Quali ultras si è messo contro Elseid Hysaj
Il nuovo acquisto della Lazio si è presentato cantando ingenuamente “Bella Ciao”, e facendo infuriare i gruppi organizzati fascisti della Curva Nord
Il terzino albanese Elseid Hysaj è un giocatore della Lazio da poche settimane e già la tifoseria organizzata, quella che occupa parte della Curva Nord dello Stadio Olimpico di Roma, vorrebbe che fosse mandato via al più presto. La sua colpa, agli occhi degli ex Irriducibili, oggi rinominatisi semplicemente Ultras Lazio, è stata quella di aver cantato “Bella Ciao” su una sedia durante il ritiro della squadra ad Auronzo di Cadore, in Veneto. Hysaj l’ha scelta per via della sua recente popolarità televisiva, più che per la sua storia di canzone partigiana, ma per un gruppo dichiaratamente neofascista non ha fatto molta differenza. L’altra sera, su ponte Milvio a Roma è stato esposto lo striscione: «Hjsay verme, la Lazio è fascista».
Gli insulti e le minacce a Hysaj hanno cominciato ad arrivare dopo la pubblicazione del video su Instagram da parte di Luis Alberto, suo nuovo compagno alla Lazio. Hysaj ha ritenuto di doversi giustificare, spiegando che quella sera era in corso il tradizionale rito di iniziazione per i nuovi acquisti, gli era stato chiesto di cantare una canzone italiana e lui aveva intonato quella che aveva sentito in una serie che amava molto, La casa di carta. La melodia di “Bella Ciao”, peraltro, è tipicamente slava e probabilmente arriva dall’Est Europa, composta dall’ucraino Mishka Ziganoff.
Franco Costantino, detto Franchino, uno dei capi della curva laziale, ha risposto che Hysaj doveva sapere che i tifosi della Lazio appartenenti ai gruppi ultras sono di estrema destra: «E lo dichiaro con orgoglio», ha aggiunto. «Non credo alla favola che poteva non sapere il senso di quella canzone, è albanese ma ci siamo informati, il padre era un operaio cresciuto qui. Chiunque viva in Italia non può ignorare il peso di una canzone politicizzata come “Bella Ciao”». La Lazio ha un po’ tardato a esprimere solidarietà al giocatore e quando lo ha fatto, con un comunicato, non ha mai citato la parola fascismo:
«Prendiamo nettamente le distanze da chi vuole strumentalizzare per fini politici questa vicenda che danneggia la squadra, tutti i tifosi e la società. Non ci faremo intimidire da chi usa toni violenti e aggressivi. Per loro non c’è alcuno spazio nel nostro mondo che è invece ispirato ai sani valori sportivi della lealtà e della competizione, del rispetto reciproco e della convivenza civile e indirizzato al superamento di tutti gli steccati di carattere sociale, culturale, economico e razziale».
Il giorno dopo la pubblicazione del video di Hysaj, ad Auronzo di Cadore si sono presentati membri del tifo organizzato laziale che volevano chiedere personalmente spiegazioni al giocatore. C’è stata però anche una reazione piuttosto energica dei tifosi laziali non appartenenti alla Curva Nord e non schierati con la destra fascista, che hanno espresso, attraverso i social network, solidarietà al giocatore. In molti finora hanno scritto sui social network usando l’hashtag #iostoconHysaj e lo slogan «la Lazio non è fascista».
Secondo un censimento del ministero dell’Interno sono almeno 50 i gruppi del tifo organizzato, tra Serie A, Serie B e campionati minori, controllati e gestiti dall’estrema destra: la curva della Lazio, oltre a quella del Verona e alla Curva Nord dell’Inter, è sicuramente quella più antica e storica. Il primo gruppo del tifo organizzato laziale, gli Eagles Supporters, si presentò allo stadio nel 1974 con uno striscione su cui era impressa un’aquila ad ali aperte che secondo la questura ricalcava perfettamente l’aquila della Wehrmacht, l’esercito tedesco. Il disegno venne cambiato ma i gruppi organizzati continuarono a rivendicare la loro appartenenza ideologica.
Gli Eagles si sciolsero e nacquero gli Irriducibili, identificati da un omino con la bombetta chiamato Mr. Enrich, associato allo slogan «Il calcio te lo tiro in bocca», un marchio poi registrato e utilizzato per tutto il proficuo merchandising della curva. Al tifo per la Lazio si è sempre accompagnata la militanza dei suoi leader nella destra fascista, con agganci e contatti non solo in Italia ma in tutta Europa.
Il 30 gennaio del 2000 nella curva della Lazio comparve un lungo striscione su cui era scritto «Onore alla tigre Arkan». La tigre Arkan era Zeljko Raznatovic, capo di una milizia serba criminale responsabile, durante la guerra nella ex Jugoslavia, di vari massacri e crimini di guerra. Arkan, che era stato ucciso 15 giorni prima, era tra l’altro anche lui un ultras, capo della violenta curva della Stella Rossa Belgrado. Striscioni analoghi vennero appesi in molte curve d’Europa, soprattutto dell’est, tutte schierate all’estrema destra.
