Sono state sospese le ricerche di Saman Abbas
Dopo due mesi e mezzo gli investigatori hanno interrotto la ricerca della ragazza pakistana scomparsa in circostanze sospette vicino a Reggio Emilia
Dopo 70 giorni sono state ufficialmente sospese le ricerche di Saman Abbas, la ragazza pakistana scomparsa da casa, a Novellara, a poco più di venti chilometri da Reggio Emilia. Le ricerche dei carabinieri per quasi due mesi e mezzo si erano concentrate su circa 20 ettari di terreno dell’azienda agricola di Ivan Bartoli dove il padre di Saman, Shamar Abbas, lavorava e viveva con la famiglia: oltre a Saman Abbas, il fratello più piccolo e la madre, Nazia Shaheen.
In quel terreno, dove sono state ispezionate 178 serre, i carabinieri hanno cercato il corpo di Saman Abbas: l’ipotesi degli investigatori è infatti che la ragazza sia stata uccisa perché rifiutava il matrimonio combinato con un cugino che vive in Pakistan e che, nonostante le pressioni e le minacce, continuasse invece a vedersi con Saqib Ayub, un ragazzo ventunenne, anche lui pakistano, che abita nel Lazio e che Saman Abbas aveva conosciuto attraverso TikTok.
Le ricerche nei campi di Novellara sono state realizzate con il georadar, uno strumento che utilizza onde radio inviate nel terreno per individuare eventuali strutture sepolte. Ma anche e soprattutto con l’utilizzo dei cani Bloodhound, quelli che comunemente vengono chiamati “cani molecolari” con un fiuto più sviluppato rispetto ad altri e maggiormente in grado di individuare eventuali molecole organiche. Sono stati utilizzati cani della polizia tedesca e della Detection Dogs Ticino, più adatti di quelli italiani perché addestrati con resti umani, tecnica proibita in Italia.
Anche se le ricerche nell’area sono state sospese, i carabinieri sono tuttora convinti che il corpo di Saman Abbas sia stato sepolto in quella zona. Ciò che stanno aspettando, dicono, sono indicazioni che possano arrivare dall’incidente probatorio del 23 luglio quando, al Tribunale di Reggio Emilia, verrà “cristallizzata” la deposizione del fidanzato di Saman Abbas che andrà quindi a formare una prova già in fase di indagini preliminari, da utilizzare poi in un’eventuale fase processuale. Sperano anche che i mandati di cattura internazionali, emessi nei confronti dei parenti di Saman Abbas, che si trovano in Pakistan, diano presto risultati.
Secondo la ricostruzione degli investigatori, la ragazza si scontrava spesso con i genitori che le permettevano raramente di uscire di casa e le impedivano persino di andare a scuola. Soprattutto, si opponeva a un matrimonio combinato dalla famiglia con un cugino in Pakistan. Per questo nel novembre del 2020 aveva denunciato i genitori ed era stata affidata a una comunità nel bolognese. Da quella struttura era andata via quattro volte (essendo maggiorenne poteva allontanarsi liberamente nonostante l’opposizione della struttura) per vedersi con il fidanzato. I due si erano incontrati tre volte a Bologna mentre nell’ultima occasione si erano visti a Roma, per nove giorni. In quella circostanza, secondo le indagini, avevano ordinato online un vestito da sposa.
L’11 aprile Saman Abbas aveva lasciato per l’ultima volta la comunità nel bolognese ed era tornata a casa.
I dirigenti della struttura segnalarono il suo allontanamento ai carabinieri, che il 22 aprile raggiunsero la casa degli Abbas. Un maresciallo con una scusa si allontanò con la ragazza e le propose di tornare in comunità mentre nel frattempo avrebbe tentato di recuperare il passaporto sequestrato dal padre. Il problema era che per i servizi sociali di Novellara la ragazza non sarebbe potuta tornare nella comunità nel bolognese, ma avrebbe dovuto raggiungere una struttura più lontana, in un’altra parte d’Italia e quindi essere messa maggiormente al sicuro. Serviva però qualche giorno per mettere a punto il trasferimento.
Quando i carabinieri tornarono il 5 maggio, nella casa della famiglia Abbas non era più rimasto nessuno. Dei genitori si seppe subito che erano tornati in Pakistan, lasciando però in Italia il figlio piccolo rimasto alcuni giorni con lo zio, Danish Hasnain, poi allontanatosi dall’Italia. Secondo la ricostruzione degli investigatori, sarebbe stato proprio lo zio assieme ai cugini Nomanulhaq Nomanulhaq e Ikram Ijaz a uccidere Saman e poi a seppellirla. Il fratellino, ora affidato a una casa famiglia, avrebbe sentito lo zio dire ai genitori: «Ci penso io». In una chat poi lo stesso zio avrebbe scritto a un conoscente: «Abbiamo fatto un buon lavoro».
I carabinieri, dopo la scomparsa della ragazza, hanno recuperato il video di una telecamera di sorveglianza che mostra tre uomini dirigersi verso campi sul retro dell’abitazione degli Abbas attorno alle 19.15 del 29 aprile. Uno di loro aveva in mano una pala. Un altro video, del giorno dopo, mostra Saman Abbas e i genitori che si avviano verso i campi che portano a un vialetto dietro casa. Poi i genitori ritornano ma senza la ragazza.
Nei confronti di Shabbar Abbas e Nazia Shaheen, genitori di Saman, la Procura di Reggio Emilia ha inoltrato la richiesta di rogatoria al Pakistan per il mandato di cattura internazionale. Mandati di cattura internazionali sono stati emessi nei confronti dello zio di Saman Abbas e del cugino Nomanulhaq Nomanulhaq; l’altro cugino, Ikram Ijaz, è stato arrestato in Francia mentre tentava di raggiungere la Spagna e si trova ora nel carcere di Reggio Emilia. Nega qualsiasi responsabilità nella scomparsa della ragazza. Per lui è stata respinta pochi giorni fa una richiesta di scarcerazione. Per i genitori, lo zio (ritenuto esecutore materiale) e i cugini le ipotesi di reato sono di omicidio premeditato, sequestro di persona e occultamento di cadavere.
Chi continua a sostenere che la ragazza possa essere viva è il fidanzato, Saqib Ayub. Ha detto in un’intervista a La Stampa: «Ne sono sicuro. I carabinieri hanno fatto il massimo per cercare di trovarla, se l’avessero uccisa e avessero nascosto il cadavere l’avrebbero già trovato».
Durante l’incidente probatorio del 23 luglio, Saqib Ayub potrebbe raccontare anche delle minacce che il padre di Saman Abbas fece alla sua famiglia. Al riguardo Ayub ha detto: «Andò nel Punjab dove vive la mia famiglia dicendo ai miei parenti più stretti che dovevo lasciarla, altrimenti avrebbe ucciso loro in Pakistan e me in Italia, perché sapevano dove abitavo. Aveva con sé altri parenti, erano in sei auto. Mostrò anche un Kalashnikov. A un certo momento hanno anche cercato di ingannarci, raccontandoci che lei poteva tornare in Pakistan dove io avrei potuto raggiungerla, ma era solo un trucco per farla sposare con suo cugino».