I problemi dei controlli antidoping prima di Tokyo 2020
La pandemia ha rallentato anche i test, ma ci sono problemi che vengono da più lontano
di Giulia Baruzzo
Nelle settimane che hanno preceduto le Olimpiadi di Tokyo 2020 ci sono stati molti problemi legati ai test antidoping. Hanno riguardato il basso numero di campioni collezionati, inferiore rispetto alle previsioni anche a causa della pandemia, analisi poco accurate e le difficoltà incontrate dall’organizzazione, che non è riuscita a sorvegliare a sufficienza le agenzie antidoping nazionali. La situazione ha evidenziato le carenze di un sistema imperfetto, già causa di scandali alle precedenti Olimpiadi.
La WADA (World Anti-Doping Agency) e l’ITA (International Testing Agency) sono gli enti di riferimento internazionali per i test antidoping, fondati per garantire la trasparenza nelle competizioni sportive e impedire l’uso da parte degli atleti di sostanze non consentite. La prima è un’organizzazione che si occupa della regolamentazione dei test. La sua istituzione fu fortemente voluta dal Comitato Olimpico Internazionale e dagli stessi atleti dopo le Olimpiadi di Atlanta 1996. Era un periodo in cui le sostanze dopanti, come gli steroidi, avevano una larghissima diffusione in alcune specialità, causando risultati sportivi irraggiungibili per gli atleti che invece non ne facevano uso. A oggi l’agenzia si occupa di definire le sostanze proibite, gli standard per le analisi e di coordinare i controlli antidoping a livello mondiale: le verifiche sono infatti effettuate in autonomia dai singoli paesi e poi inviate alla WADA per essere visionate.
In seguito allo scandalo sul doping della Russia alle Olimpiadi di Rio del 2016, che mise in evidenza i limiti di troppa delega alle federazioni nazionali da parte della WADA, fu istituita l’ITA, un’organizzazione sovranazionale che effettua le analisi per i paesi e le federazioni sportive che ne richiedano i servizi. Benché negli anni questa associazione abbia contribuito a rendere più efficienti i controlli, molti problemi sono rimasti irrisolti. I paesi non sono del resto obbligati a richiedere l’intervento dell’ITA per effettuare i test, ma possono avvalersi di qualsiasi laboratorio che rispetti gli standard richiesti dalla WADA.
Alle scorse Olimpiadi parteciparono molti atleti senza avere effettuato nemmeno un controllo, vi furono problemi tecnici con il laboratorio responsabile delle analisi, poi chiuso dalla WADA una settimana prima dell’inizio dei giochi poiché non rispettava gli standard qualitativi internazionali, e vi fu lo scandalo di manomissione dei dati consegnati dalla Russia. Considerando le grandi difficoltà riscontrate a Rio nel 2016 la WADA avviò il programma WADA Speak up! in cui invitava gli stessi atleti e organizzatori a denunciare, in forma anonima, eventuali irregolarità. Inoltre, l’agenzia approvò un piano quinquennale da attuare tra il 2020 e il 2024 con lo scopo di migliorare i livelli di trasparenza ed efficienza nei test antidoping. Nel piano fu individuato come obiettivo l’aumento del numero di verifiche a livello locale, tramite programmi di controllo specifici per ogni paese. Il piano permise anche che i paesi collaborassero per migliorare i propri sistemi di analisi e per armonizzare i processi.
Nell’ultimo anno e mezzo i propositi di rinnovamento si sono però scontrati con l’improvvisa realtà della pandemia. A causa del blocco delle competizioni, per le organizzazioni antidoping è stato impossibile prelevare fisicamente i campioni e fare i controlli richiesti dalle nuove linee guida. Ad aprile 2020 è stato raccolto circa il 3% dei campioni rispetto a quanti ne erano stati ottenuti nello stesso periodo del 2019. Dato che è poi risalito a partire da gennaio 2021 grazie alle campagne di raccolta al di fuori delle competizioni ufficiali.
Per i sei mesi che hanno preceduto le Olimpiadi di Tokyo 2020 il comitato tecnico dell’ITA ha richiesto 26mila test da effettuare in tutte e 33 le discipline olimpiche, controllo che supera largamente quelli delle precedenti Olimpiadi in cui, a un mese dall’inizio dei giochi, erano stati richiesti solo 1.500 test per 7 discipline. Ai paesi partecipanti è stato richiesto di presentare i risultati dei test per una revisione e un’eventuale ripetizione degli esami, lavoro garantito grazie alla collaborazione con diversi laboratori locali responsabili di effettuare i tamponi all’interno del villaggio olimpico. Il Comitato Olimpico, inoltre, ha permesso ai comitati antidoping di mantenere i propri team di professionisti quasi al completo nonostante la scelta di ridurre al minimo il numero del personale per questioni di sicurezza sanitaria.
Secondo il direttore generale dell’ITA, Benjamin Cohen, il sistema antidoping continua a essere sbilanciato nella raccolta dei campioni tra federazione più efficienti e altre meno adeguate, mentre per il presidente della WADA, Witold Bańka, il maggior numero di test eseguiti ha permesso di recuperare e migliorare i controlli. Al di là delle difficoltà, sarà possibile valutare se ci sia stato o meno un miglioramento della gestione antidoping quando la WADA pubblicherà un nuovo atteso rapporto.
Questo e gli altri articoli della sezione Intorno alle Olimpiadi sono un progetto del workshop di giornalismo 2021 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.