ritorsioni dei talebani quando i soldati americani se ne saranno definitivamente andati dall’Afghanistan. In tutto, secondo la Casa Bianca, gli afghani che negli anni hanno collaborato con gli Stati Uniti e che hanno fatto richiesta di essere evacuati sono circa 20mila (una cifra a cui vanno aggiunti i loro familiari: si parla in tutto di circa 100mila persone).
È molto difficile, tuttavia, che tutte queste persone riusciranno a essere evacuate negli Stati Uniti, e c’è il rischio che alcune di loro rimarranno in Afghanistan, esposte al pericolo, in parte a causa di un processo di selezione ed evacuazione giustamente rigoroso, ma anche complicato e confuso.
Gli interpreti e collaboratori la cui richiesta è stata già accettata e che riceveranno un visto speciale per vivere negli Stati Uniti sono 2.500, di cui 700 sono collaboratori e interpreti e i restanti i loro familiari. Si aggiungeranno ai circa 74mila afghani che già si sono trasferiti negli Stati Uniti a partire dal 2008, sulla base di un programma speciale introdotto dall’amministrazione di Barack Obama.
Secondo un documento ottenuto da Associated Press, sul volo atterrato venerdì mattina c’erano 221 afghani, tra cui 57 bambini e 15 neonati. Il presidente Joe Biden ha commentato il loro arrivo dicendo che gli Stati Uniti «stanno mantenendo la promessa fatta alle migliaia di cittadini afghani che hanno lavorato spalla a spalla con le truppe e con i diplomatici americani negli ultimi 20 anni in Afghanistan». Biden ha anche ringraziato «questi coraggiosi afghani per essere stati al fianco degli Stati Uniti, oggi sono orgoglioso di dire loro: “Benvenuti a casa”».
Le operazioni di evacuazione stanno avvenendo con grande cautela da parte degli Stati Uniti, che stanno cercando di mantenere l’anonimato delle persone coinvolte. Charlotte Bellis, inviata di Al Jazeera nella capitale Kabul, ha detto che l’ambasciata americana è stata “molto riservata” sulle modalità in cui è avvenuta l’evacuazione di venerdì mattina: «Ci hanno detto che sono incredibilmente preoccupati per la sicurezza e per la privacy di questi interpreti. Temono che se trapelasse qualsiasi informazione su chi sono e come stanno lasciando il paese, queste persone verrebbero messe in pericolo».
Il pericolo arriva dai talebani, che negli ultimi mesi a causa del progressivo ritiro dell’esercito statunitense e della debolezza della polizia e dell’esercito afghano hanno condotto una grande avanzata che ha permesso loro di riconquistare diverse zone del paese (in alcuni casi senza sparare nemmeno un colpo, ma sfruttando la fuga dei demoralizzati soldati dell’esercito afghano). I talebani hanno dichiarato ufficialmente che le persone che hanno collaborato con gli Stati Uniti e con i loro alleati non hanno nulla da temere e che non ci saranno ritorsioni nei loro confronti, ma in molti credono che non sarà così.
Wartime Allies, un’associazione che si occupa di aiutare gli interpreti nelle zone di guerra, stima che circa la metà delle persone che hanno richiesto l’evacuazione viva fuori da Kabul, in zone dove molte strade sono controllate da posti di blocco dei talebani. Un ex soldato dell’esercito statunitense che ora lavora per l’associazione ha detto al Washington Post che per queste persone sarà quasi impossibile riuscire ad abbandonare l’Afghanistan ormai, e che l’amministrazione Biden avrebbe dovuto prepararsi all’evacuazione già a gennaio, quando i talebani non avevano ancora riconquistato gran parte del paese. «La realtà è che alcune di queste persone moriranno. Perché l’esercito degli Stati Uniti non le ha evacuate quando aveva la possibilità di farlo?», ha detto.
Diverse persone che hanno richiesto di essere evacuate hanno raccontato che l’operazione finora è stata organizzata in modo confuso, lasciando molte di loro in una situazione di limbo, in attesa di sapere se e quando potranno lasciare il paese. Un ex interprete, che ha detto di aver collaborato con gli Stati Uniti per otto anni a Kandahar, ha raccontato in forma anonima al Washington Post di essere stato avvisato di preparare il passaporto per partire, ma di non aver più ricevuto informazioni da quel momento. Una situazione simile è stata racconta da altre persone ad Al Jazeera: alcune hanno detto di aver presentato la richiesta tre anni fa, e di non sapere ancora se verranno fatte evacuare.
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