In Giappone si discute di sessismo
Uno scandalo che ha coinvolto l’ex presidente del Comitato organizzatore delle Olimpiadi ha avviato un dibattito nuovo sul ruolo delle donne nella società giapponese
di Enrico Chen
Il 18 febbraio, il Comitato organizzatore delle Olimpiadi di Tokyo ha nominato come sua nuova presidente una donna, Seiko Hashimoto. L’ex presidente Yoshiro Mori aveva dato le sue dimissioni in seguito alle critiche ricevute dopo aver fatto alcuni commenti sessisti durante un incontro online tra il comitato organizzatore dei Giochi e il Comitato olimpico giapponese. Lo scandalo è stato l’ennesimo caso di sessismo che ha coinvolto politici, uomini d’affari e celebrità giapponesi, e il simbolo di una cultura maschilista e patriarcale che è ancora molto diffusa nel paese. Però, a differenza del passato, sembra che qualcosa stia cambiando: per sostituire Mori è stata nominata Hashimoto. Non soltanto è stata scelta una donna, ma è iniziato anche un ampio dibattito che in passato non si sarebbe sviluppato.
Lo scandalo era iniziato il 3 febbraio quando Mori, che era stato anche primo ministro in Giappone tra il 2000 e il 2001, aveva fatto delle affermazioni per cui era stato molto criticato: aveva infatti commentato la proposta del Comitato organizzatore dei Giochi di includere più donne nel Comitato stesso (passando dal 20 per cento attuale al 40 per cento) sostenendo che le donne parlassero troppo e che, per il loro «forte senso di rivalità, se una alza la mano per parlare poi anche tutte le altre vorranno parlare». Aveva aggiunto che «se si aumenta il numero di donne, poi bisognerà limitare in qualche modo il tempo in cui possono parlare, altrimenti non si fermeranno mai, che è un problema».
Dopo le critiche ricevute, specialmente provenienti da account giapponesi su Twitter con l’hashtag “Mori, dimettiti”, Mori si era scusato definendo «inappropriati» i suoi commenti, rifiutando però di dimettersi. Alcune delle maggiori critiche erano arrivate dall’estero, con una parte conservatrice della società giapponese che invece lo aveva difeso. In Giappone i social network erano stati i mezzi principali per criticare Mori, soprattutto tra i giovani. «Non ho mai visto così tanto movimento per l’uguaglianza di genere, da tanto tempo» aveva detto Kikuko Okajima, presidente di una squadra di calcio femminile.
Alcuni osservatori si sono chiesti se la scelta di una donna come Hashimoto per sostituire Mori sia stata solo una decisione presa a causa delle forti critiche subite dal Comitato. E c’è qualche motivo per crederlo.
Secondo un rapporto del World Economic Forum del 2021 sul divario di genere, il Giappone è 120esimo su 156 paesi, ed è quello messo peggio fra tutti i paesi sviluppati. È tra i peggiori nella classifica che riguarda l’inclusione delle donne nella politica: le donne nel parlamento giapponese sono infatti a malapena il 10% del totale (per fare un confronto, in Italia sono all’incirca il 35%).
Attualmente ci sono solo due donne tra i 21 ministri che compongono il governo giapponese. In più, il divario salariale tra gli uomini e le donne è il secondo più ampio tra i paesi dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), dopo quello della Corea del Sud. Infatti, il reddito delle donne in Giappone in media è circa la metà di quello degli uomini.
Dietro a queste disuguaglianze ci sono varie ragioni culturali e sociali. Dopo la Seconda guerra mondiale, fu molto incoraggiata la figura del marito lavoratore, che dedica la sua vita all’azienda, e quella della moglie casalinga. Ciò ha portato la società giapponese a considerare molto più a lungo che altrove i lavori domestici e il crescere i figli la principale responsabilità per le donne, e ad adeguare in ritardo questi aspetti ai suoi maggiori progressi in altri campi.
Hiroka Shoki, ricercatrice giapponese ad Amnesty International, ha raccontato la sua esperienza dicendo che «partorire e crescere i bambini è ancora considerato il maggiore contributo che una donna può dare alla società giapponese». Shoki ha aggiunto che «questa visione è ancora molto radicata». In Giappone il tempo che le donne dedicano ai lavori domestici, non retribuiti, è quadruplo rispetto a quello degli uomini. Le donne hanno quindi meno ore per lavorare, il che non permette loro di progredire nella carriera, mentre per gli uomini è socialmente accettato lavorare per molte ore anche a discapito alcune volte della propria salute.
Le morti per il “troppo lavoro” sono diventate così tante – ogni anno circa 400 – che è stata coniata la parola giapponese “karoshi” (in italiano “morte per troppo lavoro”). Come ha scritto il Japan Times, in Giappone le donne nei ruoli di potere sono viste male e sono spesso giudicate incapaci di lavorare correttamente.
Secondo uno studio di Kantar del 2018, solo il 24% delle persone si sentirebbe a proprio agio ad avere una donna come dirigente di una grande azienda.
In passato, parte del motivo per cui commenti sessisti come quelli di Mori rimanevano impuniti era la scarsa disposizione dei giapponesi a entrare in conflitto gli uni con gli altri. In generale, ancora oggi, le persone evitano di litigare o controbattere se questo genera un disaccordo con l’interlocutore, specialmente con qualcuno più anziano. Facendolo, si potrebbe essere giudicati maleducati ed egoisti. È il concetto giapponese di capire che “aria tira” (in giapponese “kuuki o yomu”): in altre parole, capire la situazione e comportarsi nella maniera più adeguata. Molti scelgono quindi di non affrontare i problemi, in modo che la situazione non diventi “imbarazzante”. Parliamo di atteggiamenti culturali diffusi e prevalenti, naturalmente, anche se non assoluti e universali.
Questo ha permesso in passato di considerare in un certo senso accettabili commenti sessisti come quello di Mori. «Un tempo [Mori] sarebbe stato a malapena criticato, e poi il problema sarebbe finito» ha detto Kazuyo Katsuma, autrice di libri di successo sul genere e sull’equilibrio tra la vita e il lavoro.
La nomina di Hashimoto viene considerata da molti come un piccolo passo per il superamento della disuguaglianza di genere ancora molto diffusa in Giappone, ma secondo Momoko Nojo, presidente di un’associazione chiamata “No Youth No Japan”, le dimissioni di Mori non hanno davvero contribuito al superamento del problema. Momoko Nojo ha detto che «alcune aziende che avevano criticato i commenti di Mori hanno meno dell’1% di donne nei loro consigli di amministrazione, e che questo dovrebbe cambiare».
Il Giappone ha tentato di ridurre il divario di genere nell’ultimo decennio: nel 2013, l’ex primo ministro Shinzo Abe aveva promesso di creare «una società in cui le donne possono splendere» e dove il 30% dei ruoli di potere avrebbero dovuto essere occupati da donne entro il 2020. Nel 2015 Abe aveva ridimensionato i suoi obiettivi, e dopo anni il Giappone è ancora lontano dal raggiungere questi risultati.
Solo pochi giorni dopo le dimissioni di Mori, Toshihiro Nikai, che è segretario generale del Partito Liberal Democratico al governo, aveva dato il permesso alle deputate donne di partecipare agli incontri di partito di soli uomini, ma senza il diritto di parola: a dimostrazione dalla ancora scarsissima volontà del governo giapponese di contrastare questo problema.
Questo e gli altri articoli della sezione Intorno alle Olimpiadi sono un progetto del workshop di giornalismo 2021 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.