Negli anni la tifoseria organizzata laziale è stata protagonista di molti episodi razzisti, penalmente rilevanti o meno, dai cori ai versi rivolti ai giocatori africani, alle esecuzioni di canzoni fasciste e ai saluti romani. Sono stati frequenti anche gli scontri con le tifoserie non allineate a destra, quella livornese soprattutto, ma anche quella napoletana, e marsigliese in Europa. Divenne famosa anche una disposizione emessa dal cosiddetto direttivo dei tifosi e circolata con un volantino a firma Diabolik-Pluto, due capi ultras, che vietava alle donne di sedersi nelle prime dieci file della curva Nord. Perché, era scritto, «è un luogo sacro. Chi sceglie lo stadio come alternativa alla spensierata e romantica giornata a Villa Borghese, andasse in altri settori».
Nel 2017 la curva Nord venne squalificata per aver urlato, in una domenica di campionato, cori razzisti. Il presidente laziale Claudio Lotito, per venire incontro agli Irriducibili, offrì loro biglietti a un euro per la Curva Sud, quella occupata normalmente dai tifosi romanisti. Gli ultras laziali tappezzarono il settore di adesivi con la scritta «romanisti ebrei», «romanista Aronne Piperno» (il commerciante ebreo del film Il marchese del Grillo), e raffiguranti Anna Frank con la maglietta della Roma. Gli steward, che avrebbero dovuto vigilare, lasciarono fare. Le proteste furono forti, l’indignazione pure, e Lotito andò in sinagoga a chiedere scusa.
Il 24 aprile del 2019, in trasferta a Milano per una partita di Coppa Italia contro il Milan, una trentina di Irriducibili si presentarono in piazzale Loreto, accompagnati da esponenti della Curva Nord interista, srotolando lo striscione «Onore a Benito Mussolini» e facendo il saluto romano.
Quello che è avvenuto nella Curva Nord della Lazio, ma anche nella curva rivale, quella romanista e in quelle di molte altre città italiane, è una saldatura tra tifo organizzato (comandato con la forza e quasi militarmente dai capi), destra fascista e criminalità organizzata. Figura emblematica è stata, per quanto riguarda gli Irriducibili laziali, Fabrizio Piscitelli, detto Diabolik o Diablo, ucciso il 7 agosto 2019 nel parco degli Acquedotti di Roma con un colpo di pistola alla testa. Di sé e del suo gruppo di tifosi estremisti diceva: «Siamo gli ultimi fascisti di Roma». Piscitelli non era però solo un capo ultras fascista. Il suo nome era legato a figure importanti della criminalità romana: Michele Senese, capo di un clan di camorra attivo soprattutto nella parte Sud della città, e Massimo Carminati, celebre terrorista fascista negli anni Settanta e Ottanta e poi elemento centrale nell’inchiesta Mafia Capitale.
Piscitelli aveva avuto condanne per estorsione e per un traffico di droga con la Spagna, nel 2013. In quell’occasione gli erano stati sequestrati due milioni e mezzo di euro provenienti dalla società Mr.Enrich, intestata alla moglie. Il suo nome era emerso anche durante le indagini di Mafia Capitale, nell’ordinanza che portò agli arresti nell’operazione Mondo Di Mezzo, come capo di “una batteria” di Ponte Milvio che esercitava il controllo criminale su parte di Roma Nord, sempre agli ordini di Senese.
Anni prima, quando nel 2004 Lotito divenne presidente della Lazio subentrando a Sergio Cragnotti, tra la nuova dirigenza e i leader del tifo organizzato della Curva Nord iniziarono duri contrasti. Durante la gestione di Cragnotti, Piscitelli e gli altri si erano arricchiti con il merchandising (magliette, cappellini e sciarpe) venduto fuori dallo stadio. Lotito voleva sottrarre il commercio agli Irriducibili, che iniziarono però una campagna intimidatoria nei confronti suoi, della moglie e dei suoi collaboratori, con l’obiettivo che il club venisse venduto a una cordata di imprenditori con a capo l’ex giocatore simbolo della Lazio, Giorgio Chinaglia, morto poi nel 2012.
Chinaglia, durante il tentativo di acquisto della Lazio, disse che i soldi sarebbero arrivati da una società farmaceutica ungherese, la Richter Gedeon. Partì un’inchiesta per aggiotaggio visto che dopo l’annuncio di Chinaglia le azioni della società sportiva Lazio avevano subito forti oscillazioni. Venne scoperto che nessuno alla Richter Gedeon sapeva nulla di quest’operazione. Le indagini conclusero che dietro le minacce per favorire la scalata ci fossero Piscitelli e altri capi della Curva Nord laziale, tutti legati all’estrema destra romana, condannati poi in primo grado. I soldi per l’acquisto della Lazio sarebbero arrivati, sempre secondo le indagini, dal clan camorristico dei casalesi.
Al funerale di Piscitelli uno striscione, appeso davanti al santuario del Divino Amore, recitava: «Gli sciacalli possono pure banchettare sul cadavere di un leone ma lui resta un leone e loro restano sciacalli». Ad accogliere la bara tra bandiere laziali, applausi e saluti romani c’erano, mischiati a tante famiglie con bambini, capi ultras di tutta Italia, legati ai leader laziali da solidarietà ideologiche e d’affari, secondo uno schema che si ripete in molte curve.