I due biologi che videro eruttare il vulcano Kasatochi da troppo vicino
L'Atlantic racconta la rocambolesca fuga di due dipendenti di un'agenzia americana da un'isola dell'Alaska che stava esplodendo
«Comincia a venire giù alla grande», disse attraverso la sua radiotrasmittente il biologo americano Chris Ford il 6 agosto 2008, mentre cercava di avvistare un punto buono per l’eventuale atterraggio di un elicottero di soccorso. Si stava riferendo a una parete del vulcano che dà il nome all’isola Kasatochi, nell’arcipelago delle Aleutine situato nel mare di Bering, amministrativamente appartenente all’Alaska. Lui e un suo collega, Ray Buchheit, si trovavano da qualche mese su quella piccola isola disabitata, impegnati in consuete ricerche per conto dello U.S. Fish and Wildlife Service (USFWS), un’agenzia federale americana che si occupa della salvaguardia dell’ambiente e delle specie animali e vegetali. Nessuno di loro immaginava che quel prezioso ecosistema sarebbe stato in breve tempo stravolto da un’eruzione, e che i ricercatori stessi avrebbero rischiato di morire.
«È una storia di scienza e di sopravvivenza, che mostra quanto sia difficile prevedere cosa farà il nostro pianeta, nonostante i nostri migliori sforzi», ha scritto la giornalista scientifica Jennifer Leman, che l’ha raccontata in un articolo sull’Atlantic.
Sull’isola vulcanica di Kasatochi – completamente disabitata e distante circa 650 chilometri dalla città più grande delle Aleutine, Unalaska (5 mila abitanti) – lo USFWS condusse studi e osservazioni per oltre dieci anni, attraverso il lavoro di squadre di ricercatori inviate periodicamente sull’isola durante la stagione estiva. Fino al 2008, quella di Kasatochi era considerata una delle più floride e naturalisticamente rilevanti di tutto l’arcipelago, per l’abbondante presenza di uccelli marini e altre specie animali. Procellarie, urie colombe e pulcinelle di mare sorvolavano le coste rocciose, le verdi pareti del vulcano e il lago di acqua salata presente nel cratere, circa 60 metri sopra il livello del mare.
Ford e Buchheit erano arrivati sull’isola nel maggio del 2008, trasportati su un battello dell’agenzia, il Tiglax, che li aveva lasciati con provviste per quattro mesi e un gommone per gli spostamenti lungo l’isola. Avrebbero trascorso l’estate nel piccolo rifugio costruito anni prima dallo USFWS, attrezzato con gli strumenti necessari a svolgere il lavoro di ricerca e a comunicare con le stazioni radio nelle isole vicine. Avvertirono le prime scosse di terremoto nei primi giorni di agosto: «tre ogni cinque minuti», annotò sul suo diario Buchheit, che non era mai stato in Alaska prima di allora ma era stato messo al corrente della possibilità di qualche scossa, lui che era cresciuto in Montana e non aveva particolare familiarità con i terremoti.
Il 3 agosto, gli unici due esseri umani sul Kasatochi segnalarono le scosse di terremoto via radio alla stazione dello USFWS più vicina, situata sull’isola di Adak, circa 80 chilometri a est dell’isola Kasatochi. La loro interlocutrice, Lisa Spitler, consultò il sito del Centro di informazioni sui terremoti dell’Alaska e non trovò traccia di scosse rilevate sulle isole. Inviò quindi un’email all’Alaska Volcano Observatory, un progetto congiunto sostenuto dallo United States Geological Survey (USGS, l’agenzia geologica governativa americana) e da due istituti di geofisica dell’Alaska.
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Le Aleutine sono situate lungo uno dei margini della placca tettonica più attivi della Terra, la cosiddetta cintura di fuoco del Pacifico. Degli oltre 140 vulcani presenti lungo tutto l’arcipelago, 90 sono stati attivi negli ultimi 10 mila anni, e dal 1760 – l’anno a partire dal quale cominciarono le registrazioni – circa 50 sono stati interessati da fenomeni eruttivi. Attualmente, a causa della mancanza di finanziamenti, l’Alaska Volcano Observatory ne monitora da vicino soltanto 31, dando priorità a quelli più vicini ai centri abitati e a quelli che si trovano lungo rotte di volo.
