La regola che ha cambiato la spada
Fino a un paio di anni fa, agli incontri di una delle tre armi della scherma capitava che gli atleti si rifiutassero di combattere: ora sono obbligati
Fino a un paio di anni fa la spada, una delle tre armi della scherma, aveva un grande problema. Come ha spiegato il Wall Street Journal, certi suoi incontri si trasformavano in lunghe attese in cui i due schermidori stavano sulla pedana senza provare quasi mai a colpirsi. Era infatti una strategia che in molte occasioni risultava vantaggiosa per entrambi, ma le conseguenze sulla spettacolarità della disciplina erano evidenti.
La più famosa manifestazione di questo problema risale al 2001, quando alle finali della spada a squadre ai Mondiali di scherma l’ungherese Ivan Kovacs e l’estone Meelis Loit, sul punteggio di 4 a 3 per gli ungheresi, rimasero quasi impalati per quattro minuti uno davanti all’altro. Attaccare non conveniva a nessuno dei due. Quell’incontro era particolarmente importante perché la presenza della spada alle Olimpiadi di Atene del 2004 era in dubbio, e la Federazione Internazionale di scherma confidava sui Mondiali per confermarla. L’incontro tra Kovacs e Loit rese evidente che andavano cambiate delle cose. Ci vollero in realtà molti anni prima che una regola introdotta nel 2019, e in vigore in queste Olimpiadi di Tokyo, risolvesse il problema.
La spada è un’arma “non convenzionale”, a differenza di sciabola e fioretto: significa che non prevede quell’insieme di regole – convenzioni – che determinano quale tra le stoccate contemporanee di due schermidori abbia la precedenza, e sia quindi considerata valida per il punto. Nella spada, invece, si può assegnare un punto a testa a due schermidori, nell’ambito dello stesso assalto.
La spada è anche l’arma più pesante, tra le tre, e i suoi incontri sono in genere più difensivi rispetto a quelli di sciabola e fioretto, perché le stoccate sono più difficili. Fino al punto che, anziché attaccare l’avversario, molti schermidori preferiscono attendere, difendere e, solo dopo e a certe condizioni, provare a colpire. Il problema, prima della nuova regola, era se entrambi gli schermidori in pedana facevano la stessa scelta, come due squadre di calcio così interessate a difendere da rinunciare perfino a provare a far gol.
Nel caso della spada, capitava che in casi di parità o di quasi parità i due schermidori non si colpissero per diversi minuti, con comprensibile fastidio degli spettatori. Nel caso di quasi parità, la situazione in genere era questa: a chi era in vantaggio conveniva non rischiare, e quindi non attaccare; e a chi era in leggero svantaggio (spesso in una gara a squadre, come nel caso di Kovacs e Loit) conveniva perdere di poco e lasciare il compito della rimonta ai compagni, anziché provare ad attaccare e magari finire col subire un punto dopo l’altro dall’avversario.
Le cose ora però sono cambiate: gli incontri sono meno difensivi, più dinamici e vivaci. Il merito è di una nuova regola introdotta nel 2019 dalla Federazione internazionale di scherma (FIE) e poi implementata, talvolta con qualche modifica, dalle varie federazioni nazionali, compresa la Federazione italiana di scherma (FIS): la regola sulla “non combattività”, in inglese “unwillingness to fight”. In breve, la regola prevede che, come successo per esempio nella gara a squadre in cui l’Italia femminile ha vinto il bronzo, l’arbitro possa dare uno o più cartellini quando ritiene che uno schermidore o una schermitrice non si stiano impegnando in modo attivo per provare a far punto.
Nella scherma i cartellini – giallo, rosso e nero – comportano rispettivamente un avvertimento, una stoccata (cioè un punto) all’avversario e l’esclusione dalla gara. Dopo un primo avvertimento, le successive infrazioni ricevono il cartellino rosso, con evidenti conseguenze sul punteggio. La regola prevede che, in caso di un minuto senza stoccate, lo schermitore in svantaggio riceva un cartellino giallo (che diventa rosso, la volta successiva). Se sono in parità, lo ricevono tutti e due.
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«Per chi si intende di scherma» ha scritto il Wall Street Journal, la regola sulla non combattività «è uno dei più enormi cambiamenti della scherma moderna», una novità che «ha saputo ridare forza a uno sport che, nonostante le sue armi appuntite, era diventato dolorosamente noioso». Così come molti altri sport dalla lunga tradizione, anche la scherma fatica a rinnovarsi. E molte ipotesi di cambiamento sono quindi duramente criticate e spesso osteggiate da chi vorrebbe restare fedele alla lunga tradizione dello sport.
Nonostante la necessità di una svolta fosse evidente da anni (tra le altre cose per evitare che la spada finisse per essere tolta dal programma olimpico), la FIE ci ha però messo diversi anni ad arrivare alla regola del 2019 sulla non combattività. Prima aveva provato a risolvere il problema con modifiche meno drastiche: per esempio permettendo all’arbitro, in caso di passività di entrambi gli schermidori, di far terminare anzitempo ognuno dei tre segmenti (ciascuno di tre minuti) in cui è diviso un incontro, oppure dando a entrambi un cartellino giallo che, se sommato a un secondo cartellino, comportava l’assegnazione di un punto all’avversario.
Assegnando la penalità solo a chi è in svantaggio (a eccezione delle situazioni di parità), la regola di fatto obbliga uno dei due ad attaccare, con risultati che si sono dimostrati più efficaci in termini di vivacità delle gare. Una conseguenza, tra le altre cose, è stata che campioni che sfruttavano notoriamente i momenti statici e senza stoccate per vincere gli incontri sono ora in difficoltà, e viceversa. Romain Cannone, francese 47esimo nel ranking mondiale, doveva essere una riserva alle Olimpiadi di Tokyo. Alla fine ha sostituito un compagno, e grazie al suo stile aggressivo è arrivato in finale, premiato dalla nuova regola. Contro ogni aspettativa, lunedì ha vinto l’oro battendo in finale l’ungherese Gergely Siklósi, numero uno nel ranking e campione del mondo in carica.
«È una regola molto buona perché mostra cos’è davvero la scherma. È uno sport mentale, ma anche fisico», ha detto Cannone.