Si parla male di “Space Jam 2”

Deve ancora uscire in Italia, ma a molti critici americani è sembrato più che altro una pubblicità della Warner Bros, pretestuosa e poco coerente

Da alcuni giorni nei cinema statunitensi e di alcuni altri paesi e (dove è disponibile) sulla piattaforma di streaming HBO Max si può vedere Space Jam 2, che ha per protagonista il cestista americano LeBron James, che aveva 11 anni quando nel 1996 uscì Space Jam, in cui Michael Jordan e alcuni personaggi dei Looney Tunes giocavano a basket contro degli alieni cattivi.

Nonostante le sue strambe premesse e certe sue ingenuità, Space Jam piacque moltissimo e diventò un classico del cinema di animazione degli anni Novanta. Non si può dire la stessa cosa di Space Jam 2, perché nonostante degli incassi comunque soddisfacenti, la maggior parte dei critici ne sta parlando tra il male e il malissimo. La critica principale è che tutto il film sia più che altro un maldestro e spudorato tentativo di promuovere personaggi, storie e mondi narrativi della Warner Bros, la casa di produzione del film.

Space Jam 2 racconta cosa succede dopo che LeBron James (che nel film interpreta se stesso) finisce prigioniero insieme al figlio (che è interpretato da un attore, così come la moglie di James) in uno spazio virtuale noto come Server-Verso, dominato da un’intelligenza artificiale malvagia che si fa chiamare Al-G Rhythm (che si legge più o meno “algoritmo”). Nel Server-Verso esistono tanti mondi diversi, ognuno dei quali è popolato da personaggi della Warner Bros. In uno di questi vivono i Looney Tunes, insieme ai quali James crea la “Tune Squad” per giocare a basket contro la “Goon Squad” formata da cloni digitali di forti giocatori NBA e forti giocatrici di WNBA, la lega nordamericana di basket femminile. Quindi sì, cambia un po’ il contorno (universo virtuale anziché mondo alieno) ma la storia bene o male è rimasta quella.

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Già dal trailer si vede che tra i tanti personaggi legati alle proprietà intellettuali della Warner Bros, molti non hanno nulla a che fare con i Looney Tunes. Nel film, alcuni stanno nei loro mondi virtuali dentro al Server-Verso: per esempio il mondo di Mad Max, quello di Game of Thrones, quello di Harry Potter o addirittura quello di Casablanca, il film con Humphrey Bogart del 1942. Altri sono spettatori della partita tra Tune Squad e Goon Squad.


In Warner Bros, le idee per un qualche tipo di seguito di Space Jam, che incassò 250 milioni di dollari, iniziarono a girare subito dopo l’uscita del film. Si pensò anzitutto a un nuovo film con Jordan, ma lui rifiutò. Si ragionò allora su possibili seguiti senza pallacanestro, per esempio uno “Spy Jam” con Jackie Chan o uno “Skate Jam” con lo skater Tony Hawk, ma non se ne fece niente. Dal 2014 si iniziò quindi a lavorare a un seguito con protagonista James, da girarsi in tecnica mista: e quindi sia con attori in carne e ossa sia con personaggi di animazione, fatti un po’ in modo tradizionale e un po’ a computer. Il film, diretto da Malcolm D. Lee., ha avuto un budget di circa 180 milioni di dollari e il suo primo trailer è uscito nell’aprile di quest’anno.

A chi gli aveva chiesto se avesse intenzione di giocare nella squadra statunitense alle Olimpiadi, James aveva risposto: «no, quest’estate giocherò per la Tune Squad».

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Space Jam 2 – che in Italia arriverà a fine settembre – ha già incassato nel mondo più di 50 milioni di dollari: niente male visto che c’è comunque una pandemia e considerando che è un film che si può vedere anche in streaming su HBO MAX.

Ma la grande maggioranza delle sue recensioni lo ha stroncato. Nella sua breve sintesi di decine di recensioni di critici, Rotten Tomatoes ha scritto: «Nonostante James ci si metta d’impegno nel far vincere la Tune Squad, Space Jam 2 sostituisce il demenziale umorismo “meta” del primo film con uno sfacciato e sfinente esercizio di branding».