Nessuna delle persone che lavoravano per lo USFWS nel 2008, tantomeno Ford e Buchheit, immaginava che quelle piccole scosse fossero il segno di un fenomeno imminente e più pericoloso. Sotto il terreno, il magma si stava insinuando attraverso la fragile crosta terrestre, fratturando la roccia.
All’epoca i geologi dell’Alaska Volcano Observatory avevano visitato il Kasatochi soltanto una volta, nel 2005, dopo aver ricevuto le segnalazioni di un gorgoglìo nel lago del cratere. Non riscontrarono tuttavia la presenza di elementi sufficienti a classificarlo come pericoloso. Dopo aver ricevuto l’email di Spitler, verificarono inoltre le rilevazioni effettuate dalle stazioni sismiche presenti sulle isole vicine – tranne quella più vicina, che era rotta, sull’isola Atka – e non riscontrarono anomalie.
A partire dal 4 agosto le scosse diventarono più forti e frequenti, e tutte le stazioni sismiche delle Aleutine cominciarono a registrarle. Inizialmente gli scienziati dell’osservatorio pensarono potesse trattarsi dello spostamento di una faglia vicina, ma con il passare del tempo fu a loro chiaro che quel fenomeno riguardava altro. Avvisarono quindi il supervisore di Spitler alla stazione di Adak, Jeff Williams: era il caso di evacuare i due biologi che si trovavano sull’isola.
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Chris Waythomas, all’epoca a capo dell’osservatorio, ha raccontato che quel tipo di sismicità era riconducibile a un tremore vulcanico, il tipico segnale associato alla dinamica dei fluidi che circolano all’interno del sistema di alimentazione di un vulcano. Più o meno come l’aria all’interno delle canne di un organo, ha spiegato Waythomas, il magma “risuona” attraverso i condotti vulcanici nel suo percorso verso la superficie terrestre. Le vibrazioni aumentano di durata e di intensità man mano che il magma raggiunge la superficie. E in questo i tremori vulcanici si distinguono dai terremoti, che rilasciano invece esplosioni di energia rapide e dirompenti causate da scivolamenti dei blocchi lungo le linee di faglia.
L’evacuazione di Ford e Buchheit dall’isola Kasatochi fu organizzata il 6 agosto. Il Tiglax, il battello dello USFWS, stava già percorrendo la rotta che seguiva abitualmente per raccogliere i ricercatori al lavoro sulle varie isole Aleutine. Non sarebbe giunto sull’isola Kasatochi prima di 24 ore, e quindi Spitler richiese l’intervento della guardia costiera americana, la cui imbarcazione più vicina si trovava però a oltre 700 chilometri di distanza. Un elicottero della stessa guardia costiera era fermo sull’isola Adak per manutenzione.
La sera del 6 agosto, a Spitler non restò altra possibilità se non quella di provare a contattare la comunità locale di pescatori, sperando che qualcuno potesse andare a recuperare Ford e Buchheit prima dell'arrivo previsto del battello. Si offrirono volontari per la missione di salvataggio un pescatore e il suo mozzo, Al Giddings ed Eric Mochuziki, abituati a navigare per il mare di Bering. «Ricordo l’angoscia nella sua voce [di Spitler], sapevamo che si stava mettendo malissimo, e noi eravamo l’unica opzione», ha raccontato Giddings. Nelle prime ore del 7 agosto, lui e Mochuziki salparono con la loro imbarcazione dal porto di Adak.
