Da febbraio i paesi sotto l’Etna si ricoprono di cenere
Le decine di eruzioni degli ultimi mesi rendono difficile la vita in posti come Giarre e Zafferana, e ora è intervenuto il governo
I comuni della fascia jonica e di quella pedemontana vicini all’Etna hanno da sei mesi un serio problema: la cenere vulcanica che, proveniente dalle eruzioni del cratere di Sud Est, ricopre tetti, strade, auto, entra nelle abitazioni e nei negozi. Ora il governo ha deciso di stanziare 5 milioni di euro (la Regione ne aveva chiesti 20) per una prima serie di interventi. Erano vent’anni che non si verificavano attività di questa portata sull’Etna.
«È dal 15 febbraio», spiega al Post Stefano Branca, direttore dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia di Catania, «che l’Etna erutta in maniera costante, anche se non regolare. Abbiamo avuto solo un breve periodo di tregua, tra aprile e maggio, poi l’attività è ripresa. La cenere che si deposita nei comuni del territorio etneo crea un importante problema di natura economica. La cenere è infatti considerata rifiuto speciale, per smaltirla servono aziende specializzate. E farlo costa molto, i comuni non ce la fanno a far fronte alle spese».
I getti di lava sono alti fino a 400-500 metri: si tratta di magma primitivo, che proviene da una profondità di circa 2.900 metri, e carico di gas. La colonna di fumo ha raggiunto anche i 9 km sul livello del mare. Solo nel comune di Giarre, il più colpito, tra febbraio e marzo si sono depositate circa 12mila tonnellate di cenere da raccogliere. In tutto il territorio le tonnellate sono circa 300mila.
La cenere rimane nelle strade e si accumula di eruzione in eruzione, con una frequenza quasi quotidiana. Da febbraio gli episodi di parossismo, cioè di attività esplosive del vulcano, sono stati 47 e la caduta di cenere ha riguardato soprattutto i territori sul versante Nord e su quello Sud-Est, ma è arrivata anche a interessare altri territori. A volte il vento ha spinto la cenere fino ai comuni del messinese. Anche l’aeroporto di Catania, nel periodo che va da febbraio a oggi, ha subito diverse chiusure a causa della scarsa visibilità. Oltre a Giarre a essere colpiti sono altri comuni della costa jonica come Acireale, Mascali e Riposto, e quelli della fascia pedemontana come Nicolosi, Milo, Zafferana Etnea, Sant’Alfio, Santa Venerina.
Il presidente della Regione Sicilia Nello Musumeci ha detto che «ci sono danni alle colture, costi di manutenzione alle case, quelli per pulire le grondaie che si intasano di cenere. Tutte spese sostenute dai privati. C’è poi la preoccupazione sul piano sanitario perché la cenere produce polveri sottili la cui nocività non è stata ancora accertata dall’Istituto superiore di Sanità».
«La cenere», spiega Branca, «è grossolana, non si rischia di inalarla. Se viene lavorata e quindi resa più fine, allora sì, la pericolosità aumenta, la preoccupazione diventa concreta». Per precauzione comunque i comuni della zona dell’Etna hanno invitato i cittadini a utilizzare la mascherina all’esterno, anche se non più obbligatoria per via del coronavirus.
«In realtà», dice Alfio Previtera, assessore alla Protezione civile del Comune di Giarre, «non abbiamo certezze sugli effetti che questa cenere vulcanica ha sulla salute. Mi sveglio spesso la mattina con il sapore della cenere in bocca. Sicuramente abbiamo in questo momento il problema enorme dello smaltimento: ci sono 25mila tonnellate di cenere vulcanica stoccate a cui si aggiungono quelle nei 15 punti di stoccaggio che abbiamo messo a disposizione dei cittadini che puliscono davanti a casa, sui balconi e sui tetti e non sanno poi dove mettere la cenere».
Il 7 marzo scorso a Giarre sono stati registrati 600 grammi di cenere per metro quadrato. Previtera dice che finora sono stati impiegati 450mila euro per lo smaltimento, e che dalla Regione ne sono arrivati 177mila, ma non bastano. Smaltire la cenere costa circa 20 euro al metro cubo, una cifra insostenibile per le amministrazioni di piccoli comuni. «E non basteranno nemmeno i 5 milioni decisi dal governo che dovranno essere divisi tra oltre venti comuni». Secondo Previtera un problema è che per i privati cittadini non è stata decisa nessuna defiscalizzazione: «pulire un tetto dalla cenere costa 400 euro». E si prevede che le eruzioni continueranno.
Il Parlamento ha approvato nei giorni scorsi una legge, su proposta del senatore Movimento 5 Stelle Cristiano Anastasi, che permetterà di trattare la cenere non più come rifiuto ma come risorsa, una volta lavorata, in ambito agricolo ed edilizio. In pratica i comuni non dovranno più portarla in discarica, ma dovranno spazzarla e stoccarla provvisoriamente in un luogo adeguato in attesa del reimpiego. Prima però vanno individuati i cosiddetti luoghi adeguati e organizzare la filiera della raccolta e della lavorazione. E ancora prima va attestata la non pericolosità della raccolta.
«Questa legge aiuterà per il futuro», dice Previtera, «ma siamo lontani dal vederla applicata. Servono prima i decreti attuativi. Noi abbiamo un problema ora, urgente, a Giarre e negli altri comuni. La cenere si accumula e per ora si trova nei pressi dei centri abitati. Servono interventi e stanziamenti».
Resta il problema di dove mettere le 300mila tonnellate di cenere finora cadute, più quelle che si accumuleranno se l’eruzione continuerà. Musumeci ha detto che «si sta provvedendo al censimento delle cave dismesse». La Protezione civile dice che i comuni in realtà hanno già un elenco delle cave, ma serve anche un progetto di recupero ambientale. E le amministrazioni locali non hanno né i soldi né le figure tecniche necessari. «Il rischio è che i tempi si allunghino, e di molto», dice Previtera, «che le montagne di cenere restino lì a lungo. Non sono davvero sicuro che a Roma abbiano capito la serietà della situazione».