Nel Regno Unito vogliono cambiare le regole della musica in streaming
I parlamentari della commissione cultura hanno chiesto al governo di cambiare le regole per garantire compensi maggiori agli artisti
Fiona Bevan è una cantautrice britannica che nel 2020 ha scritto “Unstoppable”, una canzone inclusa nell’ultimo album della cantante australiana Kylie Minogue: nonostante il suo testo sia stato interpretato da una popstar di livello mondiale e ascoltato da milioni di persone grazie allo streaming, Bevan ha guadagnato solo 100 sterline (116 euro). «I cantautori di successo fanno gli autisti di Uber», ha detto la cantautrice durante un’audizione della commissione britannica per la cultura, i media e il mercato digitale, che dallo scorso anno ha avviato un’inchiesta per capire come vengono distribuiti agli autori e agli artisti i compensi derivanti dallo streaming.
La conclusione a cui sono arrivati i componenti della commissione, undici parlamentari di tutti i partiti, è piuttosto radicale: solo un «reset completo» delle regole di questo mercato può garantire più diritti ai cantanti e una distribuzione equa dei guadagni.
Negli ultimi mesi i parlamentari hanno ascoltato le testimonianze di molti cantanti e autori, e chiesto dati e spiegazioni alle piattaforme di streaming e alle case discografiche, a cui sono state presentate richieste piuttosto pressanti per cercare di svelare i criteri utilizzati per definire la distribuzione dei guadagni.
Tra i suggerimenti contenuti nella proposta di riforma presentata al governo britannico, i commissari hanno scritto che le cosiddette royalty, cioè i diritti d’autore delle canzoni, dovrebbero essere divise a metà tra le case discografiche e gli artisti, mentre al momento gli artisti ricevono circa il 16 per cento dei 736,5 milioni di sterline (circa 860 milioni di euro) che le etichette discografiche del Regno Unito guadagnano dallo streaming.
Secondo i dati riportati dal report conclusivo dell’inchiesta, Spotify paga tra 0,002 e 0,0038 sterline per streaming, Apple Music circa 0,0059 sterline, mentre YouTube 0,00052 sterline. Questi proventi vanno ai titolari dei diritti, un termine che comprende le case discografiche, gli artisti e i produttori. L’autopromozione o la pubblicazione con etichette indipendenti garantisce ai cantautori maggiori guadagni, ma sempre piuttosto bassi: secondo un sondaggio realizzato da Ivors Academy, un’associazione di musicisti, nel 2019 il 49,8 per cento degli artisti non ha guadagnato nulla, il 17,4 per cento meno di cento sterline (116 euro), il 17,8 per cento tra cento e mille sterline (1165 euro) e il 9 per cento più di mille sterline.
Tra i tanti musicisti che hanno testimoniato alla commissione c’è anche Nile Rodgers, chitarrista degli Chic e celebre produttore. Rodgers ha spiegato che per gli artisti non c’è modo di scoprire con precisione quanto vale uno stream del loro lavoro e questo non consente di avere un buon rapporto con le piattaforme che diffondono le canzoni. La cantautrice Nadine Shah ha detto ai parlamentari di essere stata costretta a tornare a vivere con i suoi genitori perché i guadagni delle sue canzoni in streaming non erano sufficienti a garantirle indipendenza economica.
BPI, la British Phonographic Industry, un’associazione che rappresenta le case discografiche del Regno Unito, ha cercato di sottolineare che lo streaming ha consentito alla discografia di contrastare i download illegali e in questo modo molti artisti sono riusciti a entrare in un mercato che fino a pochi anni fa era in gravi difficoltà economiche.
Durante le loro audizioni, tutti i rappresentanti delle case discografiche hanno spiegato che riformare le attuali regole potrebbe compromettere i nuovi investimenti e che lo streaming non può essere paragonabile alle norme previste nelle radio, dove le royalty vengono divise esattamente a metà. «Lo streaming è attivo 24 ore su 24, sette giorni su sette, in ogni paese del mondo puoi ascoltare il più grande negozio di dischi di sempre: è chiaramente un tipo di vendita. Non è radio, è on demand», ha detto David Joseph, amministratore delegato di Universal Music.
Nel loro rapporto conclusivo, i parlamentari non hanno negato l’importanza dello streaming, che secondo loro ha indubbiamente aiutato «a salvare l’industria musicale» dalla pirateria, ma a causa delle attuali regole non consente di salvare tutti gli artisti. Per questo la commissione ha raccomandato al governo di approvare una legge per garantire un equo compenso agli artisti per equiparare le royalty di cantanti e autori a quelli delle case discografiche.
Tra le altre cose, le raccomandazioni includono anche la possibilità per gli artisti di reclamare i diritti sul loro lavoro dalle case discografiche dopo un determinato periodo di tempo; il diritto di un adeguamento del contratto se le loro canzoni hanno un successo superiore a quello preventivato; l’istituzione di un codice di condotta per i creatori di playlist con l’obiettivo di limitare pagamenti illegali e favoritismi. Infine è stato chiesto a Warner e Universal Music di cancellare i debiti storici degli artisti, così come ha fatto la Sony.
Musicians’ Union, un sindacato che rappresenta oltre trentamila musicisti, ha definito il rapporto “rivoluzionario” perché identifica con precisione i problemi e propone soluzioni realizzabili, senza alcun costo per i contribuenti inglesi. Il governo britannico ora ha due mesi per rispondere al rapporto della commissione.