Intanto, in attesa di aggiornamenti, Ford e Buchheit stavano mangiando nel loro rifugio quando una scossa di magnitudo 5.8, alle 10:20, fece crollare gli scaffali e tutti gli oggetti sul pavimento. Un fortissimo odore di zolfo pervase il rifugio e si diffuse sull’isola: «penso sia stato allora che realizzammo “oh cazzo, questa cosa sta per esplodere”», ha raccontato Ford. Lui e Buchheit sapevano che Giddings e Mochuziki stavano arrivando ma le circostanze critiche li portarono a considerare di lasciare l’isola a bordo del loro gommone, per cercare di raggiungere l’isola più vicina, a circa 30 chilometri di distanza, consapevoli dei rischi di non farcela.
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Difficilmente le condizioni del mare intorno alle Aleutine, con onde alte due metri, avrebbero permesso loro di spingersi abbastanza lontano senza imbarcare acqua. Ma pensarono di non avere scelta: presero tutto quello che poterono portar via di corsa dal rifugio e si diressero verso la spiaggia. Alle 11:30, mentre sistemavano le cose da caricare sul gommone, sentirono il crepitio della radio: erano Giddings e Mochuziki, a pochi chilometri dall’isola. Mentre Ford e Buchheit salivano sul gommone per allontanarsi dalla riva e raggiungere la barca di Giddings, Ford ricordò di aver lasciato in spiaggia la borsa con la macchina fotografica e tornò indietro. «Sembra ridicolo, col senno di poi, ma quella macchina era tutta la memoria di Chris», ha detto Buchheit.
Salirono infine sul gommone, e Ford scattò un’ultima fotografia dell’isola prima che scomparisse, avvolta nella nebbia. Meno di mezz’ora più tardi, alle 14:01, il vulcano eruttò. Le pareti del cratere crollarono, provocando scosse registrate dalle stazioni sismiche di tutto l’Alaska. Colate piroclastiche scesero lungo i pendii fino alle rive dell’isola, investendo tutto ciò che incontravano. Le ceneri sollevate dall’eruzione e arrivate a un’altezza di 13 mila metri portarono alla cancellazione di oltre 40 voli da Anchorage, lasciando 6 mila passeggeri bloccati in aeroporto. In pochi minuti, l’intero ecosistema del Kasatochi si estinse.
La barca di Giddings entrò nel porto di Adak intorno alle 15:30, con il suo equipaggio illeso e ancora non del tutto consapevole di quanto vicino alla morte si fosse trovato. Più tardi, mentre ripuliva la barca, Giddings si accorse che stava raschiando via dagli oblò cenere vulcanica.
Due settimane dopo l’eruzione, Buchheit tornò sull’isola di Kasatochi in elicottero insieme a Waythomas, il capo dell’Alaska Volcano Observatory. Trovarono la terra sotto i loro piedi ancora calda. Erano tornati per tentare di recuperare alcune delle cose lasciate per la fretta, tra cui i computer con i dati raccolti sull’isola, una chitarra acustica e alcuni indumenti. Non ci riuscirono: il rifugio era sepolto sotto 30 metri di cenere. «Se fossero rimasti lì, non sarebbero mai sopravvissuti», ha detto Waythomas.
Buchheit, che attualmente lavora ancora in molte zone isolate del mondo, sostiene che condurre ricerche in posti come le Aleutine sia intrinsecamente rischioso e che sia impossibile eliminare quel rischio. «In qualità di amministratori pubblici delle risorse naturali, ossia la terra e la fauna selvatica, il nostro compito è sapere cosa sta succedendo a quelle risorse», ha detto Williams, capo della stazione USFWS di Adak nel 2008 e oggi vicedirettore dell’Alaska Maritime National Wildlife Refuge.
«L’eruzione vulcanica che quasi uccise Ford e Buchheit più di dieci anni fa ha cambiato il modo in cui lo USFWS affronta le ricerche nelle Aleutine», ha scritto Leman. Oggi l’agenzia presta molta attenzione a segnali meno evidenti, valutando per esempio anche qualsiasi debole odore di zolfo. Tutte le squadre inviate nelle Aleutine sono addestrate a individuare segni premonitori dell’attività geologica e sono dotate di accesso email satellitare e dispositivi GPS con servizi di messaggistica istantanea.