La pandemia in Giappone, dall’inizio fino alle Olimpiadi
Le restrizioni hanno contenuto i contagi anche dopo la diffusione delle varianti, ma l’ultima ondata ha spinto il paese ad accelerare la campagna vaccinale
di Domenico Maria Pellecchia
Il 6 luglio, a due settimane dall’inizio delle Olimpiadi, il governo giapponese ha dichiarato un nuovo stato di emergenza per l’area metropolitana di Tokyo che resterà in vigore fino al 22 agosto, con limitazioni per ridurre la diffusione dei contagi da coronavirus: tra cui la decisione di non ammettere il pubblico alle competizioni delle Olimpiadi stesse. Nell’ultima settimana in tutto il paese sono stati rilevati oltre 18mila nuovi casi positivi e quasi 100 morti; il numero di contagi totali dall’inizio della pandemia è di circa 850mila.
Dopo aver rinviato le Olimpiadi del 2020 e avere discusso a lungo sull’opportunità di tenere i Giochi quest’anno, il governo e gli organizzatori hanno infine concordato restrizioni più severe rispetto ad altre rassegne sportive. I motivi della scelta riguardano la situazione epidemiologica: ad aprile il Giappone aveva dovuto affrontare la quarta ondata di contagi e fino ad allora la campagna vaccinale era proceduta a rilento.
Dall’inizio della pandemia, nel paese si sono verificate quattro diverse ondate. Mentre le prime erano state relativamente contenute – se confrontate con i numeri di quelle europee – le ultime due hanno avuto invece un impatto maggiore.
(Grafico dell’andamento cumulato dei nuovi contagi giornalieri per 1 milione di persone)
Nel corso della prima ondata, nel giro di pochi giorni – fra il 16 e il 31 gennaio del 2020 – sette prefetture avevano confermato i primi casi di contagio. Nell’area metropolitana di Tokyo il primo caso di infezione era stato confermato il 24 gennaio. Il Giappone inizialmente era riuscito a contenere i contagi anche grazie ad alcune misure restrittive introdotte più rapidamente rispetto ad altri paesi, garantendo una migliore gestione della situazione.
Il governo giapponese aveva scelto di non utilizzare i lockdown come misura di contrasto, ma aveva limitato l’accesso ai luoghi chiusi o affollati, e aveva introdotto l’obbligo di utilizzo delle mascherine in alcune circostanze, il distanziamento fisico e la chiusura delle scuole. Durante le prima ondata l’incidenza dei nuovi casi era quasi sempre rimasta inferiore a quella delle zone più colpite in Europa e nel mondo. Inoltre, nel 2020 il numero di morti nel Paese era stato addirittura minore rispetto all’anno precedente per la prima volta in più di un decennio. La rapidità e l’organizzazione delle misure di contrasto avevano anche dovuto tenere conto dell’età media della popolazione giapponese, una delle più vecchie al mondo e quindi a maggior rischio di sviluppare sintomi gravi da COVID-19.
Fra giugno e settembre del 2020, quando nel Paese si era manifestata una seconda ondata, le cose erano andate più o meno allo stesso modo: l’andamento dell’epidemia aveva fatto registrare in media un’incidenza di mille nuovi casi giornalieri, arrivando al picco di 1.380 il 9 agosto. Anche in questo caso, le misure restrittive in vigore avevano funzionato.
In quel periodo varie testate internazionali si erano interrogate sul motivo per cui i numeri giapponesi fossero così bassi in confronto all’età della popolazione: ad aprile dell’anno scorso BBC News aveva scritto che il motivo era essenzialmente riconducibile al fatto che il Giappone testasse solamente le persone con sintomi simili a quelli influenzali e con necessità di cure ospedaliere.
Un secondo motivo, che potrebbe spiegare in parte i numeri del Giappone è invece la propensione da diversi anni all’utilizzo delle mascherine nei luoghi chiusi e affollati, come i mezzi di trasporto pubblici. Il governo aveva disposto da subito di una grande quantità di questi dispositivi di protezione, e inoltre aveva tempestivamente agito con campagne di comunicazione invitando a evitare i luoghi affollati o chiusi. Nel corso della pandemia erano poi stati pubblicati alcuni studi relativi in modo più generico all’Asia nei quali si citavano ipotesi sulla minore abitudine alla vicinanza fisica e la maggiore disposizione all’obbedienza alle regole.
Le cose erano cambiate già da gennaio di quest’anno, quando le nuove varianti del coronavirus avevano iniziato ad affermarsi prima in Europa e poi nel resto del mondo. I picchi della terza e della quarta ondata avevano fatto registrare in media circa 6.500 nuovi casi giornalieri, mentre in quelle precedenti la media era rimasta sotto i 2.000 casi.
(Casi confermati di COVID-19 cumulati in Giappone, Spagna, Francia, Italia, Germania e Regno Unito)
Il 13 gennaio, nel pieno della terza ondata, lo stato di emergenza è stato esteso per la prima volta fuori dall’area metropolitana di Tokyo, in varie grandi città comprese Kyoto, Osaka e Fukuoka. Durante questa nuova ondata i contagi si sono diffusi più velocemente rispetto alle precedenti: fra le varianti e un piano vaccinale lento – nel Paese l’unico vaccino autorizzato era stato quello prodotto da Pfizer-BionTech – la situazione era peggiorata.
La svolta della campagna di vaccinazione è iniziata il 21 maggio, nel corso della quarta ondata, quando nel Paese sono stati autorizzati anche i vaccini di AstraZeneca – che ha subito le stesse difficoltà riscontrate in Europa – e di Moderna. Nel Paese al momento il 32% della popolazione è vaccinato con una sola dose, mentre il 20 per cento ha completato il ciclo vaccinale.
La decisione di confermare le Olimpiadi, insieme all’andamento dei contagi nel corso della quarta ondata, ha probabilmente influito sull’autorizzazione dei vaccini AstraZeneca e Moderna. Da qualche mese il governo giapponese ha dovuto affrontare polemiche e proteste da parte della popolazione, poco convinta dall’opportunità di tenere ugualmente le Olimpiadi durante una nuova ondata.
Sebbene a giugno sia stato esteso per la quarta volta lo stato di emergenza sull’area metropolitana di Tokyo, alcuni residenti delle altre città in cui si terranno le gare potranno invece assistere agli eventi dal vivo, secondo i limiti dati dalle restrizioni. Le gare a cui potrà assistere il pubblico sono comunque poche e comprenderanno le partite di baseball e di calcio. Il limite di spettatori negli stadi è il 50% della capienza originale e in ogni caso non si potranno superare le 10.000 persone. Gli spettatori dovranno comunque osservare le norme di prevenzione – mascherine, distanziamento e igienizzazione delle mani – mentre parteciperanno agli eventi.
Gli organizzatori hanno detto che almeno l’80% degli atleti partecipanti è completamente vaccinato mentre i collaboratori e in generale tutti quelli che lavoreranno per le squadre olimpiche in Giappone lo saranno a breve. È stata creata poi una serie di regole di comportamento per le squadre di atleti per prevenire la diffusione del virus: le delegazioni si muoveranno poco e quasi soltanto per partecipare alle gare, e la violazione di queste regole potrebbe portare alla squalifica. Inoltre, gli atleti saranno sottoposti periodicamente a tamponi per verificare la presenza di eventuali infezioni.
Questo e gli altri articoli della sezione Intorno alle Olimpiadi sono un progetto del workshop di giornalismo 2021 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.