Come sarà la “Russia” ai Giochi olimpici
Per via dello scandalo sul doping i suoi atleti continueranno a non essere associati direttamente alla bandiera e all'inno, anche se non servirà molta immaginazione
Alle Olimpiadi di Tokyo 2020 (che inizieranno il 24 luglio) ci saranno oltre 300 atleti russi, ma non ci sarà la Russia. In conseguenza delle sanzioni decise nei confronti del paese dopo la scoperta di una serie di casi di doping sistematico e spesso definito “di stato”, infatti, gli atleti russi parteciperanno alle Olimpiadi solo a certe condizioni decise dalle federazioni dei vari sport, e comunque senza poter essere accompagnati dalla bandiera e dall’inno russo.
Per certi versi sarà qualcosa di simile a quanto era già successo alle Olimpiadi invernali del 2018, a cui gli atleti russi avevano partecipato come “Atleti olimpici dalla Russia”, rappresentati dalla bandiera olimpica anziché da quella russa, con divise che non avevano i colori nazionali e senza l’inno in caso di vittoria. Ma a Tokyo cambieranno il nome della squadra, la bandiera, l’inno e le divise.
Gli oltre 300 atleti russi che parteciperanno alle gare di oltre 30 sport lo faranno sotto il nome e il simbolo del Comitato olimpico russo, cioè il corrispettivo di quello che in Italia è il CONI. Nelle grafiche e nei testi di accompagnamento alle varie gare, il nome del comitato non sarà però mostrato per intero e ci sarà solo la sua sigla inglese “ROC”, che sostituirà quella che altrimenti sarebbe stata RUS. Sarà del Comitato olimpico russo anche la bandiera associata agli atleti. Anziché esserci il tricolore orizzontale russo bianco, blu e rosso ci sarà quindi una bandiera con il simbolo del Comitato: tre fiamme (una bianca, una blu e una rossa) sopra ai cinque cerchi olimpici.
Dopo che alle Olimpiadi invernali del 2018 gli “Atleti olimpici dalla Russia” avevano gareggiato con divise spesso grigie e senza i tre caratteristici colori della bandiera, a Tokyo cambierà anche questo aspetto. Gli atleti avranno infatti divise in cui il bianco, il blu e il rosso evocheranno il tricolore russo. Come detto ad Associated Press da Stanislav Pozdnyakov, presidente del Comitato olimpico russo, per capire che si tratta di uniformi di atleti russi «non servirà una grande immaginazione».
Inoltre, sempre rispettando certe condizioni e dimensioni, su alcune divise da gara degli sport di squadra potrà comparire il nome “Russia”.
Visto che gli atleti russi non potranno essere associati all’inno nazionale, il ROC ha potuto proporne uno alternativo al Tribunale Arbitrale dello Sport (TAS) di Losanna, che tra le tante altre cose si occupa anche di questioni di questo tipo. La prima proposta prevedeva di usare “Katyusha”, un celebre canto popolare sovietico degli anni Trenta, sulla cui musica furono scritte le parole della canzone partigiana “Fischia il vento”.
La proposta è stata però rifiutata e il Comitato olimpico russo ha quindi chiesto di poter usare un estratto del Concerto per pianoforte n.1 di Pyotr Tchaikovsky: il TAS ha accettato.
Quando un atleta russo vincerà la medaglia d’oro, quindi, non ci sarà il solito “Inno di stato della Federazione russa”, ma si sentiranno alcune note di Tchaikovsky, peraltro già usate negli ultimi mesi ai Mondiali di pattinaggio.
Per quanto riguarda invece la parte sportiva, Pozdnyakov ha detto di aspettarsi che alle Olimpiadi di Tokyo gli atleti del Comitato russo possano migliorare il risultato ottenuto dalla Russia alle olimpiadi di Rio de Janeiro del 2016. Allora – quando già si sapeva del grande scandalo legato al doping nel paese, e quando già diversi atleti russi non poterono partecipare alle gare – finì quarta nel medagliere dietro a Stati Uniti, Regno Unito e Cina, con 18 ori e 56 medaglie complessive.
La prima inchiesta sugli imbrogli della Russia nei controlli antidoping fu commissionata dall’Agenzia Mondiale Antidoping (WADA) nel dicembre del 2014, dopo la trasmissione di un documentario del canale tedesco ARD, che raccontò il vasto e regolare uso di doping fra gli atleti russi e i sistemi usati per coprire l’imbroglio. Era seguita un’indagine commissionata dalla WADA in cui era stato confermato che la Russia aveva promosso un programma per dopare i propri atleti in occasione delle Olimpiadi invernali di Sochi, disputate in Russia nel 2014.
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Nel 2019 – in seguito all’indagine e in conseguenza di quella che fu ritenuta una mancata collaborazione da parte del sistema antidoping russo – la WADA squalificò il paese per doping fino al 2022. A fine 2020, però, il TAS aveva deciso di dimezzare la squalifica, cosa che comunque non permetterà al paese di presentare a suo nome delegazioni ai principali eventi sportivi nei prossimi due anni, quindi anche alle Olimpiadi invernali di Pechino 2022.
Anche per questo, come di recente ha raccontato Time, diversi atleti russi stanno cercando, ognuno secondo le sue possibilità e i tempi e i modi definiti dalle rispettive federazioni, di ottenere un’altra nazionalità così da poter gareggiare in futuro per un paese diverso dalla Russia. Anche nel caso in cui un atleta riesca a ottenere una nuova nazionalità, in molti casi bisogna però far passare un periodo di transizione, a volte fino a cinque anni, per poter gareggiare con un paese diverso. E non tutti gli atleti, specie i meno giovani, possono permettersi un’attesa così lunga.