La sensazione espressa da molti critici è che mentre il primo Space Jam riusciva, partendo da premesse molto strane, ad avere comunque un suo senso, questo secondo film sembra davvero una grande pubblicità per convincere i suoi spettatori ad abbonarsi a HBO Max. Una pubblicità in cui si punta sulla quantità di riferimenti e ammiccamenti più che sull’efficacia della trama o sul divertimento dello spettatore. «C’è un perseverante sovraccarico sensoriale» ha scritto il New York Times «che fa sentire lo spettatore come Wile E. Coyote dopo essere andato a sbattere contro un muro».

Qualcuno ha paragonato l’eccessivo inserimento delle più disparate proprietà intellettuali di Warner Bros a quello fatto dal film del 2018 Ready Player One, in una storia che però in Space Jam 2 non ne trae quasi nessun beneficio. Più di un critico ha fatto notare come gli spettatori più giovani potrebbero inoltre sentirsi spaesati da una serie di riferimenti e citazioni per loro difficili da cogliere e quindi, dal loro punto di vista, privi di logica.

In Space Jam 2, Al-G Rhythm vuole intrappolare James per trasformarlo in una sua proprietà virtuale. Bilge Ebiri ha osservato quindi su Vulture che «il piano del cattivo del film è più o meno lo stesso piano del film: incorporare LeBron James tra le proprietà intellettuali della Warner Bros». Secondo Ebiri, «così come tanti prodotti del cinema corporate, anche Space Jam 2 dice di stare dalla parte degli angeli mentre in realtà fa il lavoro del diavolo: critica senza pietà un avido tentativo di inglobare e aggiornare qualcosa di classico […] e intanto ingloba e aggiorna senza pietà qualcosa di classico».

Tra le più nette critiche al film c’è quella di Charles Bramesco, che sul Guardian lo ha definito «una pacchiana schifezza senz’anima» e un «abbagliante e digitalizzato pugno in un occhio». Secondo lui il film è uno «sfrontato tributo del regista ai manager dei piani alti che firmano gli assegni» in cui «nessuno sembra rendersi conto che a furia di fissarsi sul passato [della Warner Bros] si finisce per non curarsi più del suo futuro».

Secondo Bramesco, Disney o Marvel possono organizzare le loro vaste scorte di proprietà intellettuale in modo logico, mentre non ha senso «mettere nella stessa realtà Rick Blaine di Casablanca e Pennywise di It». Con il rischio, tra l’altro, di svalutare a loro volta quei personaggi, «rendendoli semplici comparse». Per Bramesco è solo «propaganda commerciale» di una «istituzione in dissolvenza che sta entrando nella sua fase decadente da ultimi giorni dell’impero; una dimostrazione di onanismo aziendale».

Tra tante critiche al film, c’è anche qualche raro caso di critico che ha apprezzato «la vivacità dei mondi che crea», il suo «maggior ritmo rispetto al primo» e i suoi risultati nella creazione digitale dei tanti personaggi animati che lo popolano. Su Variety, Amy Nicholson ha scritto: «è un film caotico, coloratissimo e insensato che però, a differenza del primo, riesce a reggere come film». Secondo Nicholson, nei momenti cruciali della partita al centro della storia si finisce con l’essere distratti dal fatto che gli spalti siano gremiti di «tutta la libreria di contenuti della Warner Bros» e si pensa, per esempio: «la Goon Squad ha appena schiacciato in faccia a James? Chissenefrega, siamo impegnati a cercare tra il pubblico i Drughi di Arancia Meccanica».

Per Nicholson, c’è qualcosa di amaro nella «caparbia fissazione con cui la Warner Bros ammassa insieme i suoi personaggi» e nel fatto che «Hollywood sembri interessata ai diritti sulle sue proprietà intellettuali più che all’innovazione», ma c’è anche del buono nel fatto che, forse, un film come Space Jam 2 possa «instillare nei suoi giovani spettatori qualche tipo di curiosità sulla storia del cinema».