La repressione in Bielorussia non si è mai fermata
Negli ultimi giorni si è anzi intensificata, colpendo ONG e giornalisti: l'opposizione al presidente Lukashenko è sempre più debole
Negli ultimi giorni le autorità in Bielorussia hanno compiuto perquisizioni e arresti sommari contro membri di ONG, attivisti per i diritti umani e contro gli ultimi giornalisti indipendenti ancora in libertà o non fuggiti dal paese. Alcune delle persone coinvolte, ha scritto il Guardian, hanno parlato di “settimana nera”, per descrivere l’adozione delle ultime e intense misure repressive da parte del regime bielorusso.
In Bielorussia la repressione contro l’opposizione e la libertà di stampa va avanti da mesi, in risposta alle enormi proteste cominciate ad agosto 2020 contro l’autoritarismo e i brogli elettorali del dittatore Alexander Lukashenko. Secondo le Nazioni Unite, da agosto a oggi in Bielorussia sono state arrestate per ragioni futili legate alle proteste più di 35 mila persone; e l’ondata di detenzioni cominciata questo mese è particolarmente grave perché sta riguardando diverse ONG note e rispettate.
Le autorità bielorusse hanno compiuto perquisizioni nella sede di Viasna, una ONG per i diritti umani che era diventata piuttosto famosa perché tiene una lista aggiornata di tutti i prigionieri politici bielorussi, e ne ha arrestato diversi membri, tra cui il presidente Ales Bialiatski. Hanno poi compiuto perquisizioni nelle abitazioni private dei membri della ONG, facendo altri arresti. In totale, 14 ONG e associazioni per i diritti umani hanno subìto perquisizioni, sequestri di materiale e arresti.
Tra le altre cose, le autorità hanno bloccato i conti correnti della sezione bielorussa del PEN Center, una celebre organizzazione internazionale per la letteratura e i diritti umani, che è presieduta da Svetlana Alexievich, premio Nobel per la Letteratura nel 2015. Alexievich è fuggita dalla Bielorussia un anno fa.
Sono stati arrestati anche numerosi giornalisti, e le autorità hanno fatto perquisizioni nelle redazioni dei media indipendenti: quelle rimaste aperte, quanto meno, visto che la repressione contro i media va ormai avanti da mesi. Sempre secondo le Nazioni Unite, i giornalisti arrestati sono ormai 24, e molti giornali sono stati chiusi.
La situazione in Bielorussia è particolarmente complicata perché Svetlana Tikhanovskaya, leader dell’opposizione e vincitrice delle elezioni dell’anno scorso, è ormai da quasi un anno in esilio all’estero, e la sua capacità di esercitare influenza sul paese si sta via via affievolendo.
Negli ultimi giorni Tikhanovskaya, che ora vive in Lituania, è stata negli Stati Uniti, dove ha incontrato membri del Congresso, il segretario di Stato Antony Blinken e vari funzionari della Casa Bianca. La leader bielorussa ha ottenuto in America numerose dichiarazioni di sostegno e appoggio, ma nessuna misura concreta. Tra le altre cose, sperava di convincere gli Stati Uniti a imporre contro Lukashenko sanzioni ancora più dure di quelle già imposte, e fare in modo che il Fondo monetario internazionale posticipasse un pagamento previsto alla Bielorussia di un miliardo di dollari. Per ora nessuno di questi obiettivi è riuscito.
Il tentativo di Tikhanovskaya di ottenere il sostegno diretto degli Stati Uniti è inoltre rischioso. La Bielorussia ha forti legami politici ed economici con la Russia, che ha un’enorme influenza sul paese: l’anno scorso fu di fatto il sostegno del presidente russo Vladimir Putin a consentire a Lukashenko di rimanere al potere. Per Tikhanovskaya presentarsi come la leader sostenuta dall’Occidente potrebbe soltanto rafforzare la convinzione della Russia che Lukashenko sia il leader più affidabile.
Parlando con il New York Times, Tikhanovskaya ha detto che il regime di Lukashenko è «all’ultimo respiro prima della morte», perché non ha altri mezzi per mantenere il controllo oltre alla violenza, e non è possibile esercitare la violenza contro il proprio popolo ancora a lungo.
Nonostante questo, ha riconosciuto che la terribile repressione del regime di Lukashenko ha indebolito l’opposizione: è sempre più difficile convincere le persone a protestare pubblicamente, correndo il rischio di essere arrestati e malmenati (sono inoltre numerose le denunce di torture in carcere); e ripetere le manifestazioni enormi dei primi mesi dopo le elezioni, quando parteciparono centinaia di migliaia di persone, è ormai impossibile.