I licenziamenti di massa dopo lo sblocco deciso dal governo
Dopo mesi in cui non potevano farlo, ora diverse multinazionali hanno annunciato la chiusura licenziando centinaia di lavoratori
Da giovedì primo luglio, per il settore dell’industria e delle costruzioni, è scaduto il divieto di licenziare per motivi economici: il blocco dei licenziamenti era stato introdotto all’inizio della pandemia per evitare che migliaia di persone rimanessero senza lavoro e retribuzione per via della crisi economica. In vista dello sblocco, la sera del 29 giugno a palazzo Chigi era stato condiviso un accordo tra sindacati confederali e Confindustria, firmato anche dal presidente del Consiglio Mario Draghi e dal ministro del Lavoro Andrea Orlando, che impegnava le aziende a esaurire tutti gli ammortizzatori sociali a disposizione prima di procedere alla risoluzione dei rapporti di lavoro.
Ma l’accordo è già stato disatteso, perché nelle ultime due settimane, almeno tre multinazionali stanno procedendo con il licenziamento collettivo di centinaia di persone, senza sfruttare gli strumenti noti come ammortizzatori sociali. Il piano del governo di provare a seguire con singoli accordi ciascun caso non sembra funzionare.
Nel tardo pomeriggio di venerdì 2 luglio, finito l’ultimo turno di lavoro, i dipendenti della Gianetti Ruote di Ceriano Laghetto, in Brianza, hanno ricevuto senza preavviso una mail con oggetto «chiusura dello stabilimento» e l’annuncio dell’avvio della procedura di licenziamento collettivo per tutti i 152 dipendenti, con effetto immediato. La Gianetti Ruote, che produce componenti per Harley-Davidson, Volvo e Iveco, esisteva dal 1880, aveva cambiato diverse volte proprietà e appartiene ora a un fondo tedesco, Quantum capital partners.
I lavoratori e le lavoratrici sono in presidio permanente fuori dai cancelli della fabbrica da sabato 3 luglio, ma il recente incontro tra azienda e sindacati non ha cambiato la situazione: l’azienda ha negato qualsiasi possibilità di ripartire con la produzione, anche parziale, in attesa di un eventuale acquirente.
(Testimonianze di lavoratori e sindacalisti
in presidio alla Gianetti Ruote)
Il 9 luglio sono stati licenziati i 442 lavoratori della Gkn Driveline di Campi Bisenzio, Firenze. Nel 2018, la fabbrica di componenti per auto era stata comprata dal fondo di investimenti Melrose, con sede a Londra. Anche in questo caso l’avviso è arrivato via mail: all’improvviso, senza l’apertura di un tavolo istituzionale e senza il ricorso agli ammortizzatori sociali. L’azienda ha annunciato la chiusura per «la situazione del mercato automobilistico e la contrazione dei volumi e della domanda»: nella lettera di licenziamento collettivo e dismissione dell’impianto Gkn ha fatto sapere che le previsioni di fatturato per lo stabilimento di Campi per il 2025 «si attestano a circa 71 milioni di euro», ma che l’importo è «inferiore di circa il 48% rispetto ai livelli di fatturato del 2019, prima della pandemia».
Anche qui è stato avviato un presidio permanente, Sinistra italiana ha presentato un’interrogazione parlamentare, l’amministrazione comunale ha firmato un’ordinanza che introduce il divieto di avvicinamento dei mezzi pesanti al perimetro aziendale della fabbrica per evitare sgomberi («da lì non uscirà nemmeno una vite», ha detto il sindaco Emiliano Fossi), e per giovedì è stato convocato un incontro al ministero dello Sviluppo economico.
Dalla #GKN nessuno si muove.
Le guardie private assoldate dall'azienda sono indietreggiate, e dentro e fuori gli operai si turnano in presidio. Non uno spillo è uscito dallo stabilimento.
È lunga. È dura. Ma è solo l'inizio. pic.twitter.com/aptJEJEVX1— Bruno Neri (@CominciaAdesso) July 10, 2021
Il ministro del lavoro Andrea Orlando ha definito «inaccettabile» la modalità dei licenziamenti di Gianetti e Gkn. Ha parlato soprattutto di metodo, e non di merito, anche il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti: «Purtroppo è inevitabile che queste cose accadano, però non possono succedere in questo modo perché noi abbiamo in mente di “fare il west”, non il “far west”». Quella modalità di licenziamento è comunque prevista dal Jobs Act del 2016, approvato dal governo di Matteo Renzi.
Francesca Re David, segretaria generale della Fiom ha invece risposto che non le interessa «il bon ton» dei licenziamenti: «Mi interessa che i lavoratori non vengano licenziati e che il governo non si limiti a rincorrere le crisi aziendali ma prepari un piano quinquennale affinché le crisi non ci siano». Ha spiegato che sia Gkn che Gianetti Ruote non sono in crisi, ma «licenziano per andare a produrre da un’altra parte. Questo denuncia la totale assenza di politiche industriali che c’è stata in questo paese per vent’anni». Ha poi accusato il governo di aver creato le condizioni per quanto sta accadendo: «Il governo ha sbagliato, noi avevamo detto che i licenziamenti non andavano sbloccati. E il tema non erano le crisi ma tutte le riorganizzazioni, perché prima bisogna avere una politica su come affrontarle».
Il 22 luglio, visto che al Ministero del Lavoro non si è trovato un accordo sulla proroga della cassa integrazione, scatteranno i licenziamenti per i 400 lavoratori dell’ex Embraco di Riva di Chieri, Piemonte, azienda che produce compressori per frigoriferi e che già a inizio 2018 aveva annunciato il trasferimento della produzione in Slovacchia.
Mercoledì è arrivata la notizia che Whirlpool, multinazionale specializzata nella produzione di elettrodomestici, ha confermato l’avvio della procedura di licenziamento collettivo per i 327 lavoratori della stabilimento di Napoli. Le trattative avviate dal governo non hanno per ora portato a nulla e l’azienda ha anzi rifiutato il supplemento di cassa integrazione fino ad ottobre previsto dall’avviso comune sottoscritto il 29 giugno scorso da Confindustria e governo con i sindacati. «Questa scelta dell’azienda è incomprensibile», ha commentato la viceministra allo Sviluppo economico Alessandra Todde.
Maurizio Landini, segretario della CGIL, ha riassunto la situazione: «Nel giro di pochi giorni è la terza multinazionale associata a Confindustria che invece di rispettare l’impegno sottoscritto a Palazzo Chigi e utilizzare gli ammortizzatori sociali gratuiti scarica sui lavoratori e sul paese la scelta di delocalizzare le produzioni fuori dall’Italia».
Il giornalista Angelo Mastrandrea ha raccontato su Internazionale di altri licenziamenti più recenti seguiti allo sblocco, a Verrès, in Valle d’Aosta. «La Shiloh, una fabbrica di stampati in alluminio per automobili, è stata appena acquistata dalla Teksid, un’azienda del gruppo Stellantis (la ex Fiat). Appena insediati, i nuovi proprietari hanno mandato a casa dodici persone». Anche in questo caso, scrive Mastrandrea «si tratta di un modello che rischia di ripetersi e di lasciare per strada migliaia di persone, solo in maniera meno eclatante».