Da dove arriva la crisi in Tunisia
Da una forte instabilità politica, un'intensa crisi economica e dalla pandemia, ma soprattutto dall'autoritarismo del presidente Saied
La crisi politica in Tunisia, dove domenica il presidente Kais Saied ha rimosso il primo ministro, bloccato i lavori del parlamento e annunciato che assumerà lui stesso gli incarichi di governo, ha diverse cause tutte legate alla storia recente del paese: l’instabilità politica endemica, la gravissima situazione economica e la conseguente incapacità del governo deposto di gestire la pandemia da coronavirus, che in Tunisia è una delle peggiori di tutta l’Africa.
Tutti questi elementi, soprattutto l’instabilità politica e la crisi economica, sono ben noti ormai da anni, ma la crisi degli ultimi giorni ha anche una causa ulteriore: lo stesso Saied, un politico indipendente eletto alla presidenza nel 2019, che non aveva mai davvero nascosto la sua intenzione di cambiare radicalmente la struttura della democrazia tunisina; o di distruggerla, come sostengono i suoi critici.
Dopo aver rimosso il primo ministro, bloccato i lavori del parlamento e inviato l’esercito a presidiare i principali palazzi governativi della capitale Tunisi, martedì Saied ha imposto un coprifuoco in tutta la nazione dalle 18 alle 7 del giorno successivo, e ha vietato tutti gli assembramenti di più di tre persone.
Le cause strutturali della crisi hanno a che fare con lo stato piuttosto fragile in cui la Tunisia è uscita dalla primavera araba, l’insieme di proteste che iniziarono nel 2011 contro i regimi autoritari di diversi paesi nordafricani e mediorientali.
La Tunisia è stata l’unico paese coinvolto nella primavera araba ad aver mantenuto una forma di governo democratica, ma negli ultimi 10 anni la democrazia tunisina si è mostrata molto fragile e instabile. Ennahda, il partito islamista moderato che ha dominato la scena nazionale, non è mai davvero riuscito a imporsi con governi forti e capaci di fare le riforme di cui il paese aveva bisogno, e alla lunga i problemi e l’instabilità non hanno fatto che accumularsi. La politica tunisina è rimasta eccezionalmente frammentata, e dal 2011 a oggi si sono succeduti ben nove primi ministri.
– Leggi anche: In Tunisia c’è la peggiore crisi politica dalla primavera araba
L’instabilità politica ha portato con sé la crisi economica. L’economia è in pessimo stato da decenni, ma dopo la primavera araba i tunisini avevano sperato che la democrazia avrebbe eliminato, o quanto meno ridotto, la corruzione e il clientelismo: così non è stato, nonostante la transizione abbia generato dei vantaggi importanti per la popolazione.
Già prima della pandemia, la crescita del PIL di circa 1,5 per cento all’anno era gravemente insufficiente per un paese ancora in via di sviluppo: in seguito, la crisi è diventata disastrosa. Il PIL è calato dell’8 per cento nel 2020, e di un ulteriore 3 per cento nei primi tre mesi del 2021. Il tasso di disoccupazione, che era già piuttosto alto prima della pandemia (14,9 per cento secondo l’ufficio nazionale di statistica), è arrivato al 17,8 per cento, e la disoccupazione giovanile al 36 per cento. La Tunisia è a rischio default, e il governo appena deposto stava contrattando con il Fondo monetario internazionale per ottenere un prestito ed evitare la bancarotta.
In questo contesto di instabilità, corruzione e crisi si è inserito Saied.
Professore di diritto costituzionale poco noto prima di candidarsi nel 2019, Saied vinse le elezioni presidenziali da indipendente, senza un partito a sostenerlo, grazie a una campagna elettorale in cui promise che avrebbe liberato il paese dalla corruzione e dall’inefficienza della classe politica. Si presentò anche come un candidato piuttosto conservatore, che prometteva di ristabilire l’ordine sociale e che aveva opinioni molto retrograde su diversi temi, come per esempio i diritti della comunità LGBT+ (ritiene che l’omosessualità debba essere criminalizzata).
Saied non aveva legami né con il regime che aveva governato il paese fino al 2011 né con la disordinata classe politica democratica, e la sua retorica professorale e noiosa (i tunisini lo soprannominarono “Robocop”) sembrò promettere stabilità e sicurezza in un momento di confusione e crisi.
Dopo la sua elezione, però, Saied non nascose mai troppo che uno dei suoi obiettivi era quello di cambiare profondamente la struttura della democrazia in Tunisia. Nel corso dell’ultimo anno si era scontrato più volte e molto duramente con il primo ministro Hichem Mechichi, di Ennahda, e con il presidente del parlamento Rached Ghannouchi, anche lui di Ennahda (è il capo del partito). Aveva detto apertamente che la Tunisia aveva bisogno di una riforma costituzionale che desse più poteri al presidente e li togliesse al litigioso parlamento.
Uno degli scontri più duri ha riguardato il controllo dell’esercito e delle forze armate. Secondo la Costituzione tunisina, il presidente è a capo delle forze armate ma, un po’ come il presidente della Repubblica italiana, questo controllo è più che altro formale, e sottoposto al potere politico. Saied invece ha rivendicato che al presidente tunisino spettasse il controllo effettivo e diretto non soltanto dell’esercito, ma anche delle forze di sicurezza, cioè delle agenzie d’intelligence e degli altri apparati di sicurezza dello stato.
Non è dunque improbabile che Saied già da tempo meditasse di esautorare governo e parlamento, e negli scorsi mesi erano già circolate voci non confermate a riguardo.
Ad aiutare i progetti di Saied ha contribuito la pandemia da coronavirus, e la terribile inefficienza del governo nel gestirla. La Tunisia ha dovuto affrontare una delle peggiori crisi sanitarie dell’Africa: 550 mila persone sono state contagiate e 18 mila sono morte, in un paese di 11,6 milioni di persone. La pandemia ha bloccato il turismo, una delle principali fonti di reddito del paese, e la campagna vaccinale sta andando a rilento.
Questo, unito alla crisi economica, ha peggiorato ulteriormente il tasso di gradimento del governo tra la popolazione, e ha consentito ancora una volta a Saied di presentarsi come “l’uomo dell’ordine”: questo mese ha ordinato all’esercito di prendere il controllo della campagna vaccinale e ha imposto le dimissioni del ministro della Salute.
Oggi diversi critici paragonano Kais Saied ad Abdel Fattah al Sisi, il generale egiziano che nel 2013 mise in atto un colpo di stato militare contro il governo democraticamente eletto della Fratellanza musulmana e instaurò un feroce regime autoritario (a rendere più vivo questo paragone c’è il fatto che Ennahda ha legami con la Fratellanza). Ci sono numerose differenze, perché Saied non è un militare e anzi è un politico eletto democraticamente, e perché da qualche giorno si parla della possibilità di instaurare un negoziato politico tra il presidente ed Ennahda. Ma anche fuori dalla Tunisia, sempre più analisti e osservatori hanno cominciato a descrivere quello che sta avvenendo nel paese come un colpo di stato.