Ci sarà più libertà di protestare alle Olimpiadi di Tokyo
Dopo anni di richieste, il Comitato olimpico ha approvato una riforma che permetterà agli atleti di esprimersi più liberamente, in spazi e tempi definiti
di Giulia Napolitano
Le Olimpiadi di Tokyo saranno storiche non solo per la eccezionalità delle misure prese sul piano organizzativo a causa della pandemia, ma anche per le novità sul fronte della libertà di espressione concessa agli atleti. A inizio luglio, dopo anni di restrizioni, il Comitato olimpico internazionale (CIO) ha finalmente approvato una serie di raccomandazioni che daranno la possibilità ai partecipanti ai Giochi di prendere posizione su questioni politico-sociali in determinate circostanze. La decisione, che mostra un cambiamento radicale nelle politiche interne del comitato, ha accolto però solo in parte le rivendicazioni degli atleti che chiedevano di potersi esprimere liberamente e in tutte le sedi.
Prima della pubblicazione delle nuove linee guida, l’articolo 50 del regolamento olimpico su «pubblicità, manifestazione e propaganda» vietava agli atleti «ogni tipo di manifestazione o dichiarazione politica, religiosa o su temi razziali» nei luoghi in cui si sarebbe tenuta la competizione, e nell’area olimpica in generale. Grazie al lavoro di mediazione svolto dalla Commissione atleti – l’organo che coordina i comitati atleti dei singoli stati – a partire da questa edizione sarà invece consentito esprimere messaggi politici o esporsi su alcune tematiche più sensibili, ma solo in alcune sedi: durante le interviste, sui social network, e nelle cosiddette “zone miste”, le aree in cui gli atleti fanno dichiarazioni dopo le gare, ma non nelle zone dove si svolge la competizione né durante le cerimonie di premiazione.
L’obiettivo resta quello di conservare il principio della neutralità dello sport che aveva portato all’adozione dell’articolo 50. «Il podio e le premiazioni non sono fatte per tenere manifestazioni politiche o di altro tipo. Sono fatti per onorare gli atleti e i vincitori di medaglie per risultati sportivi e non per le loro opinioni», ha detto Thomas Bach, presidente del Comitato olimpico internazionale ed ex campione tedesco di scherma, invitando gli atleti a evitare dichiarazioni «divisive».
Come si legge nel documento redatto dalla Commissione atleti e pubblicato ad aprile 2021, le nuove raccomandazioni sottoposte all’approvazione del Comitato olimpico internazionale sono il risultato di un processo di consultazione, avviato nel giugno 2020, che ha coinvolto 3500 atleti di 185 comitati olimpici e di tutti e 41 gli sport in gara.
Pur ribadendo la necessità di non spostare l’attenzione dalle prestazioni degli atleti e di non interferire con lo svolgimento delle competizioni, la consultazione ha fatto emergere da parte dei comitati l’esigenza, sempre più insistente, di ampliare i margini concessi agli atleti per quanto riguarda la libertà di espressione. Damien Warner, atleta canadese, vincitore di una medaglia di bronzo olimpica nel 2016, ha detto, commentando le regole delle precedenti edizioni: «Se c’è qualcosa che gli atleti pensano, devono avere il diritto di dirla. Il Comitato olimpico è dalla parte sbagliata della storia».
Al di là delle istanze portate avanti sotto il coordinamento della Commissione atleti, alcuni comitati nazionali hanno intrapreso anche iniziative autonome allo scopo di esercitare pressione sul Comitato organizzatore dei Giochi. Il Comitato olimpico statunitense ha per esempio inviato una lettera al CIO per chiedere l’abolizione dell’articolo 50. Tra i firmatari della nota c’era anche John Carlos, ex velocista statunitense, autore di uno dei gesti di protesta più famosi nella storia dei Giochi. Alle Olimpiadi di Città del Messico del 1968, durante la premiazione della gara dei 200 metri, insieme al connazionale Tommie Smith, alzò il pugno in segno di protesta contro le discriminazioni razziali negli Stati Uniti.
Nonostante la Carta olimpica proibisca in maniera esplicita gesti di protesta, è capitato ancora negli ultimi anni che in competizioni sportive importanti alcuni atleti abbiano scelto di esporsi e manifestare pubblicamente il proprio sostegno a campagne e movimenti di protesta.
Durante i Giochi panamericani in Perù del 2019, Gwen Berry – medaglia d’oro nel lancio del martello – alzò il pugno nei secondi finali dell’inno statunitense, imitando il gesto compiuto 51 anni prima da Carlos e Smith. Per aver infranto le regole del Comitato olimpico e paralimpico degli Stati Uniti (USOPC), Berry fu sottoposta a un periodo di sospensione e perse l’appoggio di alcuni sponsor. Durante le gara di qualificazione alle Olimpiadi, tenute a giugno, Berry ha poi sventolato sul podio una maglia con la scritta “atleta attivista”.
Nell’ultimo anno, le richieste di intervenire sull’articolo 50 si sono intensificate a seguito delle proteste e della mobilitazione iniziate dopo l’omicidio di George Floyd, l’uomo afroamericano che nel maggio 2020 è stato ucciso a Minneapolis da un agente di polizia. Da allora i movimenti a tutela dei diritti delle minoranze e attenti alle questioni di genere hanno raccolto sempre più consensi anche all’interno della comunità sportiva.
Sempre più atleti hanno scelto di sfruttare la visibilità data da grandi eventi sportivi per manifestare pubblicamente, tramite gesti o esponendo simboli, il proprio sostegno a determinate cause. Per esempio, dopo aver boicottato il torneo di Cincinnati in segno di protesta contro la brutalità della polizia, la tennista Naomi Osaka, una delle più forti al mondo, ha indossato per ogni gara degli US Open una mascherina con il nome di un afroamericano ucciso dalla polizia.
Nell’agosto 2019, durante la cerimonia di premiazione del fioretto a squadre sempre in occasione dei Giochi panamericani, lo schermidore statunitense Race Imboden si era invece inginocchiato in segno di protesta contro il razzismo (gesto che si è diffuso molto nelle competizioni sportive dal 2016, quando fu introdotto dal giocatore di football americano Colin Kaepernick) e contro l’assenza di leggi che limitano la vendita di armi, tra le altre cose.
Ci sono comunque alcuni aspetti ancora poco chiari sulle nuove regole approvate dal Comitato olimpico internazionale in merito alla libertà di espressione per gli atleti.
Per esempio, non si sa ancora se sarà consentito inginocchiarsi in sostegno al movimento Black Lives Matter, visto che l’ultimo comma del regolamento ammette la possibilità per gli atleti di «esprimere opinioni prima dell’inizio della gara». Inoltre non è chiaro cosa succederà agli atleti che violeranno le regole. Il Comitato olimpico internazionale ha detto che le sanzioni saranno valutate caso per caso, anche se funzionari del Comitato citati dal Financial Times hanno sostenuto che sarà impossibile nei fatti applicare le limitazioni alle eventuali proteste.
Questo e gli altri articoli della sezione Intorno alle Olimpiadi sono un progetto del workshop di giornalismo 2021